Servire Dio e Mammona
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Gli speculatori finanziari si arricchiscono mentre dormono. Realizzano un profitto ingiusto vendendo una cosa che non appartiene a loro, il tempo, che appartiene solo a Dio. Mammona designa la ricchezza degradante e ingiusta, soprattutto quando assume la forma del Denaro. Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e Mammona. Il Denaro è ricchezza e maledizione, sostanza e accidente, oggetto di desiderio e strumento di potere, bene rifugio e impalpabile bit.
Leo Essen ha studiato all’università di Bologna con Gianfranco Bonola e Manlio Iofrida. È autore di Come si ruba una tesi di laurea (K Inc, 1997) e Quattro racconti al dottor Cacciatutto (Emir, 2000). Ha collaborato con RKC di Bologna, di cui è stato vicepresidente e redattore delle trasmissioni Sorpasso in curva (sport) e il Pastone. È tra i fondatori delle riviste Il Gigio e Da Panico. Scrive su Contropiano e L’Antidiplomatico.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9791280401007
Categoria
Sociologie
Critica dell’economia politica del segno Baudrillard e Marx
I
L’obiettivo dichiarato di Per una critica dell’economia politica del segno di Jean Baudrillard è la decostruzione della distinzione tra valore-uso e valore-scambio che apre il Capitale. L’opera di Marx ha come sottotitolo Critica dell’economia politica. Dunque, il libro di Baudrillard, sin dal titolo, si inscrive nella storia del marxismo, nonostante ne contesti un argomento considerato da Marx elementare, dunque basilare: la distinzione, appunto, tra valore-uso e valore-scambio.
La merce è in primo luogo una cosa – dice Marx (Capitale I, 1.1). Una cosa che soddisfa bisogni umani. Il modo d’uso delle cose non è definito una volta per tutte. La proprietà della calamita di attrarre il ferro, dice Marx, divenne utile solo quando fu scoperta per suo mezzo la polarità magnetica. È compito della storia scoprire i molteplici modi d’uso delle cose. Come è compito della storia definire i termini e i modi di quantificazione di questi oggetti.
L’utilità della cosa è ciò che fa di essa un valore-uso.
Ma che cos’è l’utilità?
Marx ha già chiarito che l’utilità è legata alla proprietà della cosa.
Mentre la proprietà è data, l’utilità, in ogni caso, è prodotta dalla storia. Ma la storia la produce a partire dalla proprietà della cosa, dalla sua attitudine naturale (qui Marx cita a sostegno Locke) ad appagare un qualche bisogno umano.
L’utilità, dice Marx, non aleggia nell’aria. È legata al corpo dell’oggetto, e non esiste senza di esso. La calamita diventa utile con l’invenzione della bussola. Prima di questa invenzione, la proprietà del magnete di indicare il nord non aveva alcuna utilità. Pertanto, l’utilità non è un carattere permanente e fisso della cosa, non è un carattere naturale. Si potrebbe dire, forzando un po’ la mano, che solo nel suo utilizzo in quanto bussola, la calamita manifesta la sua proprietà.
Quando si scopre che la calamita può essere impiegata nel VHS, essa diviene utile per registrare su nastro film e spettacoli; oppure, quando si scopre che il magnetismo può essere usato per gli hard disk dei computer, gli altoparlanti delle casse acustiche, i motori elettrici, i treni a levitazione, le carte di credito, eccetera, i rimandi della calamita ai suoi usi possibili si allargano, sino al punto da mostrare la vacuità della domanda «che cos’è la calamita?». Aldilà di questi rimandi, la calamita non è niente.
A questo punto bisogna chiedersi se la distinzione che Marx cerca di mantenere tra proprietà (naturali) e utilità (storiche) resiste all’argomento che considera l’emergere delle proprietà come strettamente connesso con la struttura di rimandi degli usi possibili.
II
I valori-uso, dice Marx (Capitale I, 1.1), costituiscono il contenuto materiale della ricchezza, qualunque sia la forma. I valori-uso sono i vettori dei valori-scambio.
Il valore-scambio può essere in generale solo il modo di espressione di un contenuto distinguibile da esso. È forma, e non contiene nemmeno un atomo di valore-uso. E non può contenerlo, dice Marx, poiché le proprietà corporee, in generale, entrano in considerazione solo in quanto rendono l’oggetto utilizzabile, cioè in quanto fanno di esso un valore-uso. Se queste proprietà entrassero anche nel valore-scambio i prodotti non sarebbero più commensurabili.
