Bella ciao
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La storia di Bella ciao ha un percorso spazio-temporale non privo di lati oscuri e se l'asse portante è l'appennino padano nel rovinoso epilogo dell'ultima guerra mondiale, echi della melodia circolavano già da molto prima: tra antiche romanze cantate nelle aie, motivi yiddish sfrigolati dai violini di migranti e canti delle mondine nostrane. L'approdo più noto è quello della Resistenza partigiana, ma la storia passa anche per le trincee della Prima guerra mondiale e la Parigi di Montand, in un'incessante cavalcata che risuona, oggi, anche nelle piazze di Hong Kong, Istanbul e New York.Carlo Pestelli, cantautore e appassionato di storia, ricostruisce l'ipotetico percorso della canzone, ne racconta i luoghi e le esecuzioni più e meno celebri. Un viaggio fatto di musicisti di strada e combattenti, parolieri di frontiera e reduci, donne coraggiose, chansonnier, traduttori, osterie e funerali affollati. Un viaggio che continua a rivivere ogni volta che nelle piazze, le prime, inconfondibili parole si accendono: "Una mattina, mi son svegliato, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao".Con questo titolo torna in libreria la fortunatissima collana degli Esclamativi.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788867831234

Per chi suona Bella ciao?

«La poesia non è di chi la scrive,
ma è di chi gli serve»
Mario (Massimo Troisi)
a Pablo Neruda (Philippe Noiret) – Il postino
Dopo essere stata cantata e ricantata negli anni Settanta da frotte di scolaresche in gita o tra gli stand dei Festival dell’Unità, dopo essere stata intonata in più occasioni pubbliche da politici non solo di sinistra, è il caso del democristiano Zaccagnini, Bella ciao è la colonna sonora di un funerale storico: il 13 giugno del 1984 oltre un milione di italiani invadono il centro di Roma per le esequie di Enrico Berlinguer. In quell’occasione Bella ciao è preferita all’Internazionale o a Bandiera rossa e nei tanti video di quel pomeriggio si sente come la folla la intoni a più riprese.
Dieci anni dopo quel funerale, in un’Italia molto cambiata, si vota per la prima volta con il sistema uninominale e il linguaggio della politica inizia ad aziendalizzarsi.
Il centrodestra vince le elezioni ricorrendo, in una studiata campagna elettorale, a un anticomunismo di sapore thatcheriano, nonostante il comunismo internazionale fosse ormai un ricordo e lo stesso partito italiano che si autoproclamava comunista si fosse dissolto da tre anni.
È in questo contesto di rinnovata tensione ideale che Bella ciao riesplode, per esempio in chiave combat-folk, attraverso uno dei gruppi più noti della nuova scena musicale, gli «irlandemiliani» Modena City Ramblers: la versione di Bella ciao che incisero in Combat Folk, album d’esordio del 1993, alla lunga si rivelerà il maggior successo del loro pur corposo repertorio.1 Essendo cari a un pubblico giovane «di sinistra» ed essendo apertamente schierati, con la rilettura del gruppo modenese la canzone aderisce bene alla galassia dei movimenti, perdendo un po’ del suo ecumenismo. Questa visione di parte è in attrito con l’epicità della canzone, elemento che ha reso Bella ciao non solo immortale e adeguata anche a occasioni extrapolitiche, ma soprattutto traducibile, perché utile, in molte lingue.
C’è almeno un’altra canzone, molto più recente, che con Bella ciao condivide lo stesso messaggio universale, la stessa libertà come scopo dichiarato: Lestaca (il «palo» in italiano) di Lluís Llach. In assoluto uno dei canti più rappresentativi dell’antifranchismo. Ma ben più che per la militanza è per l’epicità di fondo che sta sulla stessa linea di Bella ciao: l’estaca è il palo cui tutti siamo legati, metafora di un’oppressione che invita alla coralità, perché il palo si potrà abbattere solo se saremo uniti, se ognuno tirerà la sua catena. Fu scritta nel 1968 e per numero di traduzioni è seconda solo a Bella ciao. In Polonia, nel rifacimento di Jacek Kaczmarski, fu uno degli inni del sindacato Solidarność, mentre in Italia, in versione occitana, fu un cavallo di battaglia dei Lou Dalfin.
