PARTE SECONDA
Le opere dell’età matura
IL PROGETTO DI UN PERSONALE PER BAMBINI DA 0 A 3 ANNI
Abbiamo fin qui considerato periodi della vita di Adele Costa Gnocchi in gran parte vissuti a fianco, anche idealmente, di Maria Montessori: un percorso durato circa mezzo secolo, dal 1909 al 1952, anno in cui la Montessori muore, disseminato di incontri e di dialoghi – ora rari, ora ravvicinati – con la sua maestra, stimolante e geniale fino alla fine. Tale percorso è certamente all’origine delle opere che Costa Gnocchi ha realizzato nei suoi ultimi vent’anni con grande originalità e apertura, pur restando fedele alla proposta Montessori.
Adele la applicò scrupolosamente predicando una realtà dell’infanzia costituita non di idee astratte da applicare, di principi metafisici da imporre, bensì di comportamenti concreti e ripetutamente osservati. La pedagogia di Costa Gnocchi, coerentemente con queste premesse, fu alimentata dalle riflessioni che ne scaturiscono, da prassi sperimentali, da verifiche empiriche e da deduzioni. Essa fu, cioè, il risultato di un approccio rigorosamente scientifico al bambino e ai suoi bisogni che si muove solo sulla scorta di dati accertati.
Era degna allieva di una donna le cui idee e la cui stessa vita era stata presso i suoi contemporanei segno di grande contraddizione, che aveva osato denunziare l’idealismo imperante, rifiutare gli stereotipi borghesi e maschilisti e sottoporre a critica mordace l’ipocrita perbenismo della società di inizio secolo. Più che con i proclami lo aveva fatto con le sue inedite scelte, a cominciare dalla sconcertante opzione preferenziale per i ragazzini “oligofrenici” della Capitale, che stavano rinchiusi negli stessi manicomi degli adulti e che per giocare disponevano solo di mollica sudicia. Maria Montessori aveva intravisto le loro potenzialità infantili e aveva saputo fare in modo che trovassero espressione. Li aveva guidati fino al conseguimento della licenza elementare predisponendo percorsi di apprendimento individuali, facendoli oggetto di continue e amorevoli attenzioni, ricorrendo al supporto di materiali sensoriali che aveva adattato1 o inventato. Né meno convenzionale era stata la sua impresa successiva: riscattare dall’emarginazione i bambini del quartiere proletario di San Lorenzo, affamati di attività indipendente, trascurati da genitori che non disponevano dei mezzi economici e intellettuali o perfino del tempo necessario per promuovere la loro educazione. In quella circostanza aveva scoperto come ben prima dei sei anni sia possibile raggiungere alti livelli di concentrazione e di socialità quando sono rispettati i bisogni sensoriali e psichici.
I risultati di quelle esperienze erano tanto straordinari e sconvolgenti da indurla a lasciare la carriera universitaria e il lavoro di medico per dedicarsi unicamente alla ricerca empirica sul mondo dell’infanzia. Questa era la Montessori che per Costa Gnocchi e per tutte le sue compagne rappresentò un modello di impegno sociale e pedagogico.
Pur nell’assoluta autonomia operativa le scelte pratiche dell’educatrice di Montefalco furono sempre molto attente agli sviluppi teorici e pratici del Metodo della scienziata marchigiana. Quando allievi e amici, ormai conquistati dalla sua rivoluzione educativa, sollecitarono uno specifico impegno per una diversa scuola elementare e lei accettò di occuparsi di quest’altra fascia d’età, anche Adele, come si è visto, si attivò tempestivamente in questo senso. Lo stesso accadde quando la Montessori intraprese il progetto di una riforma sperimentale per la scuola degli adolescenti: la nuova sfida trovò pronta la Costa Gnocchi a cimentarsi con l’esperimento del ginnasio inferiore al “Virgilio” di Roma. Negli ultimi anni, insieme alla Costa Gnocchi e forse stimolata da lei, indicò le basi concrete di un diverso modo di accogliere il neonato, sebbene a questo tema avesse sempre mostrato costante attenzione, come dimostrano alcuni dei suoi scritti degli anni Venti e Trenta, quali Il bambino in Famiglia e Il Segreto dell’Infanzia, e altri successivi, quali The Absorbent Mind (pubblicato da Garzanti con il titolo La Mente del Bambino)2 che contiene le osservazioni risalenti al periodo indiano.
