Il manuale dello Stalinista. Traduzione a cura di Giorgio Criscuolo
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Il manuale dello Stalinista. Traduzione a cura di Giorgio Criscuolo

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Qual è il significato nascosto del "Grande Terrore"? Chi c'era veramente dietro l'uccisione di Kirov? Esisteva realmente un complotto contro Stalin? Perché lui scatenò "la guerra contro i partocrati e divenne il "becchino della rivoluzione"? Ci sono fondati motivi per ritenere la sua morte il "delitto del secolo"? Cosa tacque Kruscev nella sua relazione "segreta"? E perché il crollo dell'Unione Sovietica era storicamente inevitabile? Questo libro risponde alle domande più calde e dibattute del passato sovietico. Essendo il primo ricercatore ad avere la fortuna di conoscere gli autentici materiali d'archivio dai fondi secretati di Stalin, Ezhov e Berija, Yuri Zhukov propone una versione non comune e sensazionale degli avvenimenti chiave del XX secolo.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9791220356671
Argomento
Storia
CAPITOLO 1
DOPO STALIN: VERITÀ E MENZOGNE
DEL XX CONGRESSO
XX CONGRESSO DEL PCUS:
SEPARAZIONE DAL MITO1
Le nostre rappresentazioni dei più importanti avvenimenti presto o tardi inizieranno a vivere autonomamente. In esse le pie illusioni si danno per realtà, si ricoprono di congetture, di voci, di supposizioni. In una parola si tramutano in mito.
Così è avvenuto anche con il XX Congresso del PCUS.
La separazione dal mito è sempre dolorosa. Ma oggi siamo obbligati a staccarci da esso. Vedere il Congresso soltanto com’era in effetti. Senza la tendenza di parte di abbellirlo o diffamarlo.
Dal giorno della sua apertura, il XX Congresso, come doveva essere, fu presentato dai mezzi di informazione di massa come un punto di svolta. Decisivo nella vita del paese. Per la verità un simile giudizio non fu qualcosa di esclusivo. Non una volta nel passato, tale giudizio fu dato per i precedenti forum. Di nuovo, di realmente inconsueto, perfino di allarmante, ci fu dell’altro. L’immagine del Congresso fu di svolta, ma assolutamente non soltanto nell’economia come succedeva nel passato. Proclamava l’epoca della democratizzazione, della coesistenza pacifica, dell’innalzamento del livello di vita della popolazione.
In seguito, alla propaganda ufficiale si unì perfino la parte eternamente frustrata dell’intellighenzia artistica. Esse si trovarono insieme, completamente all’unisono, e cominciarono a glorificare il Congresso come un fenomeno. Come fatto unico ed esclusivo che già realmente e radicalmente aveva cambiato la situazione nell’URSS.
Dopo l’allontanamento di Kruscev, un così straordinario giudizio del Congresso non scomparve. Si conservò. Soltanto che in quel momento serviva come una specie di tratto distintivo che testimoniasse l’appartenenza all’opposizione al nuovo regime. Divenne il simbolo del rifiuto silenzioso al nuovo corso che, clandestinamente, lentamente, ma sempre più caparbiamente si affermerà dall’estate del 1965.Proprio allora, la stretta del controllo ideologico, il rafforzamento della contrapposizione nell’arena internazionale, gli incoerenti tentativi di riabilitare Stalin servirono da fondamenta per la definitiva mitizzazione del XX Congresso.
Da allora in poi con esso, con le sue affermazioni a doppio senso, con il non detto come la relazione “segreta” di Kruscev, al vero corso politico che non volevamo notare e se l’abbiamo fatto abbiamo cercato velocemente di dimenticare, correlammo le speranze irrealizzate con i sogni infranti.
Quanto giustificate erano quelle speranze e quei sogni? Quanto esse erano realmente legate al XX Congresso?
Cambiamenti? Incondizionatamente!
Probabilmente, la cosa principale in quei giorni di febbraio del 1956 divenne la generale speranza in un veloce e pieno rinnovamento per una inevitabile democratizzazione. Prima di tutto dello stesso Partito. E dei metodi e delle forme della sua attività, del ruolo e del posto nella vita del paese. Molte cose anticipavano tale speranza che si trasformava in euforia e generava la sicurezza nella sua realizzazione. Tutto ciò che aveva preceduto il Congresso. Nel 1953 l’arresto di Berija e il suo processo, nel 1954 il processo al suo predecessore al MGB2 Abakumov, nel 1955 l’uscita di Malenkov dal posto di Presidente del consiglio dei ministri dell’URSS, restando, nonostante ciò, membro del Presidium del CC del PCUS.
