Era un giorno qualsiasi. Sant'Anna di Stazzema, la strage del '44 e la ricerca della verità. Una storia lunga tre generazioni
eBook - ePub

Era un giorno qualsiasi. Sant'Anna di Stazzema, la strage del '44 e la ricerca della verità. Una storia lunga tre generazioni

  1. 196 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Era un giorno qualsiasi. Sant'Anna di Stazzema, la strage del '44 e la ricerca della verità. Una storia lunga tre generazioni

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

"La mattina presto del 12 agosto - un sabato - eravamo già tutti in piedi quando qualcuno arrivò gridando: 'I tedeschi! I tedeschi!'." Alberto ha 10 anni e si salva solo per caso dall'eccidio nazista di Sant'Anna di Stazzema, in cui vengono uccise sua madre Elena e altre 400 persone. Eccidio che in Italia viene dimenticato fino al processo, clamoroso, del 2004, al quale si arriva grazie alla tenacia di un magistrato che riesce a individuare i responsabili della strage strappandola all'oblio. Anni più tardi, durante il G8 di Genova del 2001, ancora una violenza cieca, insensata, toma a farsi spazio nella storia personale dell'autore di questo libro, nipote di Elena, che qui ricostruisce le vicende drammatiche e appassionanti della propria famiglia lungo tre generazioni, ma anche uno spaccato del nostro Paese dove Sant'Anna di Stazzema diventa un simbolo e un punto di partenza "per un pensiero nuovo, una cultura diversa". Lorenzo Guadagnucci, giornalista, ha pubblicato tra l'altro i libri "Noi della Diaz" (Terre di mezzo Editore/Altreconomia), "Lavavetri" e "Restiamo animali" (entrambi con Terre di mezzo Editore), "Parole sporche" (Altreconomia) e, con Vittorio Agnoletto, "L'eclisse della democrazia" (Feltrinelli).

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Era un giorno qualsiasi. Sant'Anna di Stazzema, la strage del '44 e la ricerca della verità. Una storia lunga tre generazioni di Lorenzo Guadagnucci in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Seconda guerra mondiale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788861899384

