Ultima chiamata per il cambiamento climatico e per le prossime pandemie
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Ultima chiamata per il cambiamento climatico e per le prossime pandemie

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Ultima chiamata per il cambiamento climatico e per le prossime pandemie

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Siamo vicini al collasso della nostra civiltà? La domanda può sembrare esagerata, ma non lo è affatto. Già l'attuale turbocapitalismo globalizzato sta distruggendo i tessuti sociali e tutti i principi di solidarietà. E non solo! Ne sono diretta conseguenza anche l'inquinamento, il riscaldamento globale, le disuguaglianze estreme, la povertà in crescita, la disoccupazione, il lavoro precario, le migrazioni epocali, le guerre, il terrorismo, la globalizzazione selvaggia … Ed ora il cambiamento climatico (anch'esso conseguenza delle attuali scelte socio-economiche) sta accelerando e ingigantendo i suoi tragici effetti, tanto da surclassare ogni altro problema mondiale.
Se non fermeremo il riscaldamento del pianeta nel modo più drastico e più veloce possibile, molto presto ci troveremo in un ambiente gravemente ostile alla vita. Tanto che l'attuale corrente estinzione di massa potrebbe colpire anche la razza umana e a questo potrebbero contribuire anche le prossime probabili pandemie.
Quindi in questo libro proporrò una soluzione (che affronti contestualmente tutti i sopraelencati problemi, pandemie comprese) abbastanza utopistica, ma obbligata, se vogliamo davvero uscirne fuori.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788831696692
CAPITOLO 1
Capitalismo globalizzato e disuguaglianze.
In questo capitolo voglio solo fornirvi un rapidissimo quadro del perché il sistema economico capitalista, ormai adottato in quasi tutto il mondo, sia l’origine e la causa principale del riscaldamento globale.
Per una trattazione più approfondita dal punto di vista economico e sociale, vi invito a leggere il mio primo libro “L’ultima missione dell’Umanità”.
Crescita del capitalismo e del benessere nei paesi industrializzati.
Dall’alba dei tempi, fino a prima della seconda guerra mondiale, gli uomini vivevano in un mondo profondamente ingiusto. La disuguaglianza era smisurata, con l’uno per cento della popolazione che possedeva il 60% e oltre di tutta la ricchezza mondiale (questo almeno all’inizio del secolo scorso, mentre prima era ancora peggio). In compenso, ai primi del 1900 la popolazione era un miliardo e 650 milioni, con una produzione industriale molto limitata, e quindi una bassissima emissione di gas serra.
Dal 1945 fino al 1992 tre fattori concomitanti hanno rivoluzionato lo scenario sociale dei paesi occidentali:
1) La rapidissima crescita dell’industria
2) L’aumento generalizzato del livello d’istruzione
3) Lo shock delle due guerre mondiali
Molte le conseguenze:
1) L’agricoltura ha avuto sempre meno bisogno di addetti
2) L’occupazione nell’industria e nei servizi è cresciuta esponenzialmente
3) Gli industriali, nell’ottica degli immensi ricavi ottenuti dai consumi di massa, hanno favorito gli aumenti stipendiali dei dipendenti
4) Le disuguaglianze si sono drasticamente ridotte (anche se solo nei paesi industrializzati)
5) Le nazioni hanno istituito e favorito un welfare sempre più generoso (almeno quelle più industrializzate)
6) Purtroppo maggiori consumi e maggiore ricchezza hanno anche progressivamente aumentato inquinamento e gas serra.
Globalizzazione.
Con il crollo del muro di Berlino (1989) e la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991) è stato sancito il fallimento del comunismo e il sistema capitalista si è imposto come unica alternativa possibile.
Dal 1992 è iniziato il processo della globalizzazione e del mercato unico mondiale. Nelle intenzioni degli statisti che lo hanno avviato c’era la prospettiva di portare commercio e ricchezza in tutto il mondo, in modo da risollevare dalla povertà le nazioni più svantaggiate ed equiparare lentamente il livello di vita di tutta l’umanità, verso un generale benessere.
Ma il risultato è stato ben diverso!
Il rapidissimo progresso tecnologico e l’inesorabile estendersi della globalizzazione, hanno funzionato da catalizzatori e moltiplicatori delle occasioni di business.
Finanzieri e industriali, teorizzando che il libero mercato avrebbe funzionato da regolatore automatico della giusta distribuzione delle ricchezze, hanno chiesto con insistenza agli Stati e a tutti i governi: “dateci meno tasse, meno regole, meno stato e più mercato”.
Chiaramente il potere finanziario e industriale, usando anche la classica leva della corruzione, ha in massima parte asservito il potere politico in ogni parte del mondo; e così i governi sono stati “convinti” ad assecondare le scelte economiche, che hanno portato ad un capitalismo globalizzato e iperliberista. Scelte che sono state poi ripetutamente avallate e spiegate dalla maggior parte degli economisti, che le hanno presentate come ineluttabili e non sostituibili da alcun’altra teoria economica (e men che meno da considerazioni di giustizia sociale e di morale). Del resto dobbiamo tener presente il fatto che la maggior parte degli economisti sono a libro paga delle grandi multinazionali e delle grandi finanziarie e che, quindi, si guardano bene dallo sconfessare le attuali teorie economiche.