Ma torniamo alle lotte e alla canzoni italiane: è da notare che Bella ciao si distingue nettamente dall’innodia resistenziale. Infatti non ha nulla che, per esempio, ricordi l’andatura un po’ a marcetta delle strofe della Brigata Garibaldi, tipica anche del ritornello di Dalle belle città. Paragono di proposito queste due canzoni a Bella ciao non solo perché tra le più cantate dai partigiani e quindi realmente simboliche di quel repertorio, ma anche perché sono accomunate dallo stesso simbolismo, dallo stesso messaggio di fondo, in cui i riferimenti politici sono marcatamente di parte: «Rosso sangue è il color della bandiera» si canta in Dalle belle città e «La stella rossa in fronte» in Brigata Garibaldi. Allo stesso modo l’inno partigiano più diffuso, Fischia il vento, contiene l’esplicitazione in direzione socialista con i richiami al «sol dell’avvenir» e alla «rossa bandiera» che sventola nel finale.
Bella ciao racconta invece una vicenda umana e corale, applicabile a ogni movimento di resistenza europea, incentrata non su un esercito o su una brigata in particolare, ma su un singolo uomo, martire di quella tragedia continentale che fu il nazifascismo. Anche da qui, forse, la grande diffusione della canzone in forme, lingue e momenti differenti.
Lo spirito della canzone vale (sarebbe potuto valere) per i maquis francesi, come prim’ancora per gli antifascisti iberici che combatterono contro Francisco Franco e, sempre per restare in Spagna, per le brigate, non a caso «internazionali», che dagli Stati Uniti come da molte nazioni d’Europa si unirono ai miliziani, tra il 1936 e il 1939.
Vale per la Jugoslavia, la cui epopea partigiana non è seconda a quella di nessun Paese. A questo proposito è interessante ricordare che al funerale di Jovanka Broz, la vedova di Tito, la sepoltura è avvenuta sulle note di Bella ciao. È successo il 25 ottobre 2013, sulle colline di Dedinje, a Belgrado. Vale così tanto, e per tutti, probabilmente perché non c’è altra canzone in nessuna lingua a dare una così gioiosa stangata all’oppressore o, stando al testo, all’invasore.
Non c’è nulla di più caro e prezioso della libertà e niente ci indigna più del vederla calpestata o vilipesa. I partigiani che venivano fucilati, un attimo prima di morire gridavano spesso «Viva l’Italia!», che in quel momento equivaleva a dire: «Viva l’Italia libera». Non per caso, nelle tantissime targhe commemorative appese sotto i portici delle città italiane in loro onore, ci sono anzitutto le generalità (con il nome preceduto dal cognome), poi segue la qualifica professionale (ferroviere, operaio, bracciante), e infine scritto più grande: «Caduto per la libertà».
Leggere oggi le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, con tutto quel profluvio di invocazioni alla Patria, sempre con la P maiuscola o con frasi come: «Possa il mio grido di “Viva l’Italia libera” sovrastare il crepitio dei moschetti che mi daranno la morte» (Franco Balbis), fa venire in mente lo Spielberg di Maroncelli e Silvio Pellico.
Bella ciao, nella sua multidimensionalità, sarebbe infatti ideale per fare da quinta musicale a un ponte storico che collegasse il patriottismo di chi a Milano scriveva sui muri «W Verdi» con quello di chi, poco meno di un secolo dopo, veniva fucilato dai nazisti e all’Italia dedicava il suo ultimo pensiero.
Dal punto di vista esecutivo, va da sé che una canzone popolare rispecchi diverse realtà, per esempio territoriali, e diverse attitudini canore. Allo stesso modo è naturale che si distingua da una canzone d’autore per il fatto che le parole del testo possono variare a seconda di come uno le ha memorizzate. In fondo, se di dominio pubblico si tratta, è il pubblico, il popolo, a disseminare la canzone, rendendola tanto famosa quanto più gli riuscirà di diffonderla.
Il meccanismo della diffusione orale del messaggio, pratica antica come il mondo, sta alla base delle tante versioni che si possono avere della stessa canzone e il rapporto di usura cui questa è sottoposta è spesso inversamente proporzionale alla sua diffusione. Insomma, più una canzone popolare si diffonde, maggiore è la possibilità che qualcuno alteri uno o più segmenti del testo: una singola parola, un aggettivo, il nome di un luogo o un nome proprio.