Nove

Da qualche anno, diciamo dal processo della Spezia, salgo regolarmente a Sant’Anna per la commemorazione del 12 agosto. È divenuto nel tempo un appuntamento importante, del quale si parla al telegiornale. Ogni volta c’è un oratore ufficiale di prestigio, un uomo delle istituzioni di rango nazionale. Sono davvero cambiate le cose, rispetto ai tempi in cui Sant’Anna era un luogo semisconosciuto, nemmeno paragonabile a Marzabotto o alle Fosse Ardeatine, assurti per primi al ruolo di luoghi simbolo della Resistenza e della Liberazione.
Si legge sui libri di storia che il primo anniversario, il 12 agosto del ’45, fu molto tormentato. È una memoria orale che si tramanda: un gruppo di ex partigiani, che intendeva partecipare alla commemorazione, fu allontanato a male parole. La gente di Sant’Anna, a quel tempo, imputava ai partigiani una responsabilità indiretta per la strage, considerata una rappresaglia per i sabotaggi e gli attacchi alle colonne di soldati tedeschi. La rimozione di Sant’Anna dalla memoria nazionale cominciò così. Non c’era dialogo fra i sopravvissuti e il movimento partigiano; la strage di Sant’Anna non poteva essere inserita nel discorso pubblico sulla Resistenza e la Liberazione, che peraltro, nei primi anni dopo la guerra, faticava ad affermarsi. Il processo Reder peggiorò le cose, perché la gente di Sant’Anna visse l’assoluzione dell’ufficiale nazista per la strage come un’ingiustizia, e intanto non partiva alcun processo specifico per l’eccidio del 12 agosto. In aggiunta, chi abitava in paese avvertiva un senso di abbandono da parte dello Stato: le case restavano diroccate, continuava a mancare una strada carrozzabile, lo stillicidio dell’emigrazione svuotava il paese.
Ci sono voluti molti anni per riportare Sant’Anna nella storia d’Italia. Alla memoria antipartigiana si è affiancato, col tempo, un approccio più aperto, aiutato da ricostruzioni storiche che hanno ridimensionato episodi enfatizzati circa le responsabilità dei partigiani, come il volantino, attaccato dai ribelli alla porta della chiesa, con l’invito a non lasciare il paese e la promessa di protezione. Per qualcuno il volantino era la “prova” della responsabilità dei partigiani, colpevoli di avere spinto la popolazione a restare nelle case, ignorando gli ordini di evacuazione, senza poi saperla proteggere. La ricerca storica ha stabilito che il volantino, se c’era, non riguardava Sant’Anna, ma l’intera area apuana, e non aveva quindi a che fare con la strage del 12 agosto. Si è poi capito che la strage fu decisa e organizzata a tavolino, dentro una strategia di guerra ai civili, al fine di fare terreno bruciato attorno alla Resistenza.
Poi, soprattutto, c’è stato il processo. I singoli testimoni hanno avuto in tribunale il luogo adeguato per prendere la parola e Sant’Anna di Stazzema è diventata in breve tempo un luogo-simbolo conosciuto in tutta Italia. Nel 2015 il 25 aprile è stato celebrato in diretta televisiva su Raiuno: nella piazzetta di Sant’Anna uno spettacolo teatrale con Elisabetta Salvatori e Marco Paolini ricordava l’eccidio, da piazza del Quirinale a Roma centinaia di persone seguivano la messinscena grazie a un grande schermo. Un evento impensabile prima del processo della Spezia, quando Sant’Anna stava appena uscendo dal cono d’ombra della storia e le incomprensioni col movimento partigiano erano ancora forti. Ora è possibile celebrare a Sant’Anna addirittura la festa della Liberazione.
Con Lorenzo abbiamo discusso a fondo su questo punto. Lui è piuttosto insoddisfatto della politica della memoria che riguarda Sant’Anna. Pensa che stiamo perdendo un’occasione; dice che dopo tanti tormenti, non è gran cosa assistere alla “normalizzazione” della storia. Sostiene che la mamma, la sua nonna, e tutti gli altri morti, andrebbero considerati per quel che erano: persone semplici ridotte, dice lui, a “nuda vita”, annientate all’interno di una precisa logica di guerra. Perciò la memoria di Sant’Anna dovrebbe concentrarsi sul tema della guerra: proporre quindi un’idea opposta, di vita e di pace, lasciando tutto il resto in secondo piano, la Resistenza, i nazisti, la Liberazione. Un pacifismo assoluto, il rifiuto dell’ideologia della guerra.
