SeMente. Storia di un piccolo seme
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SeMente. Storia di un piccolo seme

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SeMente. Storia di un piccolo seme

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Informazioni sul libro

Una sorta di esperimento, un romanzo tutto scritto al presente ed in prima persona, azione che scorre come se fosse vissuta dal lettore.
Semente si sa è un seme ma potrebbe pure sorgere un dubbio, Se/mente, un gioco di parole, un romanzo di svago che fa riflettere sulla fragilità della nostra esistenza sotto questa biosfera che ci protegge.
Non c'è un personaggio principale, tutto ruota intorno ad un piccolo seme che si modifica e fa sì che si susseguano diversi personaggi che creano nuove storie, contesti, ambiti che si intrecciano essendo legati dall'interazione con questo seme che li collega.
Personaggi e storie di tutti i giorni; leggendo si entra nello stato psicologico di questi, si vive la "quotidianità" con uno svolgersi quasi naturale.
Azione costante, velocità e susseguirsi di eventi che accompagnano il lettore fino alla fine del romanzo dove in chiave satirica e tristemente ironica si mette in mostra il mondo in cui viviamo, il suo evolversi e soprattutto il potere che hanno oggi le multinazionali nella vita di tutti noi, giorno dopo giorno.
L'obiettivo narrativo del romanzo è di essere uno stimolo alla riflessione, impiegare l'arte, come mezzo per attirare e veicolare l'attenzione di un vasto pubblico su temi contemporanei.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788831692533
SeMente
Miriadi di granelli di sabbia bianca, dove lascio sprofondare le mie mani. Mi ancoro alla terraferma, seduto proprio al confine tra il certo e l’incerto. Sul bagnasciuga, lascio che il mare provi a trascinarmi in quell’acqua limpida e cristallina, l’oceano.
Sabato pomeriggio di febbraio, fa caldo a Ipanema e stranamente, c’è poca gente in spiaggia. A vista d’occhio, lungo la baia, vedo un palco dove una band si sta esibendo. Una gran caciara, in quella spiaggia!
Si sente, da lontano, un ritmo coinvolgente: tamburi, fischietti e urla di gente che danza e canta a squarciagola, come accade già da un mese qui, in Brasile, per il carnevale.
Proprio non mi va. Voglio godermi questa spiaggia bianca; seguo, con lo sguardo, il verde delle altissime palme che, dall’acqua, si estendono fino a quel che sembra, a prima vista, un enorme mattone rosso. Tante case, forse troppe! Abitazioni e vicoli che si possono intravedere solo da lontano. Mai mi azzarderei ad andare vicino alla famigerata favela di Rocinha.
Che paradiso e che meraviglia questa brezza tra i capelli! Un senso di tranquillità mi pervade, finché il vento, soffiando, sventola della carta vicino a me.
Il tempo sembra volare quando si sta bene, oramai sono in spiaggia da molte ore ormai e la sabbia, trasportata dal vento, ha quasi nascosto, il blocco di pagine bianche tradite dal telo blu, che le fa risaltare, come se dicesse: “Guarda, sono qui!”
Sfoglio quelle pagine e avverto un senso di orgoglio misto a tristezza per quei documenti che ho tra le mani. Aveva ragione il biologo francese il Dr. Bernard Gibaut a sospettare qualcosa e confidarsi con noi. “Qualcosa sta accadendo nei laboratori della OGMaster. Bisogna fermare l’operato di questa multinazionale di biotecnologie agrarie quanto prima possibile!” disse, con tono saccente.
Stringo al petto quel dossier e mi sdraio a pancia in giù, guardando verso l’orizzonte.
Il sole, simile ad una palla di fuoco, va dileguandosi poco a poco nel mare increspato, mentre, strisce di nuvole, dal blu al rosso, fanno da contrasto alla spiaggia dorata. Poco distante da me, Joau si è addormentato a torso nudo e adesso è coperto di sabbia tanto da sembrare una cotoletta: “che tipo!”.
Rivedo il dossier e leggo il titolo: Evoluzione della qualità alimentare e ripenso a quello che è successo l’altra notte. Scene confuse e veloci, nella mia mente, si susseguono.
Ripenso a Joau che, entrando in macchina, chiude lo sportello e mi grida: “Puoi partire!” Ingrano la marcia e, insieme, lasciamo i magazzini di quel complesso industriale il più velocemente possibile. Le luci giallastre dei lampioni scorrono veloci, il vento fresco della sera entra dai finestrini ed asciuga le gocce di sudore che mi scendono dalla fronte. Qualcosa non è andato come previsto! La persona che doveva coprirci ha fallito! Usciti dal quel capannone, si accendono, d’improvviso, mille fari bianchi, ci avevano scoperto!
Sirene iniziano a suonare. L’aria è carica di tensione. Dobbiamo dileguarci in fretta e non è facile!