L’apertura dei mercati ha favorito soprattutto i grandi istituti finanziari e le grandi imprese multinazionali. Sono nati i paradisi fiscali e non solo. Molte nazioni hanno attirato gli investimenti delle imprese, offrendo aliquote fiscali irrisorie. Mentre le nazioni del terzo mondo hanno offerto manodopera a bassissimo costo e con regole minime.
E così, attualmente, siamo arrivati ad un sistema produttivo/finanziario a cui è permessa qualsiasi strategia operativa. Le società multinazionali, possono avere le proprie produzioni in paesi con bassissimo costo della manodopera, dove è facilissimo che i lavoratori siano sfruttati e sottopagati (anche 1,50 dollari al giorno), fino a forme di vera e propria schiavitù. In molti paesi le norme sanitarie e di sicurezza non devono essere rispettate ed anche le norme ambientali possono essere aggirate. In definitiva il punto della globalizzazione, dalla prospettiva del profitto, è proprio quello di spostare la produzione in Paesi dove lo sfruttamento delle persone, degli animali e della natura può avvenire senza troppe interferenze da parte dei governi.
Dopodiché le aziende possono anche decidere di stabilire le proprie sedi commerciali in paesi che accordano loro aliquote fiscali assolutamente ridicole. E le organizzazioni internazionali, naturalmente, non hanno alcun reale potere per imporre un’equiparazione delle tassazioni (come del resto non lo hanno neanche per imporre regole sociali ed ambientali uguali per tutti).
L’unica strategia (utilizzata in tutto il mondo) per reggere la concorrenza dei paesi a basso costo del lavoro, è stata l’introduzione su larga scala del lavoro precario, che, come effetti principali, ha ottenuto un forte abbassamento del costo della manodopera e una schiavizzazione dei lavoratori, minacciati subdolamente di mancato rinnovo dei contratti. Naturalmente anche l’attuale fortissima immigrazione rende disponibile manodopera a bassissimo costo, che oltretutto calmiera le richieste salariali dei lavoratori nostrani.
Ma il principio fondamentale del capitalismo, nella sua tendenza estrema, richiede che lo Stato eserciti solo le funzioni che i privati non possono gestire. Praticamente dovrebbero essere statali solo la Difesa, l’Ordine Pubblico, le Infrastrutture e la riscossione delle imposte; in tal modo la tassazione potrebbe essere ridotta ai minimi termini e si potrebbero liberare grandi risorse per gli investimenti privati (questa almeno è la tesi dei capitalisti). Ed è proprio questa la direzione che è stata presa nella maggior parte delle nazioni occidentali. Il welfare universale, conquistato soprattutto dopo la fine della seconda guerra mondiale, è ovunque in corso di lento ma inesorabile smantellamento. L’esempio trainante è dato dal sistema Americano (dove Trump è oggi il suo profeta).
Se, da una parte, si deve riconoscere che tale sistema sia indubbiamente efficiente (economicamente e finanziariamente), dall’altra sono altrettanto evidenti le storture che provoca:
- Dal punto di vista sociale: precarizzazione del lavoro, crescente disoccupazione, abbandono ed emarginazione dei più deboli, progressiva dismissione del welfare (sanità, pensioni…), crescita esponenziale delle disuguaglianze (che così stanno rapidamente ritornando ai livelli di inizio 1900), drammatica diminuzione degli interventi di manutenzione (con tragiche conseguenze, tipo il crollo del ponte Morandi a Genova, a cui ne potrebbero seguire presto moltissimi altri e non solo di ponti).
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- Dal punto di vista dell’ambiente:iperconsumismo, esaurimento delle risorse naturali (materie prime, acqua, energia, terreni coltivabili, risorse ittiche…), rifiuti in quantità insostenibile, iperproduzione di gas serra e conseguente riscaldamento globale, grave compromissione degli habitat naturali e degli equilibri ecologici… Tutto questo sta causando e causerà l’estinzione di milioni di specie animali e vegetali (la sesta estinzione di massa), rompendo millenari equilibri e provocando, fra l’altro, la migrazione di batteri e virus da una specie all’altra (i recenti coronavirus).
- Il clima potrebbe cambiare così radicalmente le condizioni di vita del nostro pianeta, da renderlo inospitale (o addirittura inabitabile), per la razza umana.
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- Dal punto di vista industriale: la spasmodica ricerca del profitto (massimo e immediato) frena drammaticamente gli investimenti in ricerca e innovazione, che garantirebbero crescita e ricavi nel medio e lungo periodo. Oltretutto le regole del massimo profitto stanno deteriorando drammaticamente la qualità dei prodotti. A tal proposito vi invito a leggere il libro di Marianna Mazzucato “IL VALORE DI TUTTO – Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale” (l’autrice insegna Economia dell’innovazione e del valore pubblico presso l’University College London ed è consulente di vari governi in tutto il mondo).
La riduzione dello stato e dei servizi sociali si è poi rivelato un drammatico errore, quando tutto il mondo è stato sommerso dalla pandemia da covid-19. Stati e servizi sanitari si sono ritrovati gravemente impreparati e inadeguati ad affrontare una simile emergenza. Il danno, soprattutto economico, è stato molto superiore ai risparmi ottenuti in precedenza dai tagli.
Inoltre la teoria dell’autoregolazione del mercato, teorizzata dai sostenitori del capitalismo e che doveva contribuire a redistribuire la ricchezza, è risultata completamente sbagliata (soprattutto a causa della naturale avidità dell’uomo). E quindi tutta questa situazione ha creato, a partire dagli anni ’90, una crescente polarizzazione, per cui attualmente l’uno per cento della popolazione ha in mano metà della ricchezza globale del pianeta, mentre il restante 99% deve dividersi l’altra metà. E questa è una forbice che tende ad allargarsi sempre di più e che presto potrebbe uguagliare, o addirittura superare, la condizione di inizio 1900 (l’1% che possiede il 60% della ricchezza globale). Fortunatamente la quantità di ricchezza totale disponibile all’inizio del secolo scorso era enormemente inferiore a quella attuale, e quindi oggi i più poveri (o almeno quelli dei paesi più industrializzati) sono comunque in condizioni molto migliori di allora. Però dobbiamo sempre tenere a mente che la tendenza è ad un rapido peggioramento e che le crisi economiche e sanitarie (vedi coronavirus) sempre più frequenti e disastrose potrebbero accelerare molto tale tendenza. Inoltre già adesso le popolazioni più povere del terzo e quarto mondo sono in condizioni peggiori di quelle di inizio 1900; e nell’ultimo decennio la povertà estrema ha ripreso a crescere.
Disuguaglianza
La Oxfam (organizzazione internazionale che lotta contro la povertà e le disuguaglianze) dal 2015 ha iniziato a redigere ogni anno un rapporto che mette a fuoco la povertà, la ricchezza e le disuguaglianze nel mondo. Nel rapporto 2015 Oxfam ha pubblicato grafici scioccanti, sulla suddivisione della ricchezza nel mondo, forniti da Credit Suisse (l’istituto di credito svizzero occupa ormai dal 2000 un team di ricercatori e di economisti per monitorare costantemente la progressione mondiale delle disuguaglianze). I rapporti Oxfam del 2015, 2016 e 2017 indicavano una tendenza davvero esasperata: nel 2017 dichiaravano che gli otto supermiliardari più ricchi avevano da soli più ricchezza di quanta ne possedesse la metà più povera dell’intera popolazione mondiale. Oltre a dichiarare che, già nel 2015, l’uno per cento più ricco possedeva tanta ricchezza quanto il restante 99%.
Dagli studi di previsione di Credit Suisse del 2014 la ricchezza dell’uno per cento sarebbe dovuta crescere progressivamente, allontanandosi sempre di più da quella del 99%. Invece, a partire dal rapporto 2018, c’è stato un forte rallentamento di questa dinamica, con addirittura una rettifica dei dati presentati dall’istituto di credito svizzero, che ha modificato anche il numero di miliardari che nel 2016 possedevano la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale (da 8 a 62 !!). Nei successivi rapporti annuali Oxfam, la ricchezza dell’uno per cento ha mantenuto la stessa percentuale del 99% più povero; mentre il numero di supermiliardari che hanno la stessa ricchezza del 50% più povero è diventato 62 nel 2016, 42 nel 2017 e 26 nel 2018. Guardando invece alla proiezione fatta da Credit Suisse nel 2015, nel 2019 l’uno per cento più ricco doveva aver incamerato il 54% della ricchezza mondiale (contro il 46% del restante 99% dell’umanità).
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Nei rapporti successivi, dal 2018 al 2020, le cifre fornite da Oxfam e da Credit Suisse sono state via via attenuate, finché nel 2020 i dati sono stati presentati in modo meno preciso e meno rapportabile a quelli degli anni precedenti, col risultato di lasciare qualche margine di interpretazione che permettesse di non sancire più che solo 8 miliardari (o magari meno) avessero una ricchezza pari a quella del 50% più povero della popolazione mondiale. E anche il rapporto fra la ricchezza dell’1% contro quella del 99% non è stato più dichiarato apertamente.
I dati 2018 del “World Inequality Report” (diffusi dalla Scuola di Economia di Parigi) sono stati poi ancora più blandi, benché anch’essi...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Prefazione
  6. Cap. 1 – Capitalismo globalizzato e disuguaglianze
  7. Cap. 2 – Come fermare il cambiamento climatico
  8. Cap. 3 – Dal vecchio al nuovo sistema economico
  9. Capitolo 4 - Conclusioni
  10. Bibliografia e sitografia