Interpretazioni di interpretazioni. Indagine sul prospettivismo nietzschiano
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Interpretazioni di interpretazioni. Indagine sul prospettivismo nietzschiano

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L'obiettivo complessivo del saggio è quello, anzitutto, di esporre in linea di massima cosa Nietzsche ci abbia voluto dire col suo prospettivismo (che è già questo un obiettivo tutt'altro che scontato), e in secondo luogo c'è uno sforzo nel cercare di provare a dimostrare la sua non contraddittorietà e la sua sostenibilità su di un piano razionale, sollevando di volta in volta delle possibili criticità e affrontandole alla luce dei tanti frammenti che in questo ambito sono stati scritti da Nietzsche nel corso della sua produzione filosofica. Tuttavia mi riterrei troppo presuntuoso se affermassi che questo lavoro sia chiarificatore in modo definitivo della teoria della conoscenza di Nietzsche, la quale è molto più complessa di quel che potrebbe apparire ad una lettura superficiale. Quindi, alla luce del fatto che all'interno di un breve saggio, per motivi formali, si debbano fare anche delle specifiche scelte, ritengo che questo elaborato non sia del tutto esaustivo dell'argomento, anche se tuttavia spero di riuscire a esporre nel modo più soddisfacente possibile qual era la posizione nietzschiana in ambito gnoseologico.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788831685931
1° Capitolo
La conoscenza è sempre falsificazione
1.1 Il linguaggio è intrinsecamente interpretazione
Il prospettivismo in Nietzsche è una posizione gnoseologica, una teoria della conoscenza, che egli elabora compiutamente in un famoso frammento scritto tra la fine del 1886 e l’inizio del 1887,10 tuttavia questa posizione è il frutto di un percorso che egli inizia già non ancora trentenne, quando espone la sua idea dell’origine erronea e illusoria del concetto di verità, nell’opera inedita, dell’estate del 1873, intitolata “Su verità e menzogna in senso extramorale” dove sembra, comunque, essere ancora presente la X della cosa in sé dal sapore kantiano, che poi abbandonerà in favore di un prospettivismo radicale. In quest’opera molto importante, egli afferma l’illusorietà della conoscenza, o meglio che il credere che l’uomo possa impossessarsi di una conoscenza incontrovertibile sia una mera illusione perché il linguaggio non può dire come le cose siano effettivamente fuori di noi, come siano in sé.
«In un angolo remoto dell'universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c'era una volta un astro su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della «storia del mondo»; ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire.»11
In questo bellissimo passaggio di “Su verità e menzogna in senso extramorale” si può notare come Nietzsche avesse già le idee chiare sul concetto di verità che ad esempio i positivisti e i meccanicisti del suo tempo credevano di poter abbracciare, ma per Nietzsche, niente di più che una mera illusione appunto.
«L'intelletto, come mezzo per la conservazione dell’individuo, dispiega le sue forze principali nella finzione, giacché questa costituisce il mezzo che permette agli individui più deboli, meno robusti, di conservarsi, essendo loro negata la lotta per l'esistenza da combattersi con le corna e con le zanne aguzze degli animali feroci. Nell'uomo quest'arte della finzione giunge al culmine: qui l'illudere, l'adulare, il mentire, l'ingannare, il parlare dietro le spalle, […] il mascherarsi, il celarsi dietro le convenzioni, il recitare la commedia davanti agli altri e a se stessi, sono la regola e la legge».12
Le nostre verità, infatti, per Nietzsche, sono pure menzogne finalizzate alla sopravvivenza. Siccome siamo un tipo di esseri viventi deboli rispetto agli altri animali sia sul piano fisico e biologico, il nostro intelletto punta alla finzione come arma di difesa finché le nostre menzogne diventino le regole stesse del nostro agire, del nostro pensare, del nostro vedere il mondo. L’uomo senza menzogne non potrebbe nemmeno vivere.
Quest’idea di una natura umana lacunosa, di un essere umano debole rispetto alle altre specie animali, quindi bisognoso di colmare queste lacune con la cultura13 era stata elaborata nella seconda metà del '700 anche dall’antropologo Johann Gottfried Herder secondo cui: « la cultura riempie il vuoto lasciato dalla natura umana, la quale è caratterizzata da lacune e manchevolezze».14 Per la stessa necessità, essendo inferiore fisicamente agli altri animali, l’uomo arriva ad un patto sociale per superare il bellum omnium contra omnes avvantaggiandosi dei benefici del vivere in gregge15 e gradualmente sviluppa il linguaggio e la coscienza per comunicare i propri bisogni.16
Nella stesse pagine di “Su verità e menzogna in senso extramorale” si mette anche in luce l’illusione dell’antropocentrismo.