Quanto ad Adele, è a partire dal 1946, nel momento in cui nuove speranze sostenevano la ricostruzione successiva a una tragedia bellica, assai più immane di quella della guerra ’15-’18, che comincia a concretizzare il progetto condiviso con la sua maestra, un sogno che ha in serbo da tempo e al quale si è lungamente preparata: studiare il neonato e al tempo stesso formare persone in grado, oltre che di fornirgli le indispensabili cure fisiche, di intravederne il corredo di potenzialità intellettuali, l’enorme recettività sensoriale, la delicata fragilità della nascente vita psichica. “Il neonato è il grande sconosciuto”, continuava a dire, parafrasando l’opera, allora molto nota, di Alexis Carrell, L’uomo questo sconosciuto3.
È con entusiasmo e grande lucidità che se ne assunse il compito: la vasta esperienza psicologica, la formazione filosofica, la consuetudine che come educatrice aveva con i bambini, con i giovani e gli adulti, le consentirono, unica tra le allieve della Montessori, di realizzare in modo durevole e approfondito un progetto di tale portata4.
Occorreva partire proprio dalla formazione degli adulti, in questo caso dalla sensibilizzazione di giovani donne interessate a un lavoro tanto delicato, quanto nuovo. Un breve manoscritto che la Montessori le aveva dato, e l’arte maieutica di cui era espertissima, furono alla base delle sue realizzazioni: la Scuola Assistenti all’Infanzia Montessori (AIM) e, successivamente, il Centro Nascita Montessori.
Eppure, come Eleonora Moro Chiavarelli ha sottolineato nei suoi ricordi, Adele aveva già
sessant’anni quando cominciò con i bambini piccoli. Il periodo del fascismo le aveva tolto ogni possibilità di lavorare e subito dopo è come esplosa in una straordinaria creatività.
Fino ad allora aveva seguito un percorso non dissimile da quello di Maria Montessori: come la sua maestra, era partita da esperienze con bambini dei 3-6 anni e poi dei 6-12 fino alla pre-adolescenza, sia pure nei confini limitati di Palazzo Taverna, per approdare a quel personaggio, a suo modo misterioso e straordinario, che è il bambino dei primi due anni.
Ora voleva approfondire sia l’esistenza di periodi sensitivi nei primi tre anni di vita, sia le reazioni individuali a un trattamento rispettoso della sensorialità, che presumeva vivacissima. Era tutto da sperimentare, da verificare.
Il fatto interessante è che, fondando una scuola e preparando educatrici e giovani medici alla considerazione della vita psichica fin dalla nascita, riuscì per loro tramite a impostare in modo nuovo lo studio delle effettive potenzialità infantili, ad incentivare l’osservazione del comportamento e delle esigenze dei neonati e dei lattanti da sempre trascurate.
Cura del bambino allora significava solo puericultura, igiene, prevenzione delle malattie. I pregiudizi e l’ignoranza rispetto alle capacità psichiche e relazionali dell’infante erano totali e in parte perdurano, come è indicato dal fatto che la conoscenza, oggi avanzatissima, della complessità del neonato e delle sue capacità ha ben poco scalfito il modo impositivo di porsi nei suoi confronti.
All’epoca, comunque, nei primi anni Cinquanta, tutta questa materia costituiva una novità assoluta e il progetto AIM doveva apparire avanzatissimo proprio per il suo presentarsi come globale – olistico si direbbe oggi – attento a tutti gli aspetti dello sviluppo che andavano considerati inseparabili in quella irripetibile fase della comunicazione corporea che precede la conquista del linguaggio.