In verità, il Congresso cominciò all’inizio in modo abituale e rituale. Perfino la relazione di sintesi letta da Kruscev non prometteva, pare, nulla di nuovo. L’unicità che lo distingueva dagli altri era lungi dall’essere notata. In esso erano assenti i tradizionali e ancora ieri dovuti riferimenti ai fondamentali lavori di Stalin. Il nome del defunto capo, della persona che per 30 anni aveva guidato l’URSS, della persona alla quale si legavano tutte le vittorie e le realizzazioni, venne ricordato solo una volta. Puramente in forma rituale: durante il periodo passato dal XIX Congresso, la morte lo ha strappato alle fila del Partito. E basta.
La sensazionalità apparve solo al terzo giorno. Nel momento dell’intervento di Mikojan. Proprio lui, per primo, apertamente, sebbene ancora molto attento, perfino abbastanza dolcemente sottopose a critica Stalin. Più precisamente, diede un giudizio negativo al suo “Problemi economici del socialismo nell’URSS”. Condannò i propagandisti e gli storici non desiderosi di uscire dalla cornice del “Breve corso”3 e anche i lavori non creativi sulla rivoluzione d’ottobre e sulla guerra civile, senza ”verniciature”. Menzionò senza i soliti epiteti Antonov-Ovsejenko e Kosior.
E soltanto dopo la chiusura del Congresso “scoppiò la bomba”. È successo qualcosa fuori dall’ordinario. Apparvero e in un attimo si diffusero in tutto il mondo, le voci di un ”rapporto segreto” di Kruscev. E si confermava una risoluzione con comunicazioni non chiare, incerte, piene di omissioni e dal contenuto più che modesto, non più di 10 righe, sul “culto della personalità” e le sue conseguenze. Pubblicata da tutti i quotidiani, la risoluzione semplicemente non menzionava il nome di Stalin.
Poi hanno cominciato a legare insieme tutto ciò a cui abitualmente non si prestava molta attenzione all’inizio. La tesi del rapporto di Kruscev, ripetuta e rinforzata da quello stesso Mikojan, sulle diverse forme di passaggio dal capitalismo al socialismo. Per molte volte, da molti interventi, la sottolineata citazione sulla coesistenza pacifica. Le parole di Suslov sulla necessità di rinunciare al dogmatismo e alla dottrina. Infine la trasmissione da bocca a bocca, molto veloce e che deteriorava l’autentico senso del rapporto “segreto”. La condanna in esso, delle repressioni negli anni 1930-1940,la dichiarazione della loro illegalità. Il loro legame non solo e non tanto con la “banda di Berija e Abakumov”, ma anche con Stalin, accusato quest’ultimo di usurpazione del potere, del crimine di fucilazione di quadri militari, partitici e statali.
Bene, se ad una critica così imparziale, crudele e decisiva, e non in un luogo qualsiasi ma al Congresso, sottoposero lo stesso Stalin, idolo del popolo, i cui ritratti, busti e statue ancora erano sotto gli occhi di tutti dovunque si volgessero, allora va da sé che ci si dava un’unica conclusione. Sbagliato e vizioso era anche il corso da lui proclamato e tutta la sua politica. In altre parole il precedente corso e la politica del Partito e dello Stato. E l’assenza di informazioni certificate e la possibilità di leggere e rileggere e di comprendere il testo della relazione di Kruscev, naturalmente creava a ciascuno la possibilità di qualsiasi arbitraria speculazione e interpretazione. Di posizioni francamente parziali, dipendenti da sguardi, da giudizi espressi da questa o quella persona, su tutto il passato, quello lontano e quello più vicino.
Giacché tutto ciò che avvenne dal giorno della morte di Stalin fino alla chiusura del XX Congresso, si riversò nella coscienza generale. Tutto indistintamente.
Il riconoscimento dei medici del Cremlino come vittime innocenti. La riabilitazione-cominciata allora ancora indistintamente e il ritorno a casa degli ex reclusi politici. La guerra di Corea. Le parole di Malenkov sulla impossibilità delle guerre nell’epoca nucleare e quindi della necessità della coesistenza pacifica. Il proclamato riorientamento dell’economia per la produzione di beni di largo consumo. L’ascesa delle terre vergini ed incolte. L’apparizione sulla stampa, sugli schermi e sulle scene dei teatri di produzioni insolitamente critiche e satiriche, enormemente deideologizzate. La visita in URSS del primo ministro indiano Nehru, il viaggio dei leader sovietici in Jugoslavia, India, Birmania, Afghanistan.
Tutto ciò per niente legato al XX Congresso, non risultava dalle sue risoluzioni ma tuttavia si associava saldamente ad esso. Si amalgamava con esso, costruendo un unico blocco non scalfibile. Cominciò ad essere percepito come inizio, conseguenza ed attuazione di una riforma. Un rinnovamento. Una ricostruzione, iniziata da non altri che dal Partito, un processo al quale doveva dare nuovo impulso il XX Congresso.