«Come ogni facchino vuole avere i suoi ammiratori, così il più superbo degli uomini, il filosofo, crede che da tutte le parti gli occhi dell'universo siano telescopicamente puntati sul suo agire e pensare […] Se noi riuscissimo a intenderci con la zanzara, apprenderemmo che anch'essa nuota attraverso l'aria con questo pathos e si senta il centro – che vola – di questo mondo».17
In quest’opera, quindi, Nietzsche pone le basi della sua gnoseologia, in particolare mostrandoci come la nostra conoscenza sia fondata su presupposti erronei, in quanto i mattoni dei nostri concetti, con cui pretendiamo di comunicare delle verità, cioè le parole, sono metafore, e ogni singola metafora è già un falsificare, un trasporre dentro di noi attraverso i nostri organi percettivi dei dati sensibili che attraverso vari passaggi si trasformano in rappresentazioni costruite dall’interpretante, per cui esse ci dicono come sono le cose per noi, ma non in sé.
«Che cos'è una parola? La riproduzione di uno stimolo nervoso in suoni. Ma il concludere dallo stimolo nervoso a una causa fuori di noi è già il risultato di un'applicazione falsa e ingiustificata del principio di ragione […] Uno stimolo nervoso, trasferito anzitutto in un'immagine: prima metafora. L'immagine è poi plasmata in un suono: seconda metafora. […] Noi crediamo di sapere qualcosa delle cose stesse quando parliamo di alberi, colori, neve e fiori, eppure non possediamo nulla se non metafore delle cose che non corrispondono affatto alle essenze originarie. Come il suono si presenta in quanto figura nella sabbia, così l’enigmatica «X» della cosa in sé ora si presenta come stimolo nervoso, ora come immagine, ora infine come suono».18
La verità non potrebbe che derivare da una serie di errori, in quanto è costruita a partire da metafore, che non corrispondono per nulla alle cose in sé, per cui i nostri concetti, le nostre verità sono interpretazioni di interpretazioni, in quanto una singola parola è già una metafora, la quale è già una interpretazione.
Il concetto si forma dopo vari passaggi di stato del dato empirico, il quale prima dev’essere percepito dai sensi e qui già c’è l’inizio della falsificazione del reale, poi questo dato è tradotto in immagine, e successivamente in un suono, la parola, e sulle parole poi si costruiscono i concetti, e con i concetti poi si costruiscono le tesi, le teorie, le nostre verità. “Metafora” sta ad indicare l’attività del trasportare, del traslare, ma il trasporto del dato originario deve passare da vari stadi fino ad arrivare alla teoria generale la quale è basata su concetti che hanno una funzione omogeneizzante della realtà.
Cosa →→Percezione sensibile →→immagine →→suono (parola)s→→concetti →→teoria →→verità (illusoria)19. Ogni passaggio di stato, a partire dalla percezione sensibile fino alla costruzione della teoria, implica che ciò che arriva alla fine non è quello che era partito, soprattutto non corrisponde esattamente a quanto c’era fuori di noi, in quanto in tutti questi passaggi l’interprete ci mette del suo. Quindi, alla fine del processo siamo sicuri che ciò di cui parliamo corrisponda esattamente al reale fuori di noi? Ovviamente per Nietzsche no, in quanto la traslazione del dato originario porta ad una rappresentazione fenomenica costruita dall’interprete che non corrisponde più alla realtà in sé, ma consiste nel come noi vediamo e intendiamo le cose.
«Ogni parola diventa senz’altro un concetto, per il fatto che […] deve adattarsi al tempo stesso a innumerevoli casi più o meno simili, cioè - a rigore - mai uguali, e quindi a casi semplicemente diseguali. Ogni concetto sorge con l’equiparazione di ciò che non è uguale. Se è certo che una foglia non è mai perfettamente uguale a un’altra, altrettanto certo è che il concetto di foglia si forma mediante un arbitrario lasciar cadere queste differenze individuali».20
Secondo Nietzsche, inoltre, essendo le parole singolarmente considerate già delle metafore, esse sono, anzitutto già delle interpretazioni, e poi con esse si costruiscono i concetti che hanno intrinsecamente una funzione semplificante, omologante la molteplicità del mondo circostante, in funzione dei bisogni dell’interpretante, attraverso il dire uguale ciò che non è uguale. È un elemento molto rilevante, nella critica nietzschiana alla verità, proprio questa funzione semplificante, sia dei concetti che, come vedremo in seguito, anche della logica e della razionalità.
