Le parole di Luigi Petroselli
Fare di Roma una città umana
On.li colleghi, rinnovo, anche a nome vostro, il mio saluto al Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, simbolo dell’unità nazionale.
Nell’udienza che mi ha concesso ho avuto modo di esprimergli i sentimenti di rispetto, di stima, di affetto che i cittadini romani nutrono per lui, la gratitudine per l’esempio che egli dà nell’esercizio del suo alto magistero.
Noi siamo a Roma un potere civile, quello municipale, che si fonda su libere istituzioni.
Una concezione laica – non confessionale e non laicista – della politica e dell’amministrazione è oggi patrