Mutamento politico e rivoluzione
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Mutamento politico e rivoluzione

Lezioni di filosofia politica

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Lezioni di filosofia politica

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Nell'anno accademico 1978-1979 Norberto Bobbio tenne il suo ultimo corso di Filosofia politica all'Università di Torino. L'argomento prescelto, che costituiva l'epilogo di un settennato di insegnamento sui problemi della vita collettiva, fu «Mutamento politico e rivoluzione». Il corso, che si compone di 54 lezioni, è suddiviso in una parte storica (lezioni 1-44), in cui Bobbio prende in esame gli autori classici, a cominciare da Platone e Aristotele, passando per Hobbes, Montesquieu, Kant e Hegel, fino ad arrivare a Marx, e una parte teorica (lezioni 45-53), in cui viene costruita con metodo analitico una vera e propria «teoria generale della rivoluzione». Nell'ultima lezione, tenuta il 16 maggio 1979, il professore esprime, a conclusione del lungo itinerario percorso, la propria posizione sui grandi dilemmi del mutamento politico. Le lezioni, sempre affollate di studenti e uditori, furono registrate e trascritte, già nel 1979, da tre allievi, che si sarebbero poi laureati con Bobbio: Laura Coragliotto, Luigina Merlo Pich e Edoardo Bellando. A distanza di oltre quarant'anni, i curatori hanno ripreso il lavoro di ripristino dei testi, attingendo anche alle note manoscritte che Bobbio aveva predisposto per ogni singola lezione, oggi conservate nell'Archivio Norberto Bobbio presso il Centro Studi Piero Gobetti di Torino. Nello svolgimento del corso Norberto Bob¬bio fu affiancato da Michelangelo Bovero, allora «assistente» alla sua cattedra, al quale il professore affidò alcune delle 54 lezioni e con il quale intrecciò continue discussioni teoriche. Altri contributi alle lezioni furono da Bobbio richiesti a due giovani studiosi: Donatella Marocco Stuardi e Pier Paolo Portinaro.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788855223133

Lezione 1. Introduzione

(13 novembre 1978, Norberto Bobbio)

Definizione della filosofia politica – Definizione di politica.
La filosofia politica si propone di definire la categoria della politica, una delle grandi categorie attraverso cui l’uomo cerca di interpretare la propria storia.
È filosofia ogni riflessione, anche non sistematica, che tenti di dare un’interpretazione globale della posizione dell’uomo nel mondo. La filosofia della politica è un tentativo di determinare la categoria «politica» in relazione a tutte le altre. Non c’è filosofia che non implichi un’interpretazione globale. Il principale problema della filosofia politica è proprio quello di definire e distinguere la politica da altre categorie. Quali sono le altre categorie fondamentali da cui è necessario distinguere la politica?
POLITICA – RELIGIONE (sant’Agostino)
POLITICA – MORALE (Machiavelli)
POLITICA – ECONOMIA (Marx)
Tre temi che corrispondono a tre epoche storiche: 1. avvento del cristianesimo (due potestà: la chiesa e lo stato; rapporto e priorità); 2. età moderna; 3. età contemporanea.
Politica e religione. Il mondo antico vedeva tutta l’attività dell’uomo riassunta nella polis, nella politica. È allora più difficile fare questa distinzione tra sfera politica e sfera religiosa là dove la politica, la polis, assorbe totalmente la vita dell’uomo. All’opposto, negli imperi orientali, teocratici, dove il sovrano è un dio, c’è commistione tra politica e religione.
Politica e morale, è il tema per eccellenza di Machiavelli. La distinzione nasce con lo stato moderno, quando si ritiene che il principe debba essere svincolato dalle leggi morali, come i dieci comandamenti, e che le azioni del principe siano sovra-morali. Nasce il grande tema della ragion di stato. Lo stato ha le sue ragioni, c’è una ragione di stato diversa dalla ragione universale a cui sono sottoposti tutti gli individui. Politica e morale sono due cose diverse. Gran parte del dibattito filosofico è stato imperniato su questo punto.
Politica ed economia. Nasce con Marx. Prima di Marx era nata l’economia politica (XVIII secolo) che aveva studiato i rapporti di mercato, o meglio isolato i rapporti economici. Gli economisti avevano individuato una sfera che non era immediatamente politica.
Marx ha rovesciato la visione precedente. Prima l’economia veniva assorbita nella politica, oggi diremmo che nella prospettiva prevalente prima di Marx la società civile appare sussunta nella società politica. Per Hegel lo stato abbraccia tutto. Questa è la tradizione che gli proviene dai Greci, i rapporti sociali sono una parte dei rapporti politici. Per Marx è la politica che dipende dall’economia; la politica è la sovrastruttura, l’economia è la struttura della società. La politica è per Marx solo il riflesso dell’economia. Su questo tema le discussioni sono aperte. Poulantzas, allievo di Althusser, ha sostenuto la tesi della «autonomia relativa della politica», per cui lo stato è influenzato dall’economia, ma può anche influenzarla. Oggi tutti e tre i temi sono vivi.
Altro tema della filosofia politica è quello del rapporto tra politica e cultura. Questo binomio è importante, ma diverso dai tre precedenti: non distingue la politica da un’altra dimensione della vita sociale con essa confinante. La filosofia si distingue, in genere, in filosofia teoretica e pratica. Le mie distinzioni riguardano solo la filosofia pratica. Il tema «politica e cultura» riguarda la filosofia teoretica, la sfera delle idee. Peraltro, il termine cultura, come lo intendono oggi gli antropologi, diventa una categoria onnicomprensiva di politica, religione, morale, economia.