«Il trascurare ciò che vi è di individuale e di reale ci fornisce il concetto, allo stesso modo che ci fornisce la forma, mentre la natura non conosce invece nessuna forma e nessun concetto, e quindi neppur alcun genere, ma soltanto una «X» per noi inattingibile e indefinibile».21
Nietzsche ci sta dicendo quindi che noi imbrigliamo la realtà in forme, concetti, potremmo dire nell’apollineo, nonostante nella natura non ci siano i concetti che noi elaboriamo.
In secondo luogo, sembra che in quest’opera fondamentale per la gnoseologia nietzschiana, dove Nietzsche non è ancora trentenne, faccia riferimento alla X della cosa in sé dal sapore kantiano, cioè la sottende, ma che poi abbandonerà radicalmente. Quindi qui si sente l’influenza della gnoseologia kantiana.
«La cosa in sé (la verità pura e priva di conseguenze consisterebbe appunto in ciò) è d’altronde del tutto inafferrabile per colui che costruisce il linguaggio, e non è affatto degna per lui di essere ricercata».22
Una verità costruita su metafore è pertanto una sorta di interpretazione di interpretazioni. Se poi, inoltre, si pensi a quante teorie, pensieri, costruzioni filosofiche, si basino a loro volta su pensieri e teorie passate, che a loro volta si basavano su pensieri e teorie ad essi ancora antecedenti, ecco che le nostre verità non sono altro che interpretazioni di interpretazioni, falsificazioni, errori di cui si è dimenticati la natura erronea, esse diventano salde in noi semplicemente perché ci siamo dimenticati da dove provengono, ci siamo dimenticati della loro natura illusoria.
«Che cos'è dunque la verità? Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente e che, dopo un lungo uso, sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria».23
Quindi la nostra conoscenza del mondo, la nostra visione del mondo, e, in ultima istanza, ciò che riteniamo sia verità, consisterebbe in una falsificazione del mondo in quanto basata su antropomorfismi ai fini della sopravvivenza. E pertanto il linguaggio, secondo Nietzsche, non permetterebbe che il comunicare rappresentazioni fenomeniche del reale, consistenti in come noi vediamo e significhiamo le cose, e non come le cose sono in sé. Il significato del reale è quindi una costruzione del soggetto.
«I mezzi di espressione del linguaggio non sono adatti per esprimere il divenire: il porre costantemente un più grossolano mondo del permanente, di “cose”, ecc. appartiene al nostro ineliminabile bisogno della conservazione».24
In conclusione di questo paragrafo, possiamo riassumere che alla luce del fatto che il linguaggio con cui costruiamo le verità si basa su concetti, i quali a loro volta si costruiscono con le parole, le quali a loro volta, singolarmente intese, sono già delle metafore, allora esso è intrinsecamente e imprescindibilmente interpretazione. Pertanto ciò che diciamo con le parole, scritte o orali, non trova alcuna corrispondenza con le cose fuori di noi, con le cose come sono in sé.
Per cui il solo supporre di poter elaborare delle verità non può trovare alcuna realizzazione effettiva per il semplice fatto che non disponiamo di alcun mezzo idoneo ad afferrare come le cose sono in sé, né per poterle comunicare. In altri termini in questo paragrafo c’è l’idea di Nietzsche che anche qualora una verità ci fosse, noi non potremmo afferrarla in alcun modo, per cui il nostro conoscere è un falsificare ai fini dei nostri bisogni, così come la comunicazione, e quindi il linguaggio, è finalizzata ad una necessità di beneficiare dei vantaggi del vivere associato. Si noti bene che rispetto al prospettivismo che elaborerà più avanti, qui Nietzsche sottende ancora la possibilità di una verità delle cose in sé, seppur inafferrabile per gli uomini. Questo è un elemento che poi abbandonerà. Qui cioè, non siamo ancora nel relativismo ontologico che sarà conseguenza del prospettivismo, ma più che altro inizia i passi della sua gnoseologia con una critica al linguaggio (già iniziata poco tempo prima in “Sul pathos della verità” - 1872 -)25 che sarebbe solo strumento di sopravvivenza e funzionale al vivere associati, ma che non ci permetterebbe, affatto...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Introduzione: La morte della verità assoluta
  6. 1° Capitolo. La conoscenza è sempre falsificazione
  7. 2° Capitolo. Fenomenologia del prospettivismo
  8. 3° Capitolo. Il prospettivismo messo alla prova
  9. Conclusioni finali
  10. Bibliografia primaria
  11. Bibliografia secondaria