Si confermava una tale rappresentazione e giudizio, si rafforzava la speranza di una nuova migliore vita e una piena unità di intenti di tutti i partecipanti al Congresso. Si presume prima di tutto dei leader. I vecchi: Molotov, Voroshilov, Mikojan, Kaganovich. I relativamente giovani: Kruscev, Malenkov, Shvernik, Bulganin, Kossighin. I nuovi ancora non conosciuti: Suslov, Pervuchin, Saburov, Scepilov. Una volta che è così, significa che tutto il Partito è d’accordo con il nuovo corso. Lo approva e lo sostiene.
Ma per la coscienza di massa, per la comprensione comune del passato, fu caratterizzante anche qualcosa d’altro.
Tutte le speranze nei cambiamenti e in una vita migliore, la popolazione del paese non le legava affatto alle decisioni e alle azioni personali. Più di mille anni di pieno allontanamento dal potere, interrotto solo una volta nel 1917,aveva indotto nelle persone un solo pensiero, che cambiare il proprio destino da soli non è possibile. Avevano imparato ad aspettare la liberazione da tutte le sfortune ,disgrazie e disagi dal di fuori, dall’alto. Da qualche eroe che sia uno zar o un primo segretario, questo è ininfluente, che verrà e condurrà tutti in un meraviglioso splendente futuro. E se il precedente idolo è stato tirato giù dal piedistallo, allora bisogna sostituirlo con un altro. Nuovo. E divenne necessariamente Kruscev. Quello che aveva smascherato l’illegalità di Stalin. Lo stesso che aveva dissipato l’oscurità e la paura.
La tecnologia della propaganda ,già da molto tempo verificata nella pratica, e non una sola volta, in molti paesi del mondo, avrebbe facilitato ciò. In modo più che professionale ed esaustivo, essa instancabilmente batteva su di un punto. Ancora e ancora, con tutta la sua forza crescente che raggiunse il suo apice nei giorni del XX Congresso, essa ritornava ai due avvenimenti interdipendenti. Alle repressioni del passato, al loro smascheramento nel presente. Li presentava proprio, se non come i punti decisivi, almeno come i principali. Riduceva ad essi venti anni di storia del Partito e del paese, e continuava a nascondere il testo della “Relazione segreta” pubblicata non a caso soltanto nel 1989.
La propaganda a parole mostrava di smascherare la natura del “culto della personalità” come fenomeno estraneo al marxismo-leninismo, in realtà continuava a sostenerlo e conservarlo nella coscienza di massa. Soltanto sostituiva un nome con un altro. Stalin con Kruscev. Rappresentava il primo come la personificazione del male, e il secondo come un luminoso cavaliere senza paura e senza macchia. Assieme a ciò, in effetti distorceva gli autentici fatti, nascondeva la vera causa di ciò che era successo dal 1930 all’inizio degli anni ‘50. Li sostituiva con un dilemma menzognero e artificioso. Divideva anche il PCUS e il movimento comunista internazionale nei due campi contrapposti degli stalinisti e degli antistalinisti. E in virtù di ciò, per i successivi 10 anni dal XX Congresso, né teoricamente né propagandisticamente gli apparati del CC hanno saputo distintamente e precisamente spiegare comprensibilmente: cos’è lo stalinismo, qual è la sua essenza, perché nacque e poté così a lungo esistere senza sollevare le proteste né della minoranza né della maggioranza dei membri del Partito e della sua direzione.
Di ciò e di molto altro riuscirono a costringere tutti a dimenticare. Si soddisfa la cosa elementare: gli errori sono stati scoperti, conseguentemente non potranno essere ripetuti. Le persone adesso non devono temere per la propria vita e per la libertà.
Per tale interpretazione avevano buone ragioni.
QUELLO DI CUI PARLÒ KRUSCEV
La decisione della convocazione del XX Congresso fu presa all’inizio di aprile del 1955.Allora decisero anche l’agenda del giorno che non prevedeva lo smascheramento del “culto della personalità”.
Nel febbraio-marzo, al tempo della preparazione della visita della delegazione del PCUS a Belgrado, i membri del Presidium del CC amichevolmente concordarono: “Se non diremo che la causa principale della rottura (con la Jugoslavia nel 1948-J.Z.) furono gli intrighi di Berija e di Abakumov, la responsabilità della rottura ricadrà su Stalin, e questo non si può permettere”. Tutto ciò, ma già pubblico, alla fine di maggio durante le conversazioni con Tito dichiarò Kruscev: “Voi non aggredirete Stalin, non lo faremo offendere, lo difenderemo”.