Lezione 2. Prospettive sul politico

(14 novembre 1978, Norberto Bobbio)

Non tutta la politica è filosofica – Filosofia politica e scienza politica – Filosofia politica e storia delle dottrine politiche – I temi ricorrenti – Il tema del mutamento – Il programma del corso.
Ieri ho mostrato che considerando la «filosofia politica» si presentano due problemi, quello della «filosofia» e quello della «politica». Tanto è vero che avevo detto, scherzando, che il primo problema è adatto soprattutto agli studenti di Filosofia, il secondo a quelli di Scienze politiche. Però devo aggiungere che alla fine della lezione uno studente è venuto a dirmi che c’erano anche gli studenti di Giurisprudenza. E allora? Non dovrebbe sorgere un problema che ieri, quando ho distinto la politica dalla religione e dall’economia, non ci siamo posti? «Politica e diritto» è un tema estremamente interessante. Spero che se c’è qualche studente di Giurisprudenza si ponga questo problema e risponda alla domanda se è importante interrogarsi anche sul rapporto tra politica e diritto.
Ritorniamo al discorso di ieri. Il tema della nostra discussione è stato la filosofia politica dal punto di vista della filosofia, adesso si tratta di vedere il problema della filosofia politica dal punto di vista della politica. La tesi che abbiamo discusso ieri era: non tutta la filosofia è politica. La tesi che dobbiamo discutere oggi è invece: non tutta la politica è filosofica. Cioè: non tutti gli studi che si fanno sulla politica sono di carattere filosofico. Queste due proposizioni si potrebbero rappresentare graficamente: se noi rappresentiamo due cerchi che si intersecano, da una parte c’è la «filosofia», dall’altra c’è la «politica» e nel punto in cui i due cerchi si intersecano c’è la «filosofia politica».
Questo che cosa vuol dire? Vuol dire che non tutta la «filosofia» è politica e non tutta la «politica» è filosofica. Ci sono altre discipline che sono politiche e non sono filosofiche: c’è la scienza politica che sta qui1 e c’è la storia delle dottrine politiche che sta qui2. Ecco che allora varrebbe la pena di dire brevemente qual è la differenza tra la politica vista dalla filosofia e la politica vista dalla scienza (la scienza della politica) e dalla storia (storia delle dottrine politiche). In altre parole, si può dire che la politica può essere considerata da tre diversi punti di vista: quello filosofico, quello scientifico, quello storico. Ci possono essere altri punti di vista, ma per ora mi riferisco a quelli che sono compresi nel sistema di insegnamento della Facoltà di Scienze politiche.
Filosofia politica e scienza politica: in breve, la filosofia studia la politica in generale, il concetto di politica, mentre la scienza politica studia la politica in concreto, nel particolare, cioè prende in esame uno stato, o un insieme di stati ed esamina quali sono i meccanismi attraverso i quali si svolge la vita politica di un determinato paese. Quindi nella scienza politica voi studierete per esempio il sistema politico italiano e vedrete quali sono le sue caratteristiche: i partiti, i gruppi di pressione, i sindacati, il governo, il Parlamento, i rapporti tra governo e Parlamento ecc.
Mutamento politico e rivoluzione
Studente: La scienza politica coincide con un discorso istituzionale?
