Prossimo al naufragio
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A quel tempo avevo quaranta anni e cominciavo a sognare di guadagnarmi da vivere portando in barca a vela altre persone; mi sembrava che fosse una vita vissuta al massimo della libertà possibile. Il contratto era firmato e la barca era diventata mia. Emozione: tanta; eppure non era la mia prima barca. Ne avevo avute altre tre prima di questa. La leggerezza che mi ha portato all'acquisto sconsiderato mi è quasi incomprensibile anche oggi a distanza di anni. Al momento della firma avevo avuto messaggi premonitori che mi sconsigliavano l'acquisto, ma mi ero innamorato di quella barca e, quando ci si innamora, il raziocinio non viene ascoltato.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9791220324984
Argomento
Literature
Categoria
Drama
Fine Febbraio 1987
Grande emozione. Arriva la gru. Si sistemano le fasce e il bilanciere e in poco tempo la barca è sospesa in aria e si sposta lentamente verso l’acqua. La barca è varata. La riporto all’ormeggio presso il pontile di Carmelo. Questa volta, anche se i giorni che seguono mi dimostrano che non sarebbe servito, l’ormeggio di prua è su due trappe. La barca sta anche troppo lontano dal molo (che due mesi prima aveva “morso” con cattiva crudeltà la parte sinistra dello specchio di poppa). Il tempo non è un granché. Rispetto alla rotta il vento è forte e contrario. Decido dunque di aspettare che si calmi o, quantomeno, giri da una direzione più favorevole. Nel frattempo la temperatura si abbassa e, sono anni che a Vibo Marina non succede, scendono alcuni fiocchi di neve sulla spiaggia. Aspetto, aspetto ed ancora aspetto.
Finalmente esce il sole, l’aria si fa più mite, il vento è una piacevole brezza. Bene! Si parte; emozione alle stelle, atmosfera serena e tranquilla a bordo. Il vento cala fino alla bonaccia; avvio il motore e procedo verso lo stretto di Messina che intravedo in lontananza; rimango affascinato anche dai due immensi piloni che sostengono i cavi conduttori dell’elettricità che attraversano lo stretto. Passo con un po’ di timore lo stretto, pensando alle correnti di Scilla e di Cariddi e a tutti i racconti che avevo sentito da bambino sui gorghi che hanno inghiottito fior fiore di marinai; in realtà nessun particolare problema e tutto procede per il meglio. Nel frattempo si avvicina la sera e decido per una sosta a Reggio Calabria. Proprio durante le operazioni di ormeggio il vento rinforza e me la vedo brutta: il mio amico che deve sistemare sulla bitta di prua la trappa se la lascia sfuggire di mano. La barca ruota la prua pericolosamente verso altre barche già ormeggiate. Questa volta ho un po’ di fortuna e c’è soltanto un appoggio appena un po’ brusco sui parabordi, ma niente danni. Ci si rilassa e si prepara la cena che avviene in un’atmosfera serena e distesa. Per il dopocena facciamo una passeggiata per Reggio Calabria che ci appare esotica e piena di fascino.
Dormo come un sasso. Il mattino annuncia una bella giornata con vento appena fresco. Si fa colazione con caffè e brioches fresche appena comprate nella panetteria che è a pochi passi dal porticciolo. Pieni di rinnovato buon umore si mollano gli ormeggi e via con andatura mure a sinistra al traverso/lasco con un bel vento di 12/14 nodi. Navighiamo così per una oretta e mezzo. Lentamente la rotta, che segue la costa ad una distanza di un miglio circa, cambia. Dobbiamo accostare orzando anche per non fare un percorso più lungo del necessario. L’andatura, sempre mure a sinistra, diventa di bolina larga; la barca fila veloce e stabile appena un po’ inclinata verso dritta. Raggiungiamo capo Spartivento. Capisco subito perché lo chiamano così: il vento gira in prua e rinforza fino a venticinque nodi. Debbo ridurre le vele: fiocco a prua e una mano di terzaroli alla randa. Indossiamo le cerate; comincia una dura bolina; dopo pochi minuti gli spruzzi sollevati dalla prua ci investono cominciando a bagnarci sempre di più. La barca non ha il paraspruzzi e avanzare diventa molto duro, faticoso e scomodo, soprattutto per il gran freddo, che comincia a penetrare fino alle nostre ossa. Non si tratta di navigare così per un paio d’ore e poi rientrare in porto e fare una piacevole doccia calda. Questa navigazione potrebbe durare chissà quanto tempo con la prospettiva di passare molti giorni in mare. Decido che non dobbiamo assolutamente infreddolirci oltre: bisogna invertire la rotta e tornare indietro. So che tra noi e Reggio Calabria c’è il porticciolo di Saline Ioniche; dunque per non perdere tutta la strada già fatta dirigo la prua verso Saline Ioniche. In breve tempo giungiamo all’ingresso: il porto non è di sicuro un porticciolo, ma una costruzione imponente: fondali di tredici-quattordici metri, banchine alte un paio di metri sul livello del mare. Il fatto più inquietante che mi intimorisce non poco è che non c’è nessuno: nulla, neanche una piccola barca di pescatori. Nello spazio a terra vedo un gran numero di costruzioni industriali deserte: non c’è anima viva.