Non pensavano nemmeno alla più debole critica su Stalin, ancora a luglio. Al tempo del Plenum, durante il quale esaminavano il programma di una delle due fondamentali relazioni-sulle direttive del programma del sesto piano quinquennale. Lavorando su di esso, sezione per sezione, punto per punto, come d’abitudine continuavano a riferirsi a Stalin, a citarlo. E Kruscev ancora si permise una chiusura completamente tradizionale e di consuetudine: “La coesione monolitica del nostro popolo intorno al PCUS è tale che, se risorgessero Lenin e Stalin essi ci loderebbero e direbbero ‘Non male continuate la nostra opera!’(applausi lunghi e scroscianti)”.
Intervenendo allo stesso Plenum, Kruscev per la prima volta apertamente, nella grande sala, parlò delle repressioni. Tuttavia continuò come d’abitudine ad ascriverli come artefatti di Berija “nemico del Partito e del popolo”: Lui e i suoi uomini, come testé chiarito, che indebolirono le forze rivoluzionarie attraverso l’annientamento dei quadri del nostro Partito e degli altri partiti comunisti. È sufficiente riferirsi al cosiddetto “affare di Leningrado” quando furono eliminati i compagni Voznesenskij, Kuznecov, Rodionov e altri, all’”affare Kosarev”, all’”affare Postyshev”… ma giusto qui, Nikita Sergejevich fece un’osservazione molto sostanziosa: “Da questo non si può trarre la conclusione che da noi non ci siano stati e non ci siano adesso, dei nemici. Di nemici ce n’erano molti: I menscevichi, i socialisti rivoluzionari, i troskisti, i bucharinisti, gli opportunisti di destra…”
Le stesse vittime delle repressioni, i funzionari di partito furono divisi in “puliti” e “non puliti”. Ma il responsabile, il colpevole, ancora restava soltanto Berija.
Lo sforzo a sostenere finché possibile il prestigio di Stalin, si conservò nelle alte sfere del Partito fino al febbraio del 1956. Soltanto allora si capì la semplice ed elementare verità, riabilitare una parte delle vittime del “Gande terrore” degli anni 1935-1938 incolpando di ciò solo Berija, non era possibile. Non importa quanto lo si voglia, non importa quanto sia comodo ascrivere tutti i delitti di quegli anni ad una sola persona che a quel tempo lavorava a Tiblisi e che non possedeva alcuna possibilità né pieni poteri per indirizzare le azioni di Ezhov e di dirigerlo, era semplicemente impossibile. Irragionevole, a ciò nessuno vi avrebbe creduto.
Per la spiegazione dell’accaduto era necessaria un’altra soluzione. E fu trovata.
Letteralmente alla vigilia dell’apertura del XX Congresso il 13 febbraio, al Plenum Kruscev per l’ultima volta informò i membri del CC che essi avrebbero dovuto confermare ed approvare. Intervenne chiaramente con preoccupazione e agitazione. Smagliante oratore, vacillò, precisò. E soltanto perché cercava di tacere la cosa principale, nascondere ai convenuti l’essenza stessa dell’idea appena nata dell’esistenza di una seconda relazione. E anche perché lui stesso in quell’istante non immaginava quanto lontano sarebbe andato nel rigiudicare il passato. Come riuscire a spiegare non tanto le repressioni, quanto le riabilitazioni divenute talmente significative che non era più possibile tacere.
Concludendo l’intervento, Nikita Kruscev inaspettatamente per tutti dichiarò: “C’è ancora una questione della quale qui bisogna parlare. Il Presidium del CC, dopo un lungo scambio di .opinioni e studi della situazione e dei materiali, dopo la morte del compagno Stalin sente e ritiene indispensabile sottomettere alla seduta del CC in seduta chiusa, è chiaro che ciò avverrà quando saranno esaminate le relazioni e ci sarà la conferma dei candidati agli organi di controllo del CC: i membri del CC, i candidati e i membri della commissione di controllo, quando non ci saranno ospiti, la relazione del CC sul “culto della personalità”.
Perché, compagni? Adesso tutti vedono, sentono e comprendono che noi non possiamo così porre la questione del “culto della personalità” come si pose a suo tempo, e ciò richiama l’esigenza di ricevere una spiegazione di ciò che la sta causando. Noi in verità spiegammo, e fortemente lo spiegammo, ma è necessario che i delegati del Congresso, che erano al Congresso, di più conoscano e si immedesimino, che di più comprendano ciò che noi facciamo attraverso la stampa. Altrimenti i delegati al Congresso non si sentiranno pienamente padroni del Partito. Perciò dovranno, per spiegare la gran...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. PRESENTAZIONE
  6. Nota del curatore-traduttore
  7. CAPITOLO 1. DOPO STALIN: VERITA' E MENZOGNE DEL XX CONGRESSO
  8. CAPITOLO 2. UN ALTRO PUNTO DI VISTA SU STALIN
  9. Per me Stalin è un personaggio storico
  10. La meccanica del "culto"
  11. La vera storia di Iosip Stalin?