Ancora nel 1954, dopo anni di esperienze positive e di scoperte, Adele diceva alle sue allieve:
In futuro non si concepirà che questo personaggio, il neonato, non abbia vicino chi lo capisce come intendiamo noi. Siamo in un’epoca di specializzazioni e si arriverà anche a questo. Ma è lei, la Dottoressa, che l’ha concepito: negli ultimi anni è andata indietro sempre di più e ha pensato proprio a una scuola di preparazione. Abbiamo adottato la parola “Assistente” in base alle leggi, ma non esprime come vorremmo questa figura nuova.
Degli anni di gestazione del progetto si conosce ben poco. Non sappiamo quando abbia preso effettivamente corpo, ma le linee guida proposte da Costa Gnocchi erano chiare:
Fin dalla nascita il bambino deve ricevere dall’educazione l’aiuto allo svolgimento unitario della sua personalità. Le sue facoltà psichiche non sono preformate, ma si formano a spese dell’ambiente. L’educazione deve essere la scienza che si mette a servizio del bambino per aiutarlo nel suo sviluppo.
Deve avere intessuto una delicata rete di relazioni per riuscire a realizzare dal nulla una scuola biennale, privata, ma posta sotto la vigilanza del Consorzio provinciale per l’istruzione tecnica5. Ciò ne avrebbe garantito la continuità e soprattutto l’avrebbe sottratta all’egida esclusiva degli organismi sanitari, come avveniva per le scuole di puericultura. Le più note, quelle di Trento e di Roma, negli anni del fascismo avevano preparato personale destinato soprattutto al servizio di famiglie abbienti. In pratica si istruivano ottime bambinaie. Qui l’obiettivo era del tutto diverso.
Per l’organizzazione della Scuola AIM furono decisivi sia l’incontro con alcuni medici sia, come rodaggio, un breve corso-pilota sul tema “Il bambino. Guida per il suo armonico sviluppo”, di cui conserviamo un invito scritto a mano, del seguente tenore:
Il corso sarà tenuto dalla signorina Costa Gnocchi e dal prof. Vitetti tutti i venerdì dal 25 gennaio al 12 aprile; Palazzo Taverna, Montegiordano 46, quota £ 1.000, orario dalle 17 alle 19.
Nel biglietto l’anno non è indicato, ma era certamente il 1947.
Il pediatra Giuseppe Vitetti, uomo di grande umanità e competenza, dirigeva allora il Brefotrofio provinciale di Roma, noto con la sigla IPAI (Istituto Provinciale Assistenza Infanzia), situato sotto il Gianicolo. Oltre a lui parteciparono come docenti il medico omeopatico Gaetano Gagliardi e il padre Vincenzo Ceresi6, già ricordati. Altro insegnante d’eccezione fu Roberto Assagioli7. Di aspetto semplice e di modi affabili incuteva, almeno all’inizio, una certa soggezione, forse per via della barbetta che gli incorniciava il volto conferendogli un’allure austera. La buona amicizia che intercorreva con la Costa Gnocchi risaliva al 1917 e più volte Adele era stata sua ospite a Capolona, vicino ad Arezzo, nella villa, dove il celebre terapeuta visse fino alla morte e che era sempre aperta ad amici e a studiosi. Lo cita anche in una lettera scritta il 6 ottobre 1940 a Marianna, che evidentemente doveva conoscerlo, dandole “la notizia che Assagioli è stato all’ospedale qui vicino a noi [in Umbria] e avrà ancora una lunga convalescenza”. Tornando al corso, Assagioli vi tenne illuminanti lezioni sull’inconscio, “intermediario tra il corpo e la coscienza”8.