Da una parte, per essere commensurabile, il prodotto deve perdere le differenze corporee che lo distinguono da tutti gli altri corpi di prodotti, e, dall’altra, deve mantenere le proprietà corporee, perché se il prodotto perdesse queste proprietà, lo scambio non avrebbe più alcun motivo di essere perfezionato. Il prodotto deve presentarsi contemporaneamente come valore-uso e valore-scambio.
III
Il titolo del primo paragrafo del Capitale è: I due fattori della merce: valore-uso e valore (sostanza del valore e grandezza del valore) - Die zwei Faktoren der Waare: Gebrauchs werth und Werth (Werthsubstanz, Werthgrösse).
Nel secondo paragrafo, Marx chiarisce che il valore-scambio non deve esprimere solo il valore in generale (Werthsein), ma anche il valore determinato quantitativamente, ovvero la grandezza di valore (Werthgrösse). Dunque, ci sono la Werthsubstanz, la Werthgrösse e la Werthsein. La Werthgrösse e la Werthsein sono parti della Werthform. La Werth-form, dice Marx, deve esprimere non soltanto l’esser-valore, ma anche la sua grandezza. È importante non confondere la Werthgrösse con la Werthsein, perché è proprio dal passaggio dall’esser-valore della merce alla quantificazione di questo valore che si misurano tutte le difficoltà, non solo dell’approccio di Marx, ma di ogni altro approccio.
La Werthsubstanz è il lavoro. Ma il lavoro, dice Marx, non è l’unica sostanza. Il valore-uso, ovvero il corpo della merce (Waarenkörper), è la combinazione di due elementi: 1) materia fornita dalla natura e 2) lavoro. Se si sottrae il totale dei vari lavori utili contenuti nel corpo della merce, rimane sempre un substrato materiale (materielles Substrat), presente per natura, senza intervento dell’uomo. L’uomo può soltanto modificare la forma della materia, ma questa materia si offre da sé. Il lavoro non è l’unica sostanza dei valori-uso. C’è anche una sostanza materiale che si fa avanti da sé.
Il valore-uso, il corpo fisico, ha dunque una sostanza materiale. Questa sostanza si mostra di volta in volta come bussola, come hard disk, come film, come treno, come cassa acustica, eccetera. Gli usi possibili della sostanza calamita sono molteplici. Questi usi hanno il carattere del ritmo (ῥυϑµός), dello scorrere, del mutevole, dell’instabile e incostante. Ciò che è privo di ritmo, che rimane stabilmente presente nell’avvicendarsi dei diversi prodotti è la sostanza. Pertanto, l’unica cosa che, nel ritmo incessante, rende veramente afferrabile il valore-uso è proprio la sostanza materiale. Le attualizzazioni di questa sostanza sono di un grado minore, non soddisfano in pieno i requisiti per imporsi come veraci.
V
La calamita è una oggetto. Ingenuamente si ritiene che l’oggetto sia la cosa che abbiamo di fronte e che possiamo afferrare con la mano. Ma con la mano afferriamo sempre e solo la bussola, o l’hard disk, e mai la calamita. Afferriamo questo o quel suo uso attuale, ma mai i suoi usi possibili, la sua sostanza.
L’oggetto, dice Kant (Critica, § 17), è ciò nel cui concetto è unificato il molteplice di una data intuizione. Tutto il molteplice è unificato in un concetto dell’oggetto. In più, dice, ogni unificazione delle rappresentazioni richiede l’unità della coscienza nella sintesi di esse. Dunque, l’unità della coscienza è ciò che solo costituisce il rapporto delle rappresentazioni con l’oggetto, e quindi la loro validità oggettiva, ossia ciò che le fa conoscere, e su cui perciò riposa la possibilità dell’intelletto.
Tutto il molteplice dell’intuizione, dice Kant (§ 17), è sottoposto alle condizioni dell’unità sintetica originaria dell’appercezione. Ogni unità del molteplice rimanda e richiede l’unità di un soggetto. L’io penso, dice Kant (§ 16), il cogito sum, deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni; in caso diverso, si darebbe in me la rappresentazione di qualcosa che non potrebbe essere pensata; il che equivale a dire che la rappresentazione o sarebbe impossibile o, per me almeno, sarebbe nulla. L’intuizione è quella rappresentazione che può venir data prima di ogni pensiero. Perciò ogni molteplice dell’intuizione ha una relazione necessaria con l’io penso, nello stesso soggetto in cui questo molteplice ha luogo. Ma la rappresentazione dell’io penso è un atto della spontaneità, ossia non può venir ritenuta propria della sensibilità. Io la chiamo, dice Kant, appercezione pura, per distinguerla da quella empirica, o anche appercezione originaria, perché è quella autocoscienza che, producendo la rappresentazione io penso – che deve poter accompagnare tutte le altre, ed è una e identica in ogni coscienza – non può essere accompagnata da nessun’altra. L’unità di questa rappresentazione, dice, la chiamo anche unità trascendentale dell’autocoscienza, per designare la possibilità della conoscenza a priori, che in essa si basa. Infatti, le molteplici rappresentazioni che sono date in una certa intuizione, non potrebbero tutte assieme essere mie rappresentazioni se tutte assieme non appartenessero a una sola autocoscienza.