A me sembra un punto di vista molto radicale, forse troppo, ma riconosco che contiene un elemento di verità. Sant’Anna non può essere definita un luogo della Resistenza, se non per via indiretta. La strage non fu una rappresaglia per un’azione partigiana, casomai il primo atto di una strategia che intendeva seminare terrore e stroncare ogni forma di sostegno ai Banditen. In questo senso la Resistenza c’entra. I partigiani, per l’esercito tedesco in ritirata, erano un fastidio da eliminare. Quanto basta, detto per inciso, per liquidare chi ne minimizza il ruolo militare. Le armate tedesche si organizzarono per schiacciare i partigiani, schierando la Divisione Simon e anche la Göring, note per la spietata efficienza in simili operazioni. In questo senso Sant’Anna può essere inserita nella storia della Resistenza e della Liberazione.
Quando faccio queste osservazioni, che sono poi il risultato della storiografia più attuale, Lorenzo ribatte con argomenti in apparenza poco politici.
“Guarda, babbo, che nemmeno mi sogno di mettere in discussione la Resistenza. I partigiani hanno salvato l’Italia, almeno sul piano morale. Hanno vinto la guerra civile, in entrambi i sensi dell’aggettivo: di conflitto interno al Paese fra due fazioni e di lotta fra visioni del mondo, al cospetto di una forma appena aggiornata di fascismo. Io dico un’altra cosa. Penso a tua madre, alle persone come lei, gente semplice che ha attraversato gli anni della guerra lottando per la propria vita, per proteggere la famiglia. È la storia che tu racconti. Non so se tua madre avesse un’idea sua della guerra e della Resistenza. Forse sì, forse no. Magari, avendone la possibilità, avrebbe aiutato i partigiani, come fecero tante persone in Versilia. Ma non è questo il punto. Ne abbiamo già parlato pensando agli animali ammazzati alla Vaccareccia insieme con le persone. Io credo che il ricordo di Elena, la memoria di lei che dobbiamo trasmettere, riguardi categorie della morale e della storia che sono state finora trascurate. Lei è una vittima del terrorismo di guerra, del militarismo spinto all’estremo, di una logica di dominio dei corpi che non conosce limiti. Elena, come gli altri 400, diventarono corpi da distruggere al fine di mandare a tutti gli altri, in tutta Italia, un chiaro messaggio di potere: ecco che cosa possiamo fare di voi, se solo lo vogliamo. Noi possiamo esercitare un dominio incontrollato. È un messaggio che risuona si può dire in ogni guerra.”
Le mie obiezioni non sono forse originali, però portano il discorso sui fatti storici e la loro interpretazione corrente, la quale può anche non piacere, ma dev’essere considerata e semmai contraddetta con validi argomenti.
“Capisco il ragionamento”, ho detto a Lorenzo. “Tu dici che si deve andare alla radice del concetto di guerra, perché da lì deriva la brutalità dei soldati tedeschi a Sant’Anna. Ma non si rischia, in questo modo, di banalizzare il ruolo delle SS, la loro storia, la loro cultura? Quelli erano reparti molto particolari. E anche il regime nazista non è stato uno fra i tanti, ma l’espressione più piena di ciò che intendiamo per totalitarismo. Aveva un progetto di dominio razziale e militare sull’intero pianeta. Come si fa a ridurlo a un semplice episodio della storia?”
“Il nazismo non va banalizzato”, conferma Lorenzo, “e non si può sottovalutare il peso specifico delle SS all’interno di una logica di guerra. Tu stesso hai studiato le biografie degli imputati al processo della Spezia per darti una spiegazione di quel che accadde. Io dico che il nazismo ha esasperato tutti gli aspetti peggiori del nazionalismo e del militarismo. Li ha espressi con una potenza e una violenza senza precedenti, modellando lo spirito e la mente dei suoi soldati-politici, spingendoli ad abbattere i freni inibitori. Ma io dico che c’è qualcos’altro. Dico che se vogliamo dare un senso alla morte di tua madre e della gente di Sant’Anna, dobbiamo fare un passo in più, dire una verità che si fatica a riconoscere, e cioè che il nazismo non solo affonda le sue radici