Bobbio: No. La domanda è molto interessante perché ci ripropone il problema del rapporto tra politica e diritto. Non coincide, anche se ci sono dei punti in comune. La differenza che solitamente si fa è che il diritto costituzionale studia la struttura formale del sistema politico, la costituzione, mentre la scienza politica studia il funzionamento concreto, come effettivamente funzionano i meccanismi messi in atto dalla costituzione. Però sono due facce della stessa medaglia: per studiare bene il sistema politico italiano bisogna studiarlo sia dal punto di vista formale, sia dal punto di vista, diremmo così, più materiale. Si potrebbe aggiungere che la scienza politica si rivolge a uno stato concreto e attuale. La scienza politica ha sempre a che fare con l’attualità.
La storia del pensiero politico studia la filosofia politica nel suo svolgimento storico, mettendo ogni pensiero politico in rapporto con la situazione storica, le circostanze, la società da cui sorge. La filosofia politica prescinde in un certo senso dallo sviluppo storico, studia quello che permane, cioè quello che io chiamo abitualmente i «temi ricorrenti». Ci sono temi fondamentali in tutta la storia del pensiero politico che appartengono proprio al «politico», alla categoria della politica. Sono temi fondamentali, essenziali, ricorrenti, nel senso che si ritrovano in ogni periodo storico e in ogni autore, anche affrontati in diverso modo. La filosofia politica, piuttosto che vedere lo svolgimento di questi problemi, cerca di coglierne la natura. Almeno così io intendo la filosofia politica.
Negli anni precedenti – tranne negli ultimi due, nei quali ho fatto un corso propedeutico, quindi di carattere generale – ho affrontato soprattutto due di questi temi ricorrenti. Il primo è il problema del rapporto tra stato e società civile, che si ritrova in tutta la storia del pensiero politico: lo stato e quella che noi oggi chiamiamo la società civile, cioè qualche cosa che sta al di fuori dello stato e che, secondo i diversi autori, appartiene a una sfera estranea allo stato; oppure una sfera che lo stato a poco a poco ingloba, in modo da cancellare ogni distinzione fra le due parti. Questo è certamente un tema fondamentale: oggi si direbbe che nel sistema sociale complessivo, nel sistema dei rapporti sociali, diciamo così nella società in generale, gli uomini hanno una quantità di rapporti tra di loro, appunto i rapporti sociali, che non sono tutti rapporti politici. Oggi si direbbe che i rapporti politici costituiscono un sottosistema del sistema sociale. Il sistema sociale è costituito da tanti sottosistemi: il sistema economico è un sottosistema, la famiglia è un sottosistema, lo stato è un sottosistema. Lo studio del rapporto fra stato e società civile è in fondo lo studio del rapporto tra il sistema sociale nel suo complesso e uno dei suoi sottosistemi, il sistema politico.
In uno dei miei primi corsi di Filosofia politica, ho impostato questo tema anche in un altro modo, come rapporto fra stato e quello che non è stato, «stato e non-stato». Lo stato, cioè il sistema politico, è sempre in rapporto con un qualche cosa che lo trascende. Ci sono naturalmente delle concezioni politiche in cui tutto viene ricondotto allo stato (si potrebbe dire per esempio che la polis greca è un tutto, il sistema economico e il sistema familiare sono dentro il sistema politico). Però ci sono altre concezioni secondo le quali c’è lo stato e c’è il non-stato. Se nella teoria politica greca abbiamo un’identificazione della società e dello stato (Aristotele comincia a parlare della famiglia, poi parla dello stato, e le famiglie non sono altro che una parte dello stato: oggi diremmo che sono un sottosistema del sistema politico), nella