1. La nuova sospensione è dovuta al caso dell’impugnazione accolta.
L’interpretazione che propongo della L. 103/17 si discosta da quella più seguita, che non trovo esatta. Espongo le mie valutazioni con un ragionamento che svilupperò partendo dagli aspetti meno opinabili e meno discussi del significato della sospensione della prescrizione.
La sospensione della prescrizione mette un periodo tra parentesi, in esso la prescrizione non opera, non ha corso. Avutosi un periodo di sospensione della prescrizione ne risulterà differita la data in cui, essendo ancora pendente il processo, il giudice dovrà dichiarare maturata la prescrizione stessa in ordine al reato per cui è processo, quello che ritenesse sussistente, anche se diverso da quello di cui all’accusa formulata, ai sensi dell’art. 129 c.p.p.: “in ogni stato e grado del processo”. Ai sensi dell’art. 129 c.p.p. comma 2° il giudicante dovrà dare prevalenza alle cause di assoluzione, se risultasse dovuta l’assoluzione in base agli elementi già acquisiti agli atti.
È evidentemente assai rilevante individuare quel periodo di sospensione, quali ne siano i presupposti, quale il suo termine iniziale e quale quello finale, poi se si possano conoscere gli uni e gli altri in tempi diversi o anche contestualmente.
Anticipo sin da ora che la mia opinione è nel senso che il primo presupposto per applicarsi la sospensione debba coincidere con il suo termine iniziale, la condanna in primo grado, ma non necessariamente il secondo presupposto, l’annullamento, coinciderà con il termine finale del detto periodo.
La “Riforma Orlando” richiede all’interprete un’attenzione maggiore di quella consueta per i suoi caratteri in parte contrastanti: da un canto presenta alcuni aspetti legati all’impossibilità di esercitare il diritto, in particolare il diritto dello Stato di punire, cui ricollega gli effetti noti, secondo il tradizionale brocardo “Contra non valentem agere non currit praescriptio”, “Contro chi non può agire non ha corso la prescrizione”, d’altro canto ha altri aspetti di assoluta novità.
Oltre a ciò il ministro Orlando nella relazione presentata alla Camera al Disegno di legge n. 2798/14 non è stato del tutto chiaro, e la norma dell’art. 159 c.p. comma 3 in vigore ai sensi della L. 103/17 è sovrabbondante, presenta l’inciso “ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere” che non giova alla sua chiarezza, e che mi pare superfluo. Omettendone la lettura la norma anzi risulta più chiara. Paradossalmente proprio la volontà di chiarire molti aspetti può aver determinato, mi pare, fraintendimenti.
Giova molto rileggere la rubrica dell’art. 157 c.p.: “Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere”.
Il testo dell’articolo chiarisce anzitutto che il tempo necessario a prescrivere (che inizia a decorrere dalla data di commissione del reato) varia anzitutto a seconda della gravità dei reati, e si riduce al passare del tempo reale, quello della realtà quotidiana, dunque il tempo necessario a prescrivere è un tempo futuro. Determinarlo significa individuare quale dovrà essere la sua futura durata, o la sua residua futura durata.
Il tempo necessario a prescrivere varia da reato a reato secondo la gravità a decorrere dalla data in cui fu commesso, e per ciascun reato la prescrizione, la data in cui essa maturerà, viene poi differita in base alle interruzioni, quando si svolge l’attività processuale, e in base alle sospensioni, quando invece quell’attività non può avere svolgimento. Sono vicende diverse con effetti analoghi.
Nel caso poi di annullamento in appello della condanna decisa in primo grado, si viene a conoscere che si era verificata una situazione di impedimento al regolare esercizio dell’azione penale, dopo che però essa in ogni caso aveva avuto concreto svolgimento.
Rispetto a tale articolata vicenda la legge Orlando fa una valutazione innovativa, non trascurando che il processo si sia svolto, né che vi sia stato l’annullamento della prima sentenza.
Stabilisce perciò, ragionevolmente, che solo in parte la prescrizione abbia avuto corso nell’intero periodo tra la commissione del reato e la sentenza ultima, quella d’appello, di annullamento. Si devono ora individuare in quell’arco temporale due periodi, perché fino alla condanna in primo grado la prescrizione ha avuto regolare corso. Si saprà poi, all’esito dell’appello, se nell’altro periodo dalla condanna in primo grado alla sentenza d’appello si debba contare però anche uno spazio di tempo di trascorsa sospensione. Esso potrà esservi ed avere, meglio potrà avere avuto, una lunghezza variabile.
Secondo la mia tesi i presupposti perché si abbia il periodo di sospensione previsto dalla nuova normativa vanno identificati in due sentenze contrastanti, nel succedersi di due esiti processuali opposti, che abbiano definito due successivi gradi di giudizio; più precisamente occorre che dopo una condanna segua in appello l’annullamento della stessa condanna, ovvero che in appello segua l’assoluzione. Dovrà esservi il contrasto tra le due decisioni assunte nei gradi di merito. Parimenti si avrà una sospensione nei casi di condanna già decisa in grado d’appello che, a seguito di riscorso, in Cassazione sia poi annullata, con rinvio per un nuovo giudizio (art. 159 comma 3 c.p.).
Nel caso dell’annullamento in appello, a ben vedere la nuova norma, stabilendo che debba contarsi un periodo di trascorsa sospensione, applica ad un’ipotesi di nuovo conio il tradizionale principio per cui deve tenersi conto dell’impossibilità della Pubblica Accusa di esercitare (regolarmente) il suo diritto; cosicché, conosciuta ex post quell’impossibilità, ad essa si ricollegano i ben noti effetti di sospensione della prescrizione, per un periodo (variabile) che la stessa norma individua. La novità è relativa, riguarda il fatto che la sospensione sia disposta ex post, in riferimento ad un periodo trascorso, o meglio che a seguito di annullamento si abbia pure la sospensione quale effetto predeterminato e collegato necessariamente, ex lege, alla decisione assunta nel processo in corso, che continua ad avere svolgimento e potrà avere anzi uno svolgimento più esteso.
