La felicità araba
eBook - ePub

La felicità araba

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La felicità araba

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Ibrahim, Mohamed e Shady Hamadi: tre generazioni di una famiglia siriana che ha vissuto sulla pelle i dolori della dittatura. Poi ci sono Abo Imad, Eva Zidan, Rami Jarrah e molti altri ragazzi che hanno raccontato al mondo la grande rivolta siriana, eroi che lottano per la libertà di un paese schiavo della propria infelicità. Nelle pagine di Shady Hamadi si incrociano i racconti di una stagione di lotte e di speranze che l'Occidente, distratto e colpevole, ha guardato troppo poco. Hamadi raccoglie testimonianze di sacrifici, di sofferenza, di dolore ma anche di coraggio e di aspettative portate avanti con orgoglio. Il libro è un manifesto per il popolo siriano che sta vivendo la sua primavera nelle piazze e nella rete. "La felicità araba" ci racconta quello che per troppo tempo non abbiamo voluto vedere. Prefazione di Dario Fo.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a La felicità araba di Shady Hamadi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Politica e relazioni internazionali e Relazioni internazionali. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

PARTE I – LA STORIA

La mia famiglia

Pur viaggiando, ovunque, entro i confini arabi,
non vedrai altro che gabbie. Perfino i giardini
sono l’immagine di gabbie interne.
Adonis

Questa rivoluzione mi ripaga di tutte le umiliazioni
e le torture che ho subìto.
Mohamed Hamadi, mio padre

«Tutti quelli che respirano l’aria e perfino quelli che l’hanno respirata, stanno respirando nel vostro petto». Mi ricordai di questa frase di Mikhail Naimy mentre respiravo profondamente, cercando di cogliere il fiato di mia madre che ancora, a distanza di un anno dalla sua morte, aleggiava nell’aria della stanza, poi partii per la Siria. Avevo 19 anni e scelsi di andarmene, di lasciare l’Italia, per un posto ignoto ma che, in realtà, dimorava dentro di me. Tutti cerchiamo qualcosa nella vita e ci domandiamo quale sia lo scopo delle nostre esistenze. Anch’io ero alla ricerca di qualcosa. Scappavo dall’Italia, da Milano, come fossi un ricercato, ma, in verità, fuggivo dal confronto con il mio dolore. Avevo bisogno di rinascere, ancora. Era il febbraio del 2009 quando arrivai a Damasco. In Siria ero stato altre due volte. La prima nel 2001 e la seconda qualche anno dopo. Tutte e due le volte avevo conosciuto una realtà che non sentivo appartenermi. Sapevo poco o nulla riguardo ai trascorsi di mio padre, questo a causa della sua reticenza a parlarne, reticenza che dura ancora oggi. A quell’epoca mi aveva raccontato poco della sua storia, forse per proteggermi dal dolore che quei fatti avrebbero potuto provocarmi. Ero a conoscenza del fatto che papà aveva avuto problemi politici da giovane, ma non sapevo davvero cosa fosse successo. Non me lo disse.
Non sapevo una parola di arabo. Quando ad attendermi all’aeroporto di Damasco trovai mio cugino, cominciai a parlare con lui in inglese. Due giorni dopo ero già iscritto al primo livello di un istituto di lingua araba nel quartiere del Mezzeh, dove abitavo. Nella mia classe scoprii di non essere l’unico a non conoscere l’arabo tra i figli dei siriani all’estero. Eppure, i vocaboli di quella lingua mi sembravano così familiari e alcuni suoni vocali, che in italiano non esistono, li trovai già presenti in me. Avevo dovuto aspettare una vita prima di rimettere piede in quella terra, ed ero deciso a coglierne ogni sfumatura; ero deciso a scoprire chi ero e da dove venivo; ero desideroso di conoscere il segreto che mio padre si era portato dentro per tutta una vita e i misteri che si nascondevano in questo Paese addomesticato talmente bene, da renderci sordi alle grida delle migliaia di disperati rinchiusi nelle prigioni sotterranee. Un Paese così bello e affascinante da celare la sua malvagità più intrinseca e letale. Ancora, a distanza di cinquant’anni e di infiniti dolori, alcune notti mio padre grida: ricorda gli amici scomparsi, rivive negli incubi i mostri della giovinezza. Io non sono nato solo da mio padre e mia madre; come un’intera generazione, sono nato dal sangue e dalla sofferenza di tanti padri e madri; dai loro silenzi e pianti.
