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La parola “centro” deriva dal termine greco kentron, che significa “pungiglione” (dal verbo kentéo, che sta per: pungere, ferire di punta), che a volte passa a indicare anche qualcosa come una puntura, con quel tipico conseguente alone che si irradia dal centro attenuandosi all’estremità fino a dileguare in una zona che, al tatto, non provoca sensibile reazione. Come vedremo, queste due parole hanno a che fare anche con il ricamare e il tessere.
Dal significato originario di aculeo, kentron passò col tempo, ma già come metafora, a indicare la punta del compasso e, con essa, il punto fermo che intacca una superficie originando una circonferenza. A sua volta, periphéreia è uno dei nomi della circonferenza e dunque del luogo, derivato e lontano, di quei punti che hanno come proprietà principale quella di essere tutti equidistanti dal centro, ossia da un luogo che è anch’esso un punto, ma per sua essenza diverso da tutti gli altri. Periferia (perí ‘intorno’ e phérein ‘portare’) è dunque circonferenza prodotta, un portato dell’azione del girare intorno, ma è un portare (fero) che ha a che fare, come vedremo, anche con il produttivo, il fertile, il ferace.
La periphéreia sarebbe dunque il luogo secondario, marginale, spesso anche “superficiale” rispetto alla profondità del centro, “cuore” delle cose e delle questioni vere a cui puntare senza prenderla alla lontana o, peggio, “in giro” o girarci “intorno” (circum-ferre). Centro diventa allora uno dei nomi dell’origine e della sua permanenza, segno di identità e stabilità (il punto fermo del kentron), centro dunque di attenzione, di memoria e di cura: insomma, un punto “vitale”.
Ci troviamo di fronte ad una procedura tipica, anzi al gesto fondamentale, della metafisica: la posizione di un punctum centrale, di una fondazione, di un principio.
Come fosse una filigrana (che è, vedremo, leggera e potente come una ragnatela) appare una puntuale riproposizione del gesto gerarchizzante delle classiche opposizioni concettuali: anima/corpo, contenuto/forma, dentro/fuori, conscio/inconscio, essere/divenire, stabilità/transitorietà. Coppie di termini che non sono mai solo “descrittive”: uno di fronte all’altro in una relazione asimmetrica, mai in una «coesistenza pacifica di un vis-à-vis, bensì in una gerarchia violenta» il primo termine è sempre in una posizione superiore, mentre il secondo ne rappresenta puntualmente una sorta di complicazione, di accidente, di deterioramento e caduta.
Queste polarità metafisiche “non sono piovute dal cielo”: è la strategia che muove e determina la storia del pensiero occidentale. È l’esigenza metafisica per eccellenza.
«Decostruire l’opposizione equ...