I preliminari non sono facili
L’intenso lavoro organizzativo che ora impegna Adele affiora dall’epistolario per minimi accenni. Qualcosa in più sappiamo delle diverse proposte che le erano state precedentemente rivolte e che rivelano la discreta notorietà che la sua persona aveva guadagnato. Dalla Rai le era giunta, ad esempio, la proposta di tenere una trasmissione per ragazzi condotta su un palinsesto di racconti, di musica e di brevi riflessioni che aveva prontamente accettato. Si può ipotizzare che a suggerire il suo nome fosse stato il noto giurista Arturo Carlo Jemolo che, giusto in quell’anno, si era trovato a guidare l’azienda e che era, tra l’altro, un amico personale di don Ernesto Buonaiuti. Da Roma Adele ne scrive il 4 febbraio del 1945 a Marianna che si trova in Umbria: “Peccato che la radio non funzioni; avresti potuto sentire la mia voce tutti i venerdì alle 17,30”. Conclude invariabilmente ogni puntata con il saluto “A Dio”, così come era solita pronunziare la più comune forma “addio”.
È con ogni evidenza un momento fervido di progetti. Il 22 luglio 1945, in una lettera appena più lunga delle consuete cartoline postali, fa un accenno alla pubblicazione di un giornale che però non si realizzerà:
Il giornale – posso prevedere che persisterà per lungo tempo nel suo non facile periodo di gestazione; forse non uscirà prima del tuo rimpatrio per il quale ormai ti prendiamo in parola.
Ancora da Roma, il 6 ottobre 1946:
Sono immersa nel lavoro che cresce sempre. […] Uno di questi giorni per iniziativa di un gruppo di amici dovrei vedere un riccone d’America che vorrebbe fare qui un’opera di bene; proporrò un internato dove anche i ciechi potrebbero studiare e vedere come si fa perché l’uomo non si storca e quanto è bello quando è diritto! Domandando di dove era, apprendo: barbiere italiano, nato a Sciacca, nome che mi ricorda i tuoi ospiti e perciò ti scrivo tutto questo. Se mai potessi creare qualcosa di simile […] sarebbe il paradiso in terra.
Sulla faccenda che verosimilmente le sta molto a cuore ritorna il 7 novembre:
In tanto [sic] il Signore di Sciacca sta a Chianciano e l’amico, imbastitore della cosa, al Cile, in ambasciata straordinaria e perciò temporanea.
Ma ci sono i problemi di sopravvivenza quotidiana: un mese più tardi, ringraziando l’amica, le manda “la notizia, orientatrice per la tua generosità, di essere noi provviste con grande abbondanza di farina bianca e prive della gialla!”.
E poco dopo, con il consueto stile sintetico, riferendosi alla sua attività pedagogica aggiunge:
L’esperienza che si accumula man mano lavorando intensamente come faccio io, è una ricchezza tanto grande della quale negli anni passati non sospettavo le proporzioni e penso sempre quale somma ventura sarebbe mai se, almeno per qualche anno, si potesse fare [i.e. operare] nella tranquillità e nella libertà di un’organizzazione ben fatta. Siccome questo è il mio mese prediletto [novembre], penso sempre che da un giorno all’altro possa spuntare un fiorellino! In tanto [sic] ieri è tornato l’amico dal Cile9; e anche la speranza dà vita.
In altra lettera posteriore, non datata, si legge:
Il signore di Sciacca per ora sta a Chianciano; se riuscirò a sedurlo, sarà solo per il Bambino e perché ne venga fuori un centro di studio per l’uomo.
Sull’affare in seguito non ci sono ulteriori ragguagli. Sfumato il sogno di “sedurre” il riccone italo-americano, non tramontò la sollecitudine per la realizzazione del progetto per il quale troverà altre strade.
Circa le persone che lavoreranno con lei sono nominati, nelle lettere di quel periodo, due dei pediatri che diverranno docenti nella scuola AIM: Alberto Durio, figlio dell’amica Maria, e Cesare Pignocco10, un medico molto sensibile e attento che lavora con Vitetti nel brefotrofio.
Illuminante è la testimonianza di Giorgio Poddine11, un altro dei giovani pediatri del gruppo di allora:
Una volta mi raccontò che l’insegnamento nell’istituto magistr...