nella cultura europea, ma è ancora fra noi, sotto mentite spoglie, per la semplice ragione che si è nutrito di un’ideologia della guerra che lo precede e che non è mai stata davvero messa in discussione. Perciò il nazismo, seminando l’orrore in tutta Europa, ha lasciato una traccia che rischiamo di non cogliere, se circoscriviamo ogni ragionamento all’avventura di Adolf Hitler, durata appena una dozzina d’anni. È vero, il nazismo è stato un’espressione estrema del male, ma per combattere il suo lascito dobbiamo scendere più a fondo, scavare fino alle radici. Non basta fermarsi al ripudio solenne di quel regime, al rigetto del totalitarismo. È una cosa fondamentale, non c’è bisogno di dirlo, ma insufficiente. Rischiamo di concentrarci sul rito, dimenticando o sottovalutando la sostanza. E la sostanza è il culto della violenza, la cultura del dominio, l’ideologia della guerra”.
Lorenzo su questo punto si accalora: la questione principale, per lui, è il contenuto concreto della memoria, cioè i valori che vengono proposti ogni volta che si parla di Sant’Anna e delle stragi. Il suo discorso continua.
“Che cosa stiamo dicendo in realtà alle giovani generazioni, quando raccontiamo la guerra e le stragi compiute in Italia? Che le SS incarnarono il male assoluto, che erano espressione di un sistema di potere capace di concepire e praticare l’indicibile, dall’eliminazione dei propri cittadini menomati allo sterminio di oppositori, ebrei e rom. Spendiamo molte parole per dire che la memoria dev’essere di insegnamento affinché niente del genere possa ripetersi. Tutto giusto, ma alla fine ci ritroviamo muti quando lo stesso sistema di pensiero e di azione è messo in pratica da altri, magari dai ‘nostri’, da eserciti e regimi politici che condividono, almeno sulla carta, lo stesso nostro sistema di valori. In quei casi scattano le giustificazioni, magari anche le prese di distanza, ma si classificano gli episodi peggiori come casi isolati, dovuti a circostanze eccezionali e irripetibili; gli autori dei crimini diventano nient’altro che mele marce. Ma così non si capisce Srebrenica, non si capisce il Vietnam e alla fine neanche l’Isis. Non è per via di qualche testa calda che si compiono gli orrori peggiori: è la politica, la scelta cosciente di usare determinati strumenti, ossia il terrore, a condurre a simili scempi. E spesso sono gli Stati, anche quelli democratici, a imboccare la strada della violenza estrema. Bisogna combattere la cultura che rende tutto ciò possibile.”
Quando abbiamo affrontato questa discussione, Lorenzo mi ha mostrato un articolo uscito nel 2015 sulla rivista Internazionale, firmato da Seymour Hersch e pubblicato in prima battuta sul New Yorker. Hersch è il giornalista che raccontò per primo la strage di My Lai in Vietnam, avvenuta il 16 marzo del 1968. Un servizio dirompente, che gli valse il premio Pulitzer. Un contingente di un centinaio di giovani soldati statunitensi massacrò decine di donne, anziani e bambini. Hersch è tornato a My Lai nel 2014, trovando un villaggio ancora segnato dalla violenza e oggi custode di una memoria scomoda. Ha scritto nell’articolo sul New Yorker, rievocando i fatti di oltre quarant’anni prima: “La compagnia Charlie aveva ricevuto informazioni sbagliate e pensava di trovare un gruppo di vietcong o di loro simpatizzanti, invece si ritrovò in un pacifico villaggio dove la gente stava facendo colazione. Nonostante questo, i soldati violentarono le donne, incendiarono le case e rivolsero i loro M16 contro i civili disarmati”.
Hersch racconta poi la storia del soldato Paul Meadlo, che dopo aver sparato alle persone riunite in un fossato, inseguì e acchiappò un bambino di due-tre anni che era riuscito a fuggire, lo riportò nella buca e lo uccise. Il giorno dopo Meadlo perse un piede inciampando su una mina. L’anno seguente - nel 1969 - Hersch rintracciò Meadlo, mutilato e congedato, e questi gli raccontò l’eccidio.
Ricordo di aver letto l’articolo con angoscia crescente. “Senza mostrare troppa emozione”, ha scritto Hersch sul New Yorker, “mi raccontò quando Calley aveva dato l’ordine di uccidere. Non giustificava quello che aveva fatto, ma disse che quella strage ‘gli aveva tolto un peso dalla coscienza’, per via di ‘tutti i compagni che avevamo perduto. Era stata una vendetta’”.