L’autentico soggetto, l’autentica sostanza, è per Kant l’io, l’io penso. È evidente che non si tratta dell’io psicologico, dell’io empirico, dell’io antropologico. Di quell’io che può essere appreso da una scienza positiva. Non può essere, insomma, un io recepito dalla sensibilità, in quanto tutto ciò che proviene dalla sensibilità, dunque anche un io psicologico o antropologico, per essere riunito in unità, richiede appunto un io trascendentale.
L’io così inteso è il fondamento originario dell’Unità del molteplice - può tenere tutto, fare la sintesi. L’intelletto, che è sempre volto a investigare i fenomeni, per scoprire in essi una regola oggettiva, dunque inerente la conoscenza dell’oggetto, formula le leggi. E benché queste leggi le apprendiamo mediante l’esperienza, esse, dice Kant, non sono che determinazioni particolari di leggi più complesse che hanno la loro origine a priori nell’intelletto stesso. Esse non sono tratte dall’esperienza, ma debbono, al contrario, conferire ai fenomeni la loro conformità a leggi, rendendo così possibile l’esperienza. L’intelletto, pertanto, non è la semplice facoltà del rinvenimento di regole mediante il raffronto di fenomeni, ma è esso stesso il legislatore della natura. Senza l’intelletto, dice, non sussisterebbe assolutamente una natura, ossia un’unità sintetica del molteplice.
I fenomeni, dice Kant (Critica r.p., p. 415 Bompiani), non possono, come tali, avere luogo fuori di noi, ma esistono soltanto nella nostra sensibilità. Questa, però, in quanto oggetto della conoscenza in un’esperienza, non è possibile, assieme a tutto ciò che può contenere, se non nell’unità dell’appercezione. L’unità dell’appercezione, a sua volta, è il fondamento trascendentale della necessaria conformità a leggi di tutti i fenomeni di un’esperienza. Tutti i fenomeni, in quanto esperienze possibili, si trovano dunque a priori nell’intelletto, dal quale traggono la loro possibilità formale, non diversamente dal modo in cui, in quanto semplici intuizioni, si trovano nella sensibilità, mediante la quale soltanto risultano possibili quanto alla forma.
Quando Marx dice che il valore-scambio non contiene nemmeno un atomo di valore-uso; quando dice che il valore-scambio è la forma di cui il valore-uso è il contenuto, vuole ribadire questo assunto della filosofia critica, ovvero che la sostanza del valore è soggetto. Resta da vedere se questo soggetto, sulla scia di Cartesio e di Kant, coincide con l’Io penso.
VI
Credendo di poter trovare nelle cose stesse le leggi che le governano si finisce per cadere nello scetticismo. Kant supera questo rischio ribaltando la prospettiva. È venuto il momento anche in metafisica, dice (Critica, Introduzione), di tentare il cammino inverso, muovendo dall’ipotesi che siano le cose a doversi regolare sulla nostra conoscenza, e non la conoscenza sulle cose. Non si tratta di una resa al razionalismo, o all’innatismo. Kant non si ritira dall’esperienza effettiva e dall’atteggiamento empirista. I pensieri senza contenuto, dice, sono vuoti. C’è sempre un momento di passività, la sensibilità implica ancora una certa passività, una ricettività rispetto ad un dato che agisce e ha effetti sul cogito sum. Questa passività evidenzia la connessione tra il cogito, che qui si pone come sostanza, e il cogitato. Tuttavia, nonostante questa relazione di passività, Kant rileva il momento produttivo dell’Io penso. Le intuizioni senza concetti, dice, sono cieche. Sottolinea la relazione tra sostanza e produzione.
Come va intesa questa produzione?
Il primo modo, quello medievale e antico, in cui il contenuto si collega alla forma, rimanda all’atteggiamento produttore propriamente detto. Il secondo modo, che è quello di Kant, rimanda all’apprensione, alla percezione.