In ogni modo il porto è ben ridossato e non è il caso di fare gli schizzinosi: decido di restare lì almeno per una notte nell’attesa che il vento si calmi o cambi direzione. Dopo un paio d’ore vedo avvicinarsi alla barca una persona; il mio pensiero va subito ai problemi che può crearci: visto le ultime esperienze tendo ad essere pessimista. Forse non possiamo stare ormeggiati. O forse dobbiamo andar via. Nella migliori delle ipotesi dobbiamo spostarci presso un’altra banchina del porto pagando magari qualche cosa per l’ormeggio. Invece la persona è gentilissima: è il geometra custode del complesso industriale e, con la sua auto, ci accompagna a casa sua, mettendoci a disposizione il telefono per avvertire i nostri familiari a casa dell’evolversi del nostro viaggio di trasferimento. Incuriositi dal luogo così deserto e abbandonato chiediamo notizie. Il porto è stato costruito per ospitare la navi che avrebbero dovuto trasportare i prodotti dell’industria chimica che si avvaleva dell’imponente complesso di costruzioni retrostanti. Non si sa perché (o forse lo sapeva, ma non voleva o non poteva dircelo) la cosa ha funzionato per poche settimana e poi…. tutti a casa. Il risultato è stato anche il porto che a me sta facendo molto comodo. Il tempo trascorre piacevolmente e arriva l’ora di cenare. Mangiamo con serenità tra scherzi, battute e tanta allegria. Rimetto in ordine la cucina e ci apprestiamo a passare la seconda notte a bordo con una leggerissima apprensione per il lungo trasferimento che ci aspetta.
Uno degli amici mi informa che vuole sbarcare: non immaginava che la navigazione potesse essere così impegnativa. Ovviamente non posso certo trattenerlo.
Ci svegliamo poco dopo l’alba; la giornata appare bella e splende un bel Sole. Non c’è neanche una bava di vento, ma va bene così: guadagneremo miglia navigando a motore. Dobbiamo superare capo Spartivento, attraversare il golfo di Squillace, arrivare al traverso di Isola Capo Rizzuto e di Crotone. Dopo Crotone abbondoneremo la vista della costa e traverseremo il golfo di Taranto portando la prua su Santa Maria di Leuca. La rotta da tenere sarà più o meno la stessa fino a Santa Maria di Leuca. Dovremo quindi tenere un angolo di circa 45 gradi rispetto al Nord Vero. Speriamo di non avere vento da Greco (che viene proprio da 45 gradi). Facciamo una rapida colazione, il nostro amico sbarca e, con un po’ di malinconia, lo salutiamo.
Avvio il motore (sempre con l’etere spruzzato davanti al filtro dell’aria e dunque con un po’ di preoccupazione per i danni che possono essere fatti). Molliamo gli ormeggi e usciamo dal porto. Mare calmo e assenza di vento. La barca procede a motore alla velocità di sei nodi e mezzo: tutto mi sembra tranquillo. Superiamo Capo Spartivento ed entriamo nel golfo di Squillace. Il Portolano riporta che nel golfo di Squillace c’è sempre un vento rabbioso che ovviamente temo un po’. Invece tutto tranquillo, anzi una leggera brezza ci fa navigare con il vento al traverso. Metto il motore in folle ma la velocità scende subito ad un paio di nodi; la strada da fare è lunga e non mi sembra il caso di fare il purista. E dunque lasciamo il motore aiutato dalla randa: ritorniamo ai sei nodi e mezzo di prima, ma con il motore con duecento giri al minuto in meno. Risparmiamo carburante e, soprattutto, risparmiamo il motore che ha dimostrato di avere i suoi anni.