L’articolo continua con la descrizione dei preparativi dello sterminio, con il rastrellamento casa per casa, la raccolta delle persone nel fossato (Meadlo non parla di stupri). Meadlo racconta a un certo punto il momento del massacro: “Da tre o quattro metri di distanza, Calley ‘si mise a sparare su di loro. E poi mi disse di fare lo stesso. Io cominciai a sparare, ma gli altri non volevano. Perciò continuammo noi’. Meadlo calcolava di avere ucciso una quindicina di persone. ‘Stavamo eseguendo un ordine’, disse. ‘Pensavamo di fare la cosa giusta. In quel momento non mi creava nessun problema’”.
Dopo una lettura del genere, ovvio che mio figlio si faccia incalzante e che il dialogo fra noi diventi serrato.
“Che vogliamo dire di questo racconto?”, chiede lui. “C’è o non c’è un’assonanza con Sant’Anna? Soldati giovanissimi pressati dai superiori, impegnati in una guerra odiosa e perdente, desiderosi di vendetta, spinti a disprezzare i partigiani vietnamiti e l’intera popolazione locale: è una miscela simile a quella vissuta dalle formazioni tedesche nell’estate del ’44. Non dimentichiamo che in Italia fra i tanti eccidi, ve ne furono alcuni compiuti dalle truppe regolari, senza il coinvolgimento delle SS. Ecco, io credo che il ricordo di Sant’Anna dovrebbe dire qualcosa anche su My Lai. Altrimenti è impensabile che, a partire dalla memoria delle stragi, si possa costruire un nuovo pensiero, una nuova cultura. Tua madre Elena non era diversa da una sua coetanea vietnamita a My Lai. Queste donne, separate da migliaia di chilometri e dai 25 anni trascorsi, hanno condiviso la medesima sorte. Sono state schiacciate dal furore della guerra, dalla violenza pura insita nell’ideologia militare. Qual è il grido che lancerebbero al mondo? Qual è l’insegnamento che possiamo trarre dalla loro fine, se non un rifiuto pieno, totale, della violenza?”
“In questi anni”, ho ribattuto, “mi è capitato spesso di pensare a Srebrenica, per la vicinanza e per la somiglianza dei luoghi con Sant’Anna. Sono convinto anch’io che sia necessario allargare lo sguardo oltre Sant’Anna e oltre l’Italia. Però il tuo discorso sulla guerra e sulla violenza è utopistico, alla fine non fa i conti con la storia, che prende la forma ora dell’esercito nazista, ora dei marines spediti in Vietnam a combattere il pericolo rosso. Potremmo aggiungere innumerevoli altri casi, presenti e passati. Ma pensi davvero che sia possibile un rifiuto assoluto della guerra? Non trovi che sarebbe un’aspirazione astratta, se applicata allo specifico caso di Sant’Anna?”.
“Sarà anche un discorso utopistico, ma allora io ti chiedo qual è il senso che vogliamo dare alla fine di tua madre. Certo, possiamo ricordarla come vittima innocente di una barbarie e collocare la sua fine in quel tratto di storia che portò dalla guerra alla liberazione. È un ricordo in forma di ammonimento: suscita sdegno verso fascismo e nazismo e dà un giusto tributo a chi li combatté. È quel che avviene oggi, ora che le politiche della memoria si sono assestate. Ma in questo modo, che cosa diciamo su Srebrenica e My Lai? In che modo entrano nel discorso? È facile tacciarmi di utopismo, visto che il ripudio della violenza e della guerra non è all’ordine del giorno. Però sai che diceva lo scrittore Eduardo Galeano sull’utopia? Che è come l’orizzonte, più ti avvicini e più lui si allontana, perché l’utopia serve a questo, a camminare nella direzione giusta. In fondo voglio dire solo che la memoria di Sant’Anna dovrebbe fare da leva per costruire un pensiero nuovo, una cultura diversa, scavando sotto la superficie della storia. Lì, io credo, ci imbatteremmo nella cultura della violenza, che rende possibile le Sant’Anna, le Srebrenica, le My Lai. È una cosa troppo grande? Troppo astratta? Forse sì, se restiamo...

Indice dei contenuti

  1. Uno
  2. Due
  3. Tre
  4. Quattro
  5. Cinque
  6. Sei
  7. Sette
  8. Otto
  9. Nove
  10. I luoghi del libro
  11. Letture
  12. Dello stesso autore