Mentre Joau era negli uffici dell’amministrazione, per trovare prove concrete sull’ipotesi formulate dal Dr. Gibaut, io ho forzato la porta e sono entrato nel magazzino merci, ho caricato il furgone con tutti i sacchi di juta che avevo trovato, riempiendolo fino all’orlo e adesso è a pieno carico.
Con uno sguardo d’intesa iniziamo questa folle corsa. Andiamo velocissimi; dallo specchietto retrovisore, vedo i fari delle auto che ci inseguono sempre più lontani. Joau, mi intima di andare più veloce poiché anche la sicurezza privata ci sta inseguendo.
Schiaccio l’acceleratore a fondo, gli scricchiolii del vecchio furgone diventano sempre più acuti. Ci allontaniamo dalla zona industriale, dileguandoci tra le vie strette dei palazzi. Dietro di noi, diverse auto ci inseguono; alla sicurezza privata si è aggiunta la Polizia federale. L’unica salvezza è nascondersi, andare verso la montagna dove la vegetazione è più folta!
«Joau guarda giù, com’è il fiume, che dici, possiamo farcela?»
«Assolutamente no! Sta piovendo ed il fiume è in piena. L’acqua è alta e scorre troppo velocemente. Saremo trascinati, non possiamo attraversarlo, dobbiamo proseguire e passare dal ponte a lato nord!»
La strada rossa, di terra battuta, non facilita le cose. Dopo una curva, imboccata troppo velocemente, finiamo fuori strada. Il furgone comincia a girare su se stesso ed andiamo a sbattere contro un albero. Il faro destro, a causa dell’urto, si spegne distruggendosi in mille pezzi. Joau mi grida: “Cosa combini, vuoi ammazzarci?!” Tutto appare sfocato. Mi sanguina il labbro, ho sbattuto la faccia sullo sterzo, sudo freddo e mi sento svenire. Un senso di calma apparente mi pervade ma non mi lascio andare. Mi asciugo la fronte con la manica della camicia, riaccendo il furgone che si è spento e riprendo la folle corsa.
Il rombo del motore mi rianima e dà conforto, come se tifasse per noi! Non possiamo rischiare di finire in prigione, ci siamo spinti troppo oltre ed essere rinchiusi in una prigione brasiliana, di certo, non è la nostra massima aspirazione.
Il paesaggio cambia, sempre meno abitazioni e la vegetazione si infittisce. Entriamo nel bosco, salendo su per la montagna. Dall’alto riusciamo a vedere la città. Il buio pesto, dietro di noi, ci dà sollievo. Siamo riusciti a far disperdere le nostre tracce, svanendo nel nulla. Le luci della città sono adornate da fuochi d’artificio e come fontane nella notte, ricordano il clima di festa carnevalesca poco lontano da noi. Di sicuro, fiumi di gente tra le strade ballano intorno alle vie del centro; un via vai di persone in maschera. Colori e piume scintillanti passeranno dal sambodromo, un’enorme festa che durerà tutta la notte e quelle a seguire. Noi, ovviamente, non possiamo essere tra la folla, anzi, è tempo di andare.
Fa molto caldo, anche se è notte e il cielo limpido mostra tutti i suoi gioielli: puntini d’oro, stelle che ci accompagnano e illuminano la via.
Non ci fermiamo nemmeno un attimo, come pirati dispersi nell’oceano. Ho guidato per tutta la notte ed ancora diverse ore dopo le prime luci dell’alba, prima di raggiungere questa spiaggia. Pulisco il dossier, lo scrollo facendo cadere la sabbia e lo ripongo nello zaino.
La polizia ci sta cercando, meglio stare qui tra la miriade di gente in spiaggia dove è impossibile trovarci. Aspettando il calare del sole, dormiamo ancora un po’, siamo esausti e più tardi potremo, finalmente, nasconderci nel casale Pura Vida.
All’improvviso, un’onda più forte delle altre ci sorprende, siamo bagnati entrambi. Dietro di me c’è Joau che inveisce contro il dio Nettuno “Se vengo lì, ti prendo io, a colpi di tridente!”
Si è svegliato proprio in malo modo!
Prendiamo le nostre cose, le asciughiamo, alla meno peggio ed iniziamo a camminare. Non ho voglia di parlare e nemmeno lui. Adesso è quasi buio e dobbiamo raggiungere il casale, su per la montagna.
Silenzio e tranquillità tra i viottoli; tra i tanti sentieri, da lontano, s’intravede la struttura imponente di blocchi bianchi. Tra il verde della vegetazione, scorgiamo l’antico casale, luogo ideale per ritrovare se stessi e sfuggire agli altri.
Proprio fuori dal casale, come se ci stessero aspettando, troviamo dei cani randagi. Stanno sotto gli alberi di mango, vicino ad una grande bacinella che contiene dell’acqua. Notandoci, ci vengono incontro, abbaiando e alzando un gran polverone.