concezione che noi chiamiamo moderna borghese c’è invece una netta distinzione: tutto il sistema dei rapporti economici viene sottratto al sistema politico. Questa distinzione scaturisce dalla nascita di una nuova scienza, l’economia politica, che scopre un nuovo tipo di rapporti tra gli uomini che non sono rapporti politici. Anzi, si finisce poco per volta per dare sempre più importanza a questi rapporti economici, sino a giungere con Marx a dire che i rapporti economici sono la base di tutto il resto. Questa distinzione, dicevo, è nata con l’economia politica. L’economia politica come scienza che studia una sfera particolare dei rapporti umani nasce nel Settecento, nel mondo classico non c’è l’economia politica. Economia, voi sapete, vuol dire semplicemente la regola (nomos) della casa (oikos), della famiglia; quindi gli antichi per economia intendevano solo l’amministrazione della famiglia. Non esisteva l’economia come studio dei rapporti di scambio, semmai questa la chiamavano «crematistica». In Aristotele c’è la distinzione tra economia e crematistica che rispecchia la distinzione tra il sistema normativo della casa intesa nel senso più ampio e la regolamentazione dei rapporti di scambio che, si potrebbe dire, sono i rapporti tra casa e casa, tra i diversi capifamiglia, tra i padri di famiglia; ma l’economia come scienza autonoma non esisteva.
Il secondo tema che ho trattato è quello delle forme di governo, o delle costituzioni. Si può fare la storia delle costituzioni partendo da un punto qualsiasi della storia. Qualsiasi professore di diritto costituzionale, prima di parlare dell’attuale Costituzione italiana, probabilmente parlerà delle costituzioni precedenti, si ricollegherà allo Statuto albertino, e così via. Ma c’è qualcosa in questo flusso storico per cui si passa da una costituzione all’altra, c’è qualcosa che permane: i tipi di costituzione. Sin dall’antichità sono state individuate alcune forme tipiche di costituzione, quelle che si chiamano le forme di governo. Non c’è filosofo politico, non c’è scrittore politico che non si sia soffermato su questo tema. Ecco che allora compito della filosofia politica è non tanto esaminare come si è svolto il corso storico delle costituzioni, ma studiare come i singoli scrittori hanno individuato e poi commentato questi tipi di costituzione, che sostanzialmente risalgono all’antichità greca. Già nei maggiori scrittori politici greci, Platone e Aristotele, si trova una classificazione delle forme di governo che viene poi ripetuta ininterrottamente, con qualche variazione, fino ai nostri giorni. Aristotele dice che le forme di governo sono tre: monarchia, aristocrazia e democrazia, e dice che queste tre forme di governo possono essere pure o corrotte, nel senso che sono pure se il governante esercita il potere per il bene collettivo, sono corrotte se il governante esercita il potere per il bene proprio. Ecco allora che le tre forme di governo diventano sei, se si aggiunge alla descrizione anche il criterio assiologico, valutativo: ci sono tre forme buone e tre forme corrotte, la monarchia si corrompe in tirannia, l’aristocrazia si corrompe in oligarchia e la democrazia in oclocrazia o dominio della folla, della plebe. Questo schema concettuale è rimasto intatto in tutto il pensiero politico fino ai nostri giorni.