Così non dobbiamo stupirci se Bella ciao, in quanto canto popolare, non ha mai avuto la stessa uniformità testuale di un successo d’autore (di un qualunque testo di Modugno, Tenco o De André) che, nel migliore dei casi, può acquisire popolarità di vendita, di diffusione mediatica, ma non sarà mai «popolare» nel senso di Bella ciao, dove a tenere le fila non è nessuno in particolare.
La mutevolezza è nel destino anche di Fischia il vento, canzone per certi aspetti consorella di Bella ciao. Anche in questo caso, pur avendo certezze sull’autore, il testo è in balia di alcune oscillazioni.2
Tutti d’accordo per l’incipit-titolo: Fischia il vento, ma poi arriva la bufera che per alcuni urla mentre per altri infuria. E nella terza strofa si oscilla tra:
«Se ci coglie la crudele morte, dura vendetta
verrà dal partigian (o sarà del partigian).»
Se il concetto non cambia, due parole su tre sono però diverse. Più evidente ancora:
«Ormai sicura è già la dura o triste sorte, del fascista che ogn’or cerchiam (o del fascista vile traditor.3
Il discorso si complica per l’inno nazionale, il Canto degli Italiani, come lo intitolò il suo giovane autore nel 1847. A rigore dovrebbe essere più che mai il caso di una canzone popolare e, con il passare del tempo, pur con qualche traversia lo è diventata: molti non l’hanno mai amata e comunque è spesso storpiata nell’esecuzione.
Penso per esempio ai calciatori della nazionale che, se non cantano l’inno in mondovisione, vengono attaccati da tutti, e che per facilitarsi la vita modificano «stringiamci a coorte» con «stringiamoci a corte»: in tal modo sollecitandoci, più che a unirci per combattere, a un abbraccio in cortile. L’inno nazionale è comunque una canzone d’autore, di una coppia d’autori, e il fatto che sia firmata colloca Goffredo Mameli e Michele Novaro sullo stesso piano dei moderni cantautori, mettendo così il testo al riparo da una serie di possibili varianti.
Diverso è invece il caso di Bella ciao in cui non c’è autore che ne possa rivendicare la paternità, motivo che spiega le smagliature del testo. Nonostante la canzone sia passata dalla volatilità dei fogli alla codificazione di organici canzonieri, l’incipit si è via via diffuso in almeno cinque modi differenti:
«Stamattina mi sono alzato»
«Stamattina mi son svegliato»
«Questa mattina mi son svegliato»
«Una mattina mi son svegliato»
«Una mattina mi sono alzato»
E ci sarebbero anche le varianti al femminile (Stamattina mi sono «alzata» o «svegliata»), molto importanti perché discendenti da quel Fior di tomba II la cui protagonista è una donna, per cui ovviamente l’incipit era:
«Alla mattina mi sono alzata
e con quel ciao mi disse ciao e ciao e ciao».
Insomma, nel caso dell’inno di Mameli, a parte la storpiatura di «stringiamci a coorte», a parte l’insicurezza per quel «ch’è schiava di Roma» da collegare alla vittoria e non certo all’Italia, cantiamo parole di un testo scritto nel poetese ottocentesco che oggi in buona misura ci sono oscure, ma quelle sono e quelle cantiamo, con un meccanismo inconscio simile ai bambini che memorizzano le preghiere prima di coglierne il significato.
Nel caso di Bella ciao, invece, le parole ci sono tutte chiarissime eppure non tutti le cantiamo uguali. Detto del verso iniziale e delle sue cinque varianti, segnaliamo di seguito, tra parentesi quadre, le numerose possibilità di testo, basandoci su come la gente normalmente canta e intende Bella ciao.
«Una mattina mi son svegliato,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l’invasor.
O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché [che] mi sento di morir.
E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.
Mi seppellirai [Mi porterai / E seppellire]
lassù in [sulla] montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E seppellire [Mi seppellirai / Mi porterai]
lassù in [sulla] montagna
sotto l’ombra di un bel fior.