Intorno a mezzogiorno stiamo per lasciare il golfo di Squillace. Poco dopo arriviamo al traverso di Isola Capo Rizzuto. Tra poco saremo al traverso di Crotone dove lentamente perderemo di vista la costa per attraversare il golfo di Taranto. Tutto sembra andare per il meglio, ma la storia di questa barca è cominciata male e ti pare che non arriva qualche guaio?
Quando siamo esattamente al traverso di Crotone un rumore acuto e sinistro simile a quello prodotto da parti metalliche che strisciano tra loro proviene dal motore: esso (il motore) tira le cuoia e decide di grippare. E adesso? Sono un velista con discreta esperienza; tra gli amici a bordo uno è decisamente in gamba. Si tira dritto: non molliamo e, come se dovessimo partecipare ad una regata sappiamo che l’arrivo è ad Ancona. Si tratta di aspettare il vento a di farcela tutta sotto vela. Prima boa: Santa Maria di Leuca. Dopo un paio d’ore arrivano sei/sette nodi di vento che ci fanno avanzare a tre/quattro nodi con un andatura tra la bolina larga e il traverso. Lentamente ci allontaniamo da Crotone ed entriamo nel golfo di Taranto: si avvicina la sera e con la sera arriva il freddo. Ci copriamo con abbigliamento caldo, ma è davvero freddo e ci manca sempre un po’ per stare davvero caldi e rilassati. Prima di sera arrivano in volo sette passerotti che, non so per quale motivo, decidono di venire a dormire in barca con noi; si infilano nella cabina di prua dove sono ammassati i sacchi delle vele. Non ci danno nessun fastidio e li lasciamo in pace. Mangiamo qualcosa di caldo e ci prepariamo per i turni della notte. La barca, sotto randa e genoa, anche se lentamente, si avvicina a Leuca. Alle due di notte cerco di fare il punto nave con un radiogoniometro che mi ero fatto prestare da un amico. Incrocio il rilevamento del radiofaro di Catanzaro con quello di San Cataldo di Lecce. Per un controllo dei due rilevamenti capto anche il segnale di Rocca Imperiale; quest’ultimo rilevamento fa un angolo modesto con quello di Catanzaro, ma i radiofari disponibili sono soltanto questi e mi debbo accontentare
A quel tempo, era la metà degli anni ottanta, non c’erano i navigatori satellitari che ci sono oggi. Si parlava vagamente di un sistema LORAN. Il sistema LORAN (LOng RAnge Navigation: navigazione a lungo raggio) era un sistema di radionavigazione tramite onde radio LF (a bassa frequenza). Sfruttava l'intervallo di tempo tra i segnali ricevuti da tre o più stazioni per determinare la posizione di una nave o di un aereo. Questo sistema forniva le coordinate geografiche (latitudine e longitudine) che venivano poi riportate sulla carta nautica determinando così la posizione.
Comunque questo sistema LORAN non è istallato sul mio First 35 e mi debbo arrangiare con i radiofari e con il radiogoniometro[U8]. Il radiofaro emette, su una frequenza a lui dedicata, un segnale radio. Il radiogoniometro, settato su quella frequenza radio, capta le onde radio ed individua la direzione, ruotando lo strumento, quando il segnale si annulla. Sulla bussola montata sullo strumento si legge l’angolo di rilevamento che, corretto della declinazione magnetica, può essere tracciato sulla carta nautica. L’operazione viene ripetuta incrociando un altro rilevamento di un altro radiofaro. L’insieme delle operazioni di rilevamento deve essere fatto lontano dalle masse ferrose e dagli apparecchi radioelettrici di bordo al fine di sperare che la deviazione magnetica residua dovuta ai ferri di bordo sia pari a zero. Si tratta di un metodo farraginoso e dubito della precisione, ma il risultato è sconfortante: siamo sì e no ad un quinto del tratto Isola Capo Rizzuto-Santa Maria di Leuca. Avanziamo a pochi nodi e, lentamente, arriva l’alba con cielo grigio che non aiuta certo verso il buonumore. Vado a dare un’occhiata ai passerotti e li trovo tutti rovesciati sul dorso con le zampe in alto: sono tutti morti stecchiti! Provo un enorme smarrimento che mi butta il morale a terra. Non esagero: la sensazione è pesante anche per la situazione di precarietà che sto vivendo.