Da questa trattazione delle forme di governo deriva il tema di quest’anno, che è anch’esso tratto dall’antichità: gli antichi non solo avevano individuato queste forme di governo, e non solo le avevano descritte, ma avevano anche stabilito un criterio assiologico, valutativo, per distinguere quelle buone da quelle cattive; ma avevano inoltre utilizzato questa distinzione per caratterizzare un certo svolgimento storico, che chiamavano i «cicli». La storia si svolge attraverso cicli, caratterizzati dal passaggio da una forma di governo all’altra. Non c’è autore dell’antichità che non si ponga il problema: non soltanto quali sono le forme di governo, ma come si passa da una forma di governo all’altra. Prima le ho citate nell’ordine in cui generalmente queste forme di governo venivano, diremmo così, distese nel corso sto...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Il professor Bobbio e la rivoluzione. Prefazione di Michelangelo Bovero
  6. Nota dei curatori
  7. Lezione 1. Introduzione
  8. Lezione 2. Prospettive sul politico
  9. Lezione 3. Il mutamento nella filosofia della storia
  10. Lezione 4. L’idea della decadenza nelle forme di stato in Platone
  11. Lezione 5. Il mutamento in Aristotele 1
  12. Lezione 6. Il mutamento in Aristotele 2
  13. Lezione 7. Le cause del mutamento in Aristotele
  14. Lezione 8. L’ingiustizia come causa di mutamento 1
  15. Lezione 9. L’ingiustizia come causa di mutamento 2
  16. Lezione 10. Eguaglianza e giustizia
  17. Lezione 11. I tipi di mutamento in Aristotele
  18. Lezione 12. I mezzi del mutamento
  19. Lezione 13. Critiche di Aristotele a Platone
  20. Lezione 14. Il mutamento dai classici ai moderni
  21. Lezione 15. Il mutamento in Bodin 1
  22. Lezione 16. Il mutamento in Bodin 2
  23. Lezione 17. Considerazioni sul concetto moderno di rivoluzione
  24. Lezione 18. Rivoluzione, guerra civile, diritto di resistenza 1
  25. Lezione 19. Rivoluzione, guerra civile, diritto di resistenza 2
  26. Lezione 20. Teorie della guerra e della guerra civile
  27. Lezione 21. La guerra civile
  28. Lezione 22. La guerra civile in Hobbes
  29. Lezione 23. Il demagogo da Hobbes a Weber
  30. Lezione 24. Precedenti della concezione hobbesiana del demagogo
  31. Lezione 25. I partiti e le fazioni in Hobbes
  32. Lezione 26. I partiti in Hume. Il diritto di resistenza in Locke
  33. Lezione 27. Diritto di resistenza e teoria moderna della rivoluzione
  34. Lezione 28. Rivoluzione in Montesquieu
  35. Lezione 29. Riforma e rivoluzione nel Settecento
  36. Lezione 30. Il termine «rivoluzione» negli scritti del Settecento
  37. Lezione 31. Rivoluzione e diritti
  38. Lezione 32. Kant e la rivoluzione
  39. Lezione 33. Hegel e la rivoluzione 1
  40. Lezione 34. Hegel e la rivoluzione 2
  41. Lezione 35. Hegel e la rivoluzione 3
  42. Lezione 36. Hegel e la rivoluzione 4
  43. Lezione 37. Hegel e la rivoluzione 5
  44. Lezione 38. Hegel e la rivoluzione 6
  45. Lezione 39. Sintesi su Hegel e la rivoluzione
  46. Lezione 40. Marx e la rivoluzione 1
  47. Lezione 41. Marx e la rivoluzione 2
  48. Lezione 42. Marx e la rivoluzione 3
  49. Lezione 43. Marx e la rivoluzione 4
  50. Lezione 44. Marx e la rivoluzione 5
  51. Lezione 45. Introduzione alla teoria generale della rivoluzione
  52. Lezione 46. I temi fondamentali
  53. Lezione 47. L’approccio della filosofia della storia e l’approccio giuridico
  54. Lezione 48. Il concetto di rivoluzione
  55. Lezione 49. Concetti affini, diversi e opposti
  56. Lezione 50. Riforme e rivoluzione
  57. Lezione 51. Tipologia delle rivoluzioni
  58. Lezione 52. Anatomia della rivoluzione
  59. Lezione 53. Assiologia della rivoluzione
  60. Lezione 54. Conclusione
  61. Bibliografia