E [Tutte] le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E [Tutte] le genti [Tutti quelli] che passeranno
Ti [mi] diranno “Che bel fior” [ohi che bel fior]
È [E] questo [è] il fiore del partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
È [E] questo [è] il fiore del partigiano,
morto per la libertà!»
Nella seconda strofa il «ché» del verso finale è contrazione del «perché» causale, anche se in molti pensano a un «che» congiunzione. Questo dimostra che al momento di cantare, giustamente, la grammatica passa in subordine rispetto alla musica. Inoltre, dalla terz’ultima strofa fino alla fine, vediamo che le oscillazioni sono numerose. Più spesso si canta «e seppellire», ma in versioni anche molto diffuse c’è chi ha preferito «mi seppellirai». La stessa possibilità doppia è per l’inizio della penultima strofa: «e le genti che passeranno», che non è raro sentir cantare «tutte le genti che passeranno» come nel caso di Montand e di Mercedes Sosa la quale, proprio dalla versione del cantante franco-italiano, prese spunto per la sua interpretazione. In ultimo, nella strofa conclusiva, nessuno in genere pronuncia la prima delle due «e» verbale, pensando piuttosto alla «e» congiunzione: «e questo è il fiore del partigiano». Eppure il testo riportato nei canzonieri precisa: «È questo il fiore del partigiano».
Ma al di là delle varianti e delle versioni, se oggi in Italia Bella ciao è indigesta a qualcuno ed è associata a un immaginario post-comunista, è perché una distorsione mediatica l’ha investita di un colore che prima non aveva. Gli episodi in cui la canzone crea «scontento» sono all’ordine del giorno, pronti a esplodere ogni 25 aprile.
Un caso limite è successo a Pordenone quando, nel 2014, il prefetto Pierfrancesco Galante era sì favorevole a che la banda eseguisse Bella ciao durante il corteo, ma proibiva che la si cantasse dal palco delle autorità. Una differenza non da poco, pensata per oscurare il messaggio del testo. Secondo questa disposizione, se ci si limita alla melodia, Bella ciao è ammissibile in una festosa compilation per banda di ottoni, ma non va altrettanto bene se cantata apertis verbis.
Il prefetto riteneva infatti che la canzone in questione potesse «produrre fenomeni eclatanti, turbare la campagna elettorale e generare ulteriori turpitudini». Naturalmente, appresa la notizia, l’Anpi locale reagiva e l’onorevole Sonego, senatore del Pd friulano, si rivolgeva al ministro degli Interni Alfano con un’interrogazione parlamentare. Questo singolo caso tra i tanti citabili nel corso degli anni dimostra che, se in Italia il 25 aprile divide ancora, Bella ciao riesce a farlo altrettanto.
Se Bermani ha ragione nel dire che Bella ciao è frutto dell’«invenzione di una tradizione», non possiamo pretendere che la canzone non sia soggetta a qualche sbandata, tendente a mistificarne il messaggio. Tuttavia il successo internazionale della canzone l’ha allontanata dalle piccole questioni locali trasformandola in una musica del mondo, cantata come un inno senza tempo da chi ha a cuore la libertà.
Gli esempi sono davvero tantissimi, ma una breve carrellata per capire per chi suona oggi la nostra canzone, rivela alcune scoperte abbastanza curiose.
Bella ciao risuona per esempio nel clarinetto di Woody Allen, interpretazione che farà piacere ai sostenitori della pista slava e degli umori yiddish formativi della canzone. Correva l’anno 2010, quando con la sua New Orleans Jazz Band il popolare attore americano concluse proprio con Bella ciao un concerto all’Auditorium della Conciliazione di Roma.
Ma ci sono esecuzioni anche più curiose: in Danimarca Bella ciao è l’inno di uno ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Bella ciao e viva la libertà di Moni Ovadia
  3. Se fosse
  4. All’assemblaggio!
  5. Ecco s’avanza una strana canzone
  6. Quante storie
  7. Due mondi in un Festival
  8. Arriva una lettera…
  9. Musica e musiche
  10. Per chi suona Bella ciao?
  11. Divagazione sull’Anonimo e celebri esecuzioni
  12. Conclusione
  13. Ringraziamenti
  14. Indice dei nomi e delle canzoni