La durata del periodo di sospensione è facilmente identificata: è pari al tempo richiesto dal giudizio d’impugnazione se quel tempo sia minore di un anno e sei mesi o –al massimo- pari a un anno e sei mesi: potrà essere di mesi 2, mesi 4, etc., sino a mesi 18.
Se invece il tempo richiesto per definire il giudizio d’appello fosse maggiore di un anno e sei mesi, la sospensione si fermerà ad un anno e sei mesi, poi riprenderà corso la prescrizione.
Il termine iniziale del periodo di sospensione coinciderà con quello della condanna in primo grado (più esattamente, con il termine per il deposito delle motivazioni, non rilevando la data del dispositivo né quella dell’effettivo deposito delle motivazioni) ed il suo termine finale sarà al momento della pronuncia in secondo grado, dell’annullamento di quella condanna, sempre che tra le due decisioni difformi intercorra un periodo di 18 mesi, o minore.
Vi sarà in tali casi la piena coincidenza tra il tempo impiegatosi nel giudizio d’impugnazione avverso la prima sentenza, di condanna, e il tempo in cui la prescrizione non ha avuto corso.
Cosicché se una condanna è annullata dopo 2 mesi, o 4 mesi, o 10 mesi, etc., in quel tempo di pendenza del giudizio d’impugnazione, rispettivamente di 2 mesi, 4 mesi, 10 mesi, etc., la prescrizione non si sarà però avvicinata.
Se invece tra le due decisioni difformi il tempo trascorso fosse stato superiore ai 18 mesi, la sospensione avrebbe avuto durata di soli 18 mesi, e dunque la prescrizione avrebbe ripreso corso poi, nel tempo residuo.
Ad esempio: processo per un reato punibile con anni 6 di reclusione nel massimo, condanna in primo grado annullata in appello dopo mesi 20.
Ipotizziamo che quella condanna avesse determinato un aumento del tempo necessario a prescrivere pari al minimo, che a seguito di quella condanna la prescrizione risultasse differita di anni 6, evidentemente perché era stata pronunciata entro 18 mesi dalla commissione del reato.
Il periodo di sospensione non è precisamente coincidente con il tempo che è stato necessario impiegare nel processo d’impugnazione, fino alla sua definizione, ma è di soli 18 mesi, contenuto in quello di 20 mesi.
Si dovrà dire che la parentesi di sospensione riguardi i primi 18 mesi di quei 20 trascorsi, e che la prescrizione abbia ripreso corso dopo la chiusura di quella parentesi, negli ultimi 2 mesi.
A seguito dell’annullamento dunque la prescrizione non sarà più distante anni 6, ma anni 6 meno mesi 2, ossia anni 5 e mesi 10. Tale periodo andrà contato non dalla precedente condanna annullata ma dal termine finale della sospensione, successivo a quella condanna di un anno e sei mesi.
In tale esempio il secondo presupposto della sospensione sarà dato dall’annullamento ma il suo termine finale non coinciderà con quel secondo presupposto, lontano più di un anno e sei mesi dalla condanna in primo grado. Il periodo di nuova sospensione in generale ha inizio dalla condanna in primo grado, ed ha in essa il primo presupposto, mentre ha nell’annullamento di quella condanna il secondo presupposto; quanto al suo termine finale, non sempre coinciderà con l’annullamento, ma coinciderà solo se l’annullamento sia pronunciato entro un anno e sei mesi. Invece negli altri casi, di annullamento pronunciato oltre un anno e sei mesi dopo la condanna in primo grado, la sospensione sarà cessata allo scadere dei 18 mesi dalla condanna. Tale trascorsa sospensione sarà nota, sarà precisamente calcolabile solo al momento in cui anche il giudice d’appello si sarà pronunciato.
A sostegno della mia tesi posso richiamare l’importanza della disposizione dell’art. 159 comma quarto: è previsto che nei tempi in cui la prescrizione è oggi sospesa, ossia quello tra le due sentenze di merito in contrasto e quel tempo tra la sentenza d’appello e quella che seguirà e diverrà definitiva, successiva a quella del terzo grado, di annullamento (comma secondo n. 2), il processo debba essere sospeso pure ai sensi del primo comma. Sono cinque casi. In tali ipotesi i tempi delle distinte sospensioni (esse sono qualificate grandezze omogenee) andranno sommati.
Una parte della magistratura aveva richiesto che, dopo una condanna, fossero limitati gli effetti favorevoli che l’appellante acquisiva in ogni caso di appello per il fatto stesso di aver proposto appello. Quella richiesta è stata accolta. Oggi perciò, in alcuni casi, nel tempo occorrente al giudizio d’impugnazione, la prescrizione non avrà corso, sarà sospesa; ossia, potrà dirsi che era rimasta sospesa per un certo tempo, che andrà calcolato; non sarà oltre un anno e sei mesi.
Il tempo in cui la prescrizione è sospesa è -in tutto o in parte- quello richiesto dal giudizio d’impugnazione, che sia stato definito poi con sentenza favorevole all’imputato.
Il ministro Orlando nella sua Relazione alla Camera ha fatto riferimento alla volontà di introdurre “specifiche parentesi di sospensione” della prescrizione dopo la “condanna non definitiva”.
Il riferimento ad un noto orientamento giurispruden...