Paulina, sentendo il rumore dei cani, capisce che qualcuno è arrivato. Uscendo dal portone, cerca di calmare quelle bestie. La polvere si dissolve e riesco a intravedere, sempre più chiaramente la sagoma di Paulina. L’abbraccio fortemente e quasi, finiamo a terra.
Il tempo si ferma: lei nei miei occhi ed io nei suoi, fino a che, una “cozzata” sul mio collo interrompe quel magico momento! Joau si fa spazio a modo suo, vuole salutare anche lui Paulina che ci invita ad entrare per raggiungere gli altri in giardino.
Mi sento a casa, dopo tanto tempo! Quell’atmosfera mi mancava! Il focolare è acceso e la luce soffusa del filo, con appese tante lampadine illumina, con discrezione, il prato e la gente intorno. Birra, risate e felicità fatta di piccole cose, volti mai visti e amici di sempre, finalmente insieme e con tante storie da raccontare.
L’unicità del casale Pura Vida è che chiunque è sempre ben accetto. Non esistono regole o restrizioni; gente che proviene da luoghi lontani si ferma lì, per un giorno o, a data da definirsi. Artisti, rifugiati politici, viaggiatori o “criminali”, come noi, siamo riuniti in quell’enorme giardino dove, ognuno si sente libero di esprimere sé stesso. Chi dorme su terrazze create sugli alberi, chi balla, chi canta e qualcuno organizza sedute di yoga o laboratori per insegnare e creare utensili e oggetti che saranno poi venduti nei mercatini: braccialetti, scarpe, indumenti e tutto quello che è possibile realizzare.
Ci sono molti surfisti, gente che segue le onde, onde che possono fare male e lo ricorda la miriade di tavole spezzate che, come cimeli, commemorano coloro che non sono tornati indietro dal mare e tra gli abissi, rimarranno per sempre!
Tra i tanti posti, mi siedo su una panca realizzata da me tanti anni fa; una vecchia tavola da surf, dipinta a mano, un volto in stile tribale. Passo il dito tra i solchi ed ogni graffio mi ricorda il mio passato. Pomeriggi trascorsi tra le onde, a cavalcioni sulle tavole.
A decine, stavamo al largo tutti insieme, aspettando il nostro momento; ore trascorse ad imparare a cavalcare quelle onde, a stare in equilibrio, cercando di superare quelle difficoltà. Un po’ come la vita: stare in piedi e contrastare tutte le forze che cercano di farti cadere.
Quando cadi, finisci in un vortice sott’acqua, giri su te stesso e ti ritrovi senz’aria; ti puoi fare male, molto male, sei da solo e devi farcela, nuotare, tentare e riprovare fino al successo.
In fondo, anche il giro del mondo è iniziato con un piccolo gesto, un passo alla volta per andare altrove!
Bei ricordi che mi hanno fatto venire sete. Quello che ci vuole è una birra ghiacciata.
Entro in casa, vado in cucina, prendo due birre e cerco Paulina. Quello che voglio, adesso, è trascorrere del tempo con lei, confidarle quello che avevamo scoperto entrando in quei magazzini. Il peggio si era avverato, quello che avevamo minimamente immaginato era vero! Quei fogli che tenevo nello zaino confermavano le ipotesi e le teorie che il Dr. Gibaut ci aveva illustrato.
Ora, mi avvicino lentamente a Paulina e con piccoli passi le vado incontro. Rimango incantato dalla sua bellezza e ne scruto ogni minimo dettaglio. Sono ammaliato dal suo corpo slanciato, pelle mulatta, capelli scurissimi ed occhi, quasi a mandorla.
La sua pelle liscia, il suo modo di guardare e l’eleganza, nel toccare gli oggetti, mi fa impazzire. Sì, è decisamente la mia gatinha preferita.
Avevamo pianificato, per ore e nei minimi dettagli, quel colpo riuscito grazie anche all’aiuto del Dr. Gibaut e alle sue conoscenze all’interno della struttura OGMaster.
Il peggio era passato ed era tempo di capire cosa ci riservasse il futuro. Eravamo di nuovo uniti adesso, io e Paulina ma, chissà per quanto tempo riusciremo a stare insieme?!
Arrivo davanti a lei. Sta parlando con altri amici ma non posso più attendere. Le prendo la mano e la porto via. Lei dice: “scusate” e mi segue.
Parlando del più e del meno, ci avviamo verso la terrazza. Accendo delle candele e ci sdraiamo su un’amaca enorme. Dondolando, ci abbracciamo e guardiamo il paesaggio. Distese senza fine, campagna, profumo di terra e fiori, vento caldo d’estate che accarezza i nostri corpi. Un silenzio quasi assordante che termina d’improvviso.
Paulina si allontana da me, prende la borsa e nervosamente, cerca l’accendino, accende una sigaretta e mi chiede cosa ho trovato alla OGMaster.
«Vedo che non ti stacchi da quello zaino ed il tuo essere vago, su quella notte, mi dice molto più di quello che vorresti!» ...

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