Nel 1943, anno della nascita di mio padre, Shukri al-Quwwatli, considerato uno dei padri fondatori della Siria e appartenente al blocco nazionale – partito d’ispirazione nazionalista – fu eletto per il suo primo mandato di presidente della Repubblica, carica che mantenne sino al 1949, quando Husni al-Zaim portò a segno un colpo di Stato. Intanto, Antun Saade, capo e fondatore del Partito nazionalista socialista siriano (Pnss) di chiara ispirazione nazista, scappò dal Libano perché ricercato e Zaim gli offrì protezione in Siria. Dopo pochi mesi, però, lo consegnò alle autorità libanesi e l’8 luglio del 1949, dopo un processo sommario, Saade venne giustiziato.
Per vendicare la morte di Saade, il colonnello Sami al-Hinnawi, membro del Partito nazionale socialista siriano, nell’agosto del 1949 riuscì a rovesciare e uccidere al Zaim, diventando a sua volta presidente.1
Nel dicembre del 1949, però, Adib al-Shishakli portò a termine il terzo colpo di Stato in un anno. Per controllare l’influenza degli hashemiti, che volevano la riunificazione della Siria con l’Iraq, Shishakli pretese che come ministro della Difesa rimanesse un suo uomo fidato, Fawzi Selu. Quando il primo ministro Ma’ruf al-Dawalibi rifiutò l’imposizione di Selu, Shishakli lo fece arrestare. A questo punto Selu divenne presidente della Repubblica e del governo. Sotto il regime di Shishakli la Siria conobbe la sua prima esperienza dittatoriale a partito unico, perché a partire dal 1952 tutti i partiti vennero vietati.
Ibrahim Hamadi, mio nonno, aveva mandato il suo primogenito Mohamed a studiare in una scuola cristiana nei pressi del villaggio di Marmarita, dove per anni si era recato a vendere i tessuti alla grande fiera di quel piccolo insediamento cristiano che attraeva moltissimi commercianti da tutta la Siria. Ibrahim aveva lavorato come poliziotto nel periodo del protettorato francese, poi, quando i francesi se ne andarono, con i soldi che aveva risparmiato costruì una delle prime case di mattoni nel nostro villaggio. Il padre di mio nonno, Mohamed, era un sufita e chiese a Ibrahim di accettare un segno di protezione: prima che venisse colato il cemento, in ogni angolo della casa venne inserito tra le travi uno scudo in segno di difesa e i manici di alcune scimitarre vennero appesi al soffitto perché sorreggessero le lampade. Il mio bisnonno, quasi ottant’anni fa, adoperò tutta la sua conoscenza mistica per proteggerci dalle calamità del mondo e affinché questa casa in cemento trovasse sempre la forza di essere per noi il punto di ritrovo e di origine: la nostra bayt, la casa, appunto. Agli inizi del Novecento il bisnonno aveva lasciato la tribù nomade dei mawali e, con una parte della nostra famiglia, si era stabilito a Talkalakh. La Siria era ancora dominata dagli ottomani quando la mia famiglia si trasformò da nomade in sedentaria.
Un passo indietro. Furono i trattati di Sykes-Picot del 1916 a mutilare «la grande Siria», dando il via alla costruzione di diverse entità territoriali. I vecchi dominatori turchi se ne andavano lasciando spazio al nuovo conquistatore. La Francia si sentì investita di una missione storica, religiosa e culturale. Una delle frasi con cui nel 1919 il generale Henri Gouraud esordì, a testimoniare la sacralità del loro mandato, fu: «Noi veniamo come discendenti dei crociati».2 Fin dall’inizio i siriani dimostrarono la loro tenacia nel resistere agli occupanti francesi poiché, dal loro arrivo, non era praticamente cambiato molto e la crudeltà del nuovo e del vecchio colonizzatore era la stessa. Gli apparati di sicurezza erano costantemente in allarme e le spese militari superavano di svariate volte quelle civili. La Francia doveva usare la forza per mantenere la propria autorità. I nuovi dominatori puntarono all’istigazione, all’odio religioso e al separatismo per garantirsi il protettorato in Siria, con la collaborazione delle élite sunnite. Il territorio siriano venne diviso in cinque parti: il Governatorato autonomo degli alawiti a Latakia, nel nord della Siria; il Gebel Druso, che divenne il territorio autonomo dell’influente comunità drusa; il Libano; i Governatorati di Damasco e Aleppo, che furono uniti, e il Sangiaccato di Alessandretta, reso autonomo. Oltre a incoraggiare le aspirazioni separatiste delle minoranze e a favorire il loro distacco da un sentimento di unità nazionale, comune a tutti i siriani, i francesi inquadrarono molti membri alawiti e drusi nelle Troupes Speciales du Levant, così da contribuire a creare ulteriori distanze dal mondo sunnita che rappresentava – e tuttora rappresenta – la maggioranza della popolazione. Tuttavia, il forte sentimento di unità nazionale, insieme alla conquista dell’indipendenza irachena del 1932, rafforzarono il desiderio di libertà dei siriani dal giogo francese.