Che cosa ci faccio come un cretino in mezzo al mare con una barca con il motore in avaria e con sette passerotti che sono morti durante la notte? Sogno il mio bel lavoro che si svolge con tutti i confort degli uffici e della città. Cerco di reagire e di non abbattermi: bisogna stringere i denti e portare a termine questo benedetto trasferimento che nei momenti più neri sembra al di sopra delle mie forze. D’altronde non c’è alternativa: non è che posso scendere insieme ai miei amici e lasciare tutto lì.
E allora via tutti i malumori e diamoci da fare per portare fino in fondo questo viaggio via mare. Il vento non aiuta; passa tutta la giornata e arriva la sera. Quando cala la notte riconosco il faro di Santa Maria di Leuca molte miglia più avanti un poco sulla nostra sinistra: intorno alle due di notte siamo al traverso del faro in assenza totale di vento. Siamo in un punto di notevole traffico navale e mi preoccupo un poco. Non so per quale motivo la barca compie delle lentissime rotazioni su se stessa e le luci di via, ovviamente accese, mostrano alle navi in transito una volta il verde, una volta il rosso e poi la luce bianca del coronamento; e via daccapo.
Viene finalmente la luce del giorno insieme ad un po’ di vento che ci toglie da questa situazione imbarazzante. Cominciamo, anche se con esasperante lentezza, a procedere verso punta Palascia (poche miglia a sud di Otranto). Un paio di amici a bordo cominciano a sentirsi poco bene: il mal di mare e il freddo hanno lavorato contro di loro. La loro temperatura corporea è sotto i trentacinque gradi. La cosa mi preoccupa non poco: anche io non sono un fiore, ma loro stanno proprio male.
Il Sole ci scalda un po’ e il vento gira fino ad una robusta brezza di mare. La barca torna viva e comincia a galoppare con il vento al traverso rollando un po’ (non è quello che ci vuole per chi non sta bene per il mal di mare). Mi sto avvicinando al porto di Brindisi. Già da tempo ho memorizzato la presenza di insidiosi bassofondi nelle vicinanze dell’ingresso al porto; faccio dunque molta attenzione a stare ben lontano dal pericolo di incaglio. Quando arriviamo circa a un miglio al largo dell’ingresso del porto di Brindisi sono le due del pomeriggio. Sono incerto se proseguire o entrare; mi preoccupa non poco lo stato di salute dei miei due amici. La saggezza mi dice di entrare, anche se farlo navigando a vela senza l’ausilio del motore non è proprio banale, ma neanche fuori delle mie capacità. Poi, quando sarò nelle vicinanze degli ormeggi della Lega Navale, chiederò alla voce l’aiuto di qualcuno. La voglia di approfittare del vento mi porta a proseguire.
Mentre mi arrovello nella decisione e gli eventi decidono per me: il vento cala rapidamente fino alla bonaccia. I miei amici sembrano catatonici; sono molto preoccupato per loro e capisco che debbo finirla lì: entrare a Brindisi, dormire, rifocillarsi e partire magari domani.
Con il VHF chiamo sul canale 16 la Capitaneria di Porto di Brindisi. Mi risponde subito un operatore che mi invita a cambiare canale passando sul 12. Cambio canale e comunico la mia situazione. Dichiaro l’avaria al motore, la presenza a bordo di persone in non buone condizioni fisiche e l’impossibilità, almeno per il momento, di entrare in Porto. Nel giro di un quarto d’ora viene a portata di voce una motovedetta della Capitaneria di Porto. Il comandante si offre di trainarmi fino agli ormeggi della Lega Navale. Non mi pare vero ed accetto immediatamente. Il traino va avanti verso l’ingresso del porto di Brindisi per circa cinquecento metri. All’improvviso la motovedetta ferma i motori e il comandante mi dice che è dispiaciuto, ma non può continuare a trainarmi.
A quel tempo non avevo le idee chiarissime sui compiti della Capitaneria[U9]. In effetti la Capitaneria ha, tra gli altri suoi compiti, la salvaguardia della vita umana in mare. La barca trainata è una cosa (anche se a bordo ci sono delle persone) e in quanto cosa il comandante, se durante il traino avesse subito una qualsiasi avaria, ne avrebbe dovuto rispondere. Avrei potuto chiedere allora il trasbordo dei due amici in precarie condizioni di salute (quanto meno mi sarei tolto dalla coscienza un bel peso).
Sto per farlo quando il comandante mi informa che di lì a poco arriverà una barca privata che mi trainerà senza problemi. La cosa mi allarma: un conto è prendere un traino offerto dalla Capitaneria che è un’organizzazione dello Stato Italiano e che quindi non mi può chiedere denaro in cambio. Altra cosa è accettare un traino da un privato. Comunque penso di farlo perché anche io sono proprio stanco e un po’ di sosta non può che farmi bene.