La risposta alla domanda «Che cos’è?» deve riguardare qualcosa che sia necessario. Qualcosa che valga per tutte le occorrenze. Qualcosa, dunque, che sia già stato. Che possa presiedere all’apparizione di tutte le occorrenze effettive, di tutte le sue attualizzazioni. Qualcosa che sia prima o fuori dal tempo, che sia meta-fisico
VII
Per gli economisti neoclassici l’utilità non è una proprietà della cosa, ma un rapporto tra l’individuo e la cosa. Può sussistere o sparire a causa di mutamenti o sviluppi dei bisogni umani. Una stessa cosa può essere utile o diventare dannosa per individui differenti (che hanno bisogni diversi) o per lo stesso individuo in momenti diversi oppure in relazione a usi differenti (Menger, Principi). L’essere-utile non è sostanza. Non è un elemento costante o comune. Non è un sostrato. Non è soggetto. Non è quell’unità del molteplice che, tenendo tutto, può fare la sintesi. Non è un’unità trascendentale. Se si considerano i prodotti del lavoro, in essi non si trova alcuna sostanza comune. Valere, dice espressamente Böhm-Bawerk, non è essere.
La teoria di Marx, dice Böhm-Bawerk, mirando alle cose stesse, mira proprio a questo essere. Ma non c’è alcun essere, alcuna costante, niente che possa entrare a far parte di una esperienza effettiva.
La decostruzione di Baudrillard della teoria del valore di Marx si muove sullo stesso binario dei neoclassici. In Marx, dice (Per una critica), lo statuto del valore-uso è ambiguo. È noto che la merce è contemporaneamente valore-scambio e valore-uso; ma quest’ultimo è sempre concreto e particolare, mentre il valore-scambio è astratto e generale. Nella sua particolarità e concretezza il valore-uso è un valore autentico che verrebbe corrotto (alienato) dal valore-scambio. Vi è in esso, dice Baudrillard, la promessa di risorgere, oltre l’economia mercantile, oltre il denaro, oltre il valore di scambio, nella gloriosa autonomia del rapporto semplice tra l’uomo e il suo lavoro, tra l’uomo e i suoi prodotti. L’utilità, in quanto tale, in Marx sfugge alla determinazione storica. Designa un rapporto finale immediato e naturale la cui trasparenza sfida la storia. Invece, dice, il valore-uso e la stessa utilità, come il valore-scambio, sono interamente storici.
Il valore-uso, dice Baudrillard, non può essere assunto come ciò che, nella serie delle permutazioni possibili, rimane stabile. Affinché si inauguri un sistema di valori-scambio, il valore-uso deve recedere dalla sua insostituibilità o incomparabilità. Il prodotto deve essere pensato e razionalizzato in termini di utilità. Proprio questa riduzione costituisce la condizione di base dello scambio economico. Se questa riduzione non si realizza, si rimane vincolati allo scambio simbolico.
Dunque, contrariamente a quanto dice Marx sulla «non comparabilità» dei valori-uso, nell’utilità, scrive Baudrillard, si ritrova intera tutta la logica dell’equivalenza. Il valore-uso è già un equivalente. Solo i beni investiti nello scambio simbolico (il dono, il regalo) sono in senso stretto imparagonabili. La relazione personale (lo scambio non economico) li rende del tutto singolari. Ma, al contrario, in quanto valore utile, l’oggetto attinge all’universalità astratta, all’«oggettività» (attraverso la riduzione di ogni funzione simbolica). Nel simbolo rimane una relazione tra il referente e il significato. L’anello nuziale non può essere sostituito da un anello identico, senza perdere il suo valore affettivo.
L’oggettività del valore-uso è l’utilità. Ogni valore-uso, dice Baudrillard, è traducibile nel codice astratto generale dell’utilità, che costituisce la sua ragione, la sua legge oggettiva, il suo...

Indice dei contenuti

  1. Nota ai testi
  2. Carl Menger: Empirismo radicale
  3. Böhm-Bawerk contro il Plusvalore
  4. Se Brancaccio legge Marx
  5. Marxismo napoletano: Augusto Graziani
  6. Althusser: L’innocenza dell’avvenire
  7. Non c’è Alienazione - Althusser: Per Marx
  8. Lucio Colletti - Marxismo e Lotta di classe
  9. Il padre di Libra, la moneta di Facebook
  10. Critica dell’economia politica del segno Baudrillard e Marx
  11. Il Tempo è Denaro