Già nel 1925 era scoppiata una prima rivolta nel Gebel Druso, rivolta guidata da Sultan al-Atrash che si trasformò in una sollevazione nazionale, nonostante il fatto che solo alcune fasce della popolazione avessero preso parte attiva alla lotta. Ben presto la leadership drusa decise di allearsi con i nazionalisti sunniti e, anche se quell’esperienza si concluse con un’amara sconfitta, un movimento indipendentista secolarizzato aveva mosso i suoi primi passi. In quegli stessi anni altri due personaggi stavano crescendo nella considerazione popolare e con loro le idee di una terza via araba; si tratta di Michel Aflaq e di Salah al-Din al-Bitar, i futuri fondatori del partito Ba’th, «resurrezione», conosciuto anche come Partito arabo socialista Ba’th, un’organizzazione politica destinata a ramificarsi in vari Paesi arabi che avrebbe improntato la sua intera esistenza a un’idea di socialismo strettamente connesso al panarabismo. Quelli furono gli anni in cui i siriani combatterono per l’indipendenza in nome di un sogno di unità, sogno destinato a rimanere tale perché il Libano si era ormai avviato verso un futuro di autonomia e indipendenza.
Fadol Hamadi era il fratello di Ibrahim, ed era un uomo leggendario. Ho sentito tante storie che lo riguardavano, quando lo conobbi aveva oltre novant’anni, era sordo e quasi cieco. Quando entrai nella sua casa di Talkalakh lo trovai intento a fumare una sigaretta con un filtro lunghissimo. A causa della mancanza di udito e vista, era un uomo che viveva nei ricordi. La mia pro-cugina gli urlò nell’orecchio «C’è Shady, il figlio di tuo nipote Mohamed » ma lui non si voltò, non aveva sentito. Lei allora urlò nuovamente e, questa volta, Fadol si girò. Credo che vedesse soltanto la mia sagoma quando mi guardava, comunque iniziò a piangere. Stava seduto sul letto e, non potendosi alzare, cominciò a pregare. Quando finì, fece un tiro di sigaretta voltandosi verso di me. Mi chiese: «Tuo padre quando viene?». «Presto» gli risposi. Lo sentii mugugnare lodi a Dio e implorarlo di vedere mio padre prima che il soffio della vita spirasse da lui. Fadol era stato un eroe della resistenza siriana contro i francesi. Aveva fatto il militare per tutta la vita, combattendo tutte le guerre arabo-israeliane. Dai racconti che i miei famigliari mi facevano, Fadol aveva ucciso un centinaio di persone durante le guerre alle quali aveva preso parte. Anni prima di perdere vista e udito, molti membri della mia famiglia andavano a trovarlo per farsi raccontare le sue avventure. Un giorno mio padre mi disse che Fadol, quando andò in pensione, volle recarsi da uno sheik per avere rassicurazioni sulla sua anima e perché erano ancora vivi in lui i ricordi e gli incubi che tutte le guerre gli avevano lasciato dentro al cuore.
Una vecchia foto ritrae mio padre a sedici anni con gli occhiali a goccia, elegantemente vestito, mentre è in una caffetteria di Latakia. Fadol Hamadi abitava lì e mio padre ogni estate andava da lui in vacanza per imparare il francese. Mohamed era il prediletto da suo zio, forse perché era il primogenito di Ibrahim o, semplicemente, per la sua spiccata curiosità.