A quel tempo non avevo le idee chiarissime sulle regole relative al traino di una barca in mare. Però alcune cose, magari un po’ nebulosamente, le sapevo. C’è differenza tra assistenza e salvataggio; nell’assistenza l’equipaggio della nave assistita è in grado di collaborare, nel salvataggio no. E poi c’è differenza se la cima di traino viene lanciata dal “soccorritore” oppure se viene lanciata dal “soccorso”.
Mi preparo dunque a chiarire bene le condizioni per il traino. So che dovrò pagare qualcosa, ma non accetterò nessun traino se prima non sarà più che chiaro il prezzo dell’operazione. La barca che mi trainerà arriva. Subito il comandante mi getta una cima. Immediatamente la rilancio indietro e spiego, con assoluta intransigente chiarezza, che non accetterò nessun traino se prima non si stabilisce il prezzo del rimorchio. Il comandante tergiversa, ma io sono determinato a non prendere nessuna cima se prima non viene chiarito tutto. Mi vengono dette tante parole nebulose riguardo le condizioni per il rimorchio. Ad un certo punto dico che non voglio nessuna assistenza e che intendo richiamare la motovedetta per chiedere il trasbordo degli amici che non stanno bene. In questo modo risolvo il problema “ammalati”. Per il resto posso aspettare: prima o poi si alzerà un po’ di vento. Lui capisce che non mollo ed allora mi dice che il rimorchio mi costerà cinquecentomila lire. E’ una cifra un po’ alta per un rimorchio di un paio di miglia con mare quasi calmo, ma sono stanco e l’idea di una doccia calda e di un po’ di relax mi alletta. Tra l’altro con un colpo solo, risolvo anche il problema degli amici che non stanno bene.
Accetto! Purtroppo (me ne renderò conto soltanto nei giorni successivi) commetto l’errore gravissimo di non chiamare il comandante della Motovedetta affinché sia testimone del contratto (ovviamente soltanto verbale) appena siglato. Sistemiamo la cima di traino e, nell’arco di una ventina di minuti siamo trainati e ormeggiati alla Lega Navale. Facciamo tutti una fantastica doccia calda. Gli amici “malati” si riprendono nel giro di un paio d’ore e non serve più l’intervento medico di nessuno. Ci organizziamo per la cena presso l’ottimo ristorante della Lega Navale. Completamente rilassati torniamo in barca, ognuno va verso la propria cuccetta e dopo un po’ il sonno ci prende.
Ci svegliamo di buon’ora dopo un bel sonno ristoratore e facciamo colazione. Mi avvio verso la sede della società cui fa capo la barca che mi ha rimorchiato ieri per saldare il mio debito. Mentre vado penso che cinquecentomila lire per un rimorchio in mare calmo di una mezz’ora scarsa mi sembra veramente un po’ troppo, ma ormai ho accettato; dunque va bene così. Penso anche che posso lasciare la barca a Brindisi, rientrare ad Ancona e tornare con un fuoribordo da 6 cavalli da montare al bisogno sulla poppa del first 35. Non immagino neppure lontanamente che cosa mi aspetta.
Arrivo dunque presso la sede della società che ha effettuato il rimorchio. Mi riceve un signore seduto dietro un’imponente scrivania; un po’ di convenevoli e poi va subito al sodo e mi dice:
“La barca stava finendo sugli scogli. Soltanto grazie al mio intervento si è evitato il disastro. La barca vale settanta milioni di lire. Alla mia società spetta metà del valore. Lei mi devi trentacinque milioni di lire”
Rimango a bocca aperta. Ribatto che non stavo finendo sugli scogli e che, comunque, avevo pattuito un compenso di cinquecentomila lire. Mi risponde che la trattativa sul compenso doveva essere fatta con lui. Ho un bel dire che per me era valida la trattativa fatta con il comandante della barca. Niente, non c’è verso di convincerlo. Né d’altronde lui può convincere me.
Mi comincia a crescere una rabbia contro questo comportamento da mascalzoni; dico dunque che se vuole pago le cinquecentomila lire pattuite e lui mi rilascia una dichiarazione che mi libera da qualsiasi vincolo; se non va bene così non pago proprio un bel niente e poi si vedrà. Ingenuamente penso: mi farà causa; va bene, staremo a vedere. Me ne vado sbattendo la porta e sento dietro di me una risata che mi fa pensare ad un gatto che gioca col topo (purtroppo il topo sono io). Pieno di furia mi fiondo in barca con l’intenzione di andarmene anche con il motore in avaria; mi farò trainare da un socio della Lega Navale fino all’imboccatura del porto. Lì isserò le vele e prima o poi in Ancona ci arrivo.