Quella foto è datata 1959, proprio il periodo nel quale mio padre si avvicinò al nazionalismo arabo. Solo sette anni prima, il gruppo degli ufficiali liberi aveva portato a compimento un colpo di Stato in Egitto e tra di loro era spuntata la figura carismatica di Nasser. L’estate del 1959 era la prima in cui Egitto e Siria si erano fuse nella Repubblica araba unita (Rau). Nel 1954, infatti, un colpo di Stato guidato da militari e politici aveva deposto Shishakli,3 ponendo fine alla prima esperienza totalitaria in Siria. Nel 1955 Shukri al-Quwwatli venne nominato nuovamente presidente della Repubblica e la Siria intraprese una politica di avvicinamento all’Egitto che la condusse nel 1958 all’unione con questo e alla nascita della Rau. Il vento dell’arabismo soffiava forte, attraeva i giovani, compresi quelli della mia famiglia. Il sogno di un Paese arabo che unisse tutti i popoli sembrava si stesse realizzando, anche se le differenze interne tra i due Paesi e la politica di sudditanza verso l’Egitto lo fecero durare poco.
L’uomo forte di Nasser in Siria era Abdel Hamid al-Serraj4 che ricoprì la carica di ministro degli Interni fino a essere nominato nel 1961 vice presidente.
Con lo scioglimento della Rau, tanti giovani nazionalisti arabi come mio padre dovettero fare i conti con l’infrangersi del sogno che un’intera classe di intellettuali – da Constantin Zureyq ad Amin Faris Antun al-Rihani, a George Habbash – aveva teorizzato, vedendo nell’unità d’Italia e nelle imprese di Garibaldi un esempio cui ispirarsi.
Il 1963 segnò l’anno della svolta in Siria, quando, con un ennesimo colpo di Stato, andò al potere il partito Ba’th. Nei primi anni del suo insediamento si assistette a feroci lotte intestine nel gruppo dirigente che, nel 1966, culminarono con un colpo di Stato di una fazione del Ba’th contro l’altra e con la deposizione di Amin al-Hafiz. Il nuovo gruppo dirigente che soppresse tutti gli altri partiti al governo era guidato da due ufficiali: Salah Jadid, Nureddin al-Atassi.5 Questi ultimi inseguivano il sogno della ricostruzione della grande Siria, mentre al-Hafiz era un panarabista. Ma ancora una volta le lotte intestine avrebbero di lì a poco diviso il partito. Jadid e Nureddin al-Atassi attuarono una politica socialista attraverso alcune importanti riforme e cominciarono ad avvicinare il Paese alla Russia. Nel 1966, su ordine di Jadid, dal partito vennero estromessi i moderati, a cominciare dai due fondatori, il cristiano Michel Aflaq6 e il musulmano Salah al-Din al-Bitar7, espulsi dal Paese e costretti all’esilio. Nello stesso anno Hafez al-Assad fu nominato da Jadid ministro della Difesa. Questa posizione consentì ad Assad, fino ad allora uomo di fiducia di Jadid (entrambi alawiti), di cominciare a inserire nei posti chiave dell’esercito i suoi uomini di fiducia.
Era il 1968. Mio nonno entrò nella caserma di Homs e sul pavimento dell’ufficio dei servizi segreti trovò steso, esanime, un ragazzo con la faccia volta verso terra. Un brivido lo percorse, pensando che sollevando la testa avrebbe visto il volto di suo figlio. Fu fortunato, non era lui, ma un altro disgraziato morto sotto i colpi dei bastoni di metallo degli agenti dei servizi. Quando chiese di mio padre fu condotto in un luogo sotto terra che, in un primo momento, pensò fossero le cantine della caserma. Erano invece celle buie, nascoste. Fu quando venne aperta la porta di una cella in fondo a un lungo corridoio che vide mio padre: era steso per terra, tra vermi e sporcizia, con altri detenuti, sfinito, ma ancora abbastanza forte e presente a se stesso per scoppiare a piangere sul petto di mio nonno quando questi lo abbracciò.
Qualche giorno prima, durante una retata, mio padre e alcuni suoi compagni di partito erano stati arrestati e condotti alla sede dei servizi segreti di Homs. Mentre alcuni amici di mio padre venivano bastonati e altri interrogati, nella stanza era entrato Abd al-Halim Khaddam, a quel tempo sindaco della città di Homs e che successivamente, dal 1984 al 2005, divenne il vice presidente della Repubblica. I poliziotti misero mio padre e tutti i suoi compagni in fila, di fronte a lui. Quando Khaddam si trovò faccia a faccia con mio padre che era il capo di tutti quegli uomini, guardò i ragazzi in fila e gli chiese come era possibile che un ragazzo così giovane fosse il capo ideologico del partito nazionalista arabo nel distretto di Homs. Poi, senza aspettare la risposta, cominciò a schiaffeggiarli uno a uno. In quell’occasione mio padre non fu torturato pesantemente, come invece era accaduto le altre volte nelle quali era stato imprigionato, quando avevano attaccato al suo corpo i morsetti dei cavi dell’elettricità e si erano divertiti a prenderlo a calci e pugni. Questa volta mio nonno, che era stato ufficiale della polizia, conosceva alcuni ufficiali che avevano da poco preso servizio alla sede del Mukabarat centrale (servizio segreto) di Homs e riuscì a far avere un «occhio di riguardo» per suo figlio, nonostante Khaddam fosse lì a osservare i giovani che venivano picchiati fino allo svenimento.
Era una notte di settembre quando papà, finalmente libero dopo essere stato per l’ennesima volta arrestato, decise di scappare e lasciare la Siria. Al momento del rilascio, il servizio segreto aveva segnalato il suo nome a tutte le forze di polizia siriane, con l’ordine di non fargli abbandonare il Paese.
Non posso immaginare le sensazioni che provò la sera della fuga. Era un ragazzo di venticinque anni costretto a lasciare il proprio Paese, ad abbandonare la propria famiglia, perseguitato per aver osato pensare ad altro rispetto a ciò che imponeva il regime.
Quella sera salutò mio nonno e mia nonna, probabilmente convinti che la sua fuga all’estero sarebbe durata solo qualche mese e che il loro amato figlio Mohamed sarebbe tornato a breve, grazie a un’amnistia dell’allora presidente Nureddin al-Atassi, ma così non avvenne. Quella notte scambiò la foto del passaporto di suo fratello Ziad con la sua e valicò il confine con il Libano. Avrebbe rimesso piede in Siria solo dopo trent’anni; ma questo nessuno lo sapeva. Cosa poteva aver fatto di tanto grave da essere perseguitato e infine esiliato dal suo Paese? Cosa spingeva e spinge gli uomini a costruire il silenzio con l’odio?
La sconfitta del 1967 nella guerra dei Sei giorni, con la conseguente perdita del Golan, le tensioni sociali dovute ai cambiamenti forzati della società e dell’economia – imposti da Jadid – non fecero altro che accentuare lo scontro all’interno del partito Ba’th. Nel 1970 al-Assad, ormai detenendo la fedeltà degli apparati militari, portò a termine quella che è passata alla storia con il nome di «rivoluzione correttiva» con la quale in primis destituì Jadid e al-Atassi, e procedette poi a un’ingente epurazione tra i dirigenti del partito, mettendo nei posti chiave uomini a lui fedeli spesso appartenenti alla setta alawita e alle altre minoranze religiose.
I bambini fissarono la palla di cristallo che il mago teneva in mano. Erano incantati, quasi ipnotizzati. Papà salì sul palco per passare i cilindri al prestigiatore. Il prestigiatore, grazie ad alcuni movimenti veloci, fece sparire la sfera di cristallo e dai cilindri uscirono fazzolettini colorati. Soltanto papà sapeva che nel turbante da Sikh che il mago turco, Fouad, si era messo in testa erano nascosti tutti i segreti di quei trucchi che stavano divertendo la piccola folla di bambini kwaitiani che si era radunata. Quello dell’aiutante del mago era il primo lavoro che mio padre era riuscito a trovare all’inizio del 1969 in Kuwait.
In quello stesso anno, una serie di colpi di Stato in vari Paesi arabi pose le basi per quella che Samir Kassir avrebbe chiamato L’infelicità araba8. In Libia Gheddafi conquistò il potere nel 1969 e instaurò un regime repressivo. In Iraq si insediò un regime guidato dal Ba’th, nella persona di Ahmed Hasan al-Bakr, che durò dal 1968 al 1979. Tutti questi colpi di Stato, spesso sovvenzionati o addirittura aiutati in modo diretto dalle potenze occidentali, furono una delle...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Questo grande mondo è piccolo, Dario Fo
  3. I diritti dell’uomo in Siria, Riccardo Noury
  4. PARTE I – LA STORIA
  5. PARTE II – LE PERSONE
  6. L’INFELICITÀ SIRIANA
  7. DOCUMENTI
  8. Fonti consultate
  9. Ringraziamenti