Non ho minimamente pensato che ho dichiarato un’avaria al motore. In quel momento il certificato di sicurezza è scaduto e la barca ha la licenza di navigazione sospesa. Infatti al mio arrivo in barca trovo un militare della Capitaneria di Porto che mi chiede di consegnare la licenza di navigazione. Sono dunque in trappola: non posso mollare gli ormeggi con la licenza sospesa. Inoltre per ottenere il reintegro della licenza dovrò far riparare il motore e chiamare uno stazzatore del R.I.Na. che certifichi l’efficienza del motore riparato.
Sconsolato torno sui miei passi e sono costretto a tornare dalla società del traino. Debbo prendere tempo; con atteggiamento umile e remissivo (in realtà dentro di me sono furioso e mi meraviglio del fatto che non mi escano fuoco e fiamme dalle narici) cerco un compromesso, ma non ottengo nulla. Sconsolato dichiaro che non posseggo tutti quei soldi (tra l’altro è vero) ma nessuno si muove a compassione. Me ne vado dicendo che lascerò la barca a Brindisi e che ci sentiremo al mio ritorno. Intanto nel mio cervello frullano idee una dietro l’altra finalizzate ad aggirare l’ostacolo. Se ci riesco vorrei trovare un sistema che renda legale anche il fatto (al limite) di non pagare un bel niente. Penso di ripresentarmi nell’ufficio della società che ha effettuato il traino con testimoni i miei amici presenti in barca e dichiarare che sono disposto a pagare quanto pattuito (cioè cinquecentomila lire). Ad un eventuale rifiuto, ed alla successiva richiesta dei trentacinque milioni, ripeterò di aver bisogno di tempo per racimolarli e, immediatamente dopo, mollerò gli ormeggi e me ne andrò. Dal punto di vista della morale e dell’etica mi sento legittimato per il semplice fatto che avevo pattuito una cifra ben precisa e che sono t...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. OGGI
  6. 1965
  7. 1971
  8. 1973
  9. 1974
  10. 1980
  11. 1984 – Crociera da Ancona alla Turchia e ritorno
  12. Da Corfù a Paxos
  13. Da Paxos a Lefkada
  14. Da Lefkada a Itaca
  15. Da Itaca a Cefalonia
  16. Da Cefalonia a Missolungi
  17. Da Missolungi a Patrasso
  18. Da Patrasso a Lepanto
  19. Da Lepanto a Trizonia
  20. Da Trizonia a Galaxidi
  21. Da Galaxidi alla baia Domvrenis
  22. Dalla baia Domvrenis a Corinto
  23. Da Corinto a Egina con attraversamento del canale di Corinto
  24. Da Egina a Palaia Fokaia
  25. Da Palaia Fokaia all’isola di Kitnos
  26. Da Kitnos a Sifnos
  27. Da Sifnos a Paros
  28. Da Paros a Naxos
  29. Da Naxos a Keros
  30. Da Keros ad Astipalea
  31. Da Astipalea a Tilos
  32. Da Tilos a Marmaris (Turchia)
  33. Da Marmaris al golfo di Aksaz Özel Askeri Eğitim Merkezi
  34. Dal golfo di Aksaz Özel Askeri Eğitim Merkezi al distretto di Fethiye
  35. Da Fethiye a Tilos
  36. Da Tilos a Santorini
  37. Da Santorini a Kithira
  38. Da Kithira alla spiaggia Paliros di capo Matapan
  39. Da capo Matapan all’isola Sapienza
  40. Dall’isola Sapienza alla baia di Navarino.
  41. Dalla baia di Navarino a Zacinto
  42. Da Zacinto a Fiskardo (Cefalonia)
  43. Da Fiskardo a Corfù
  44. Da Corfù a Fanò
  45. Da Fanò alle isole Tremiti
  46. Dalle isole Tremiti ad Ancona
  47. 1986 - L’INIZIO DEL SOGNO CHE SI TRASFORMA IN INCUBO
  48. Ottobre 1986
  49. 17 Dicembre 1986
  50. 18 Dicembre 1986
  51. 19 Dicembre 1986
  52. 20 Dicembre 1986
  53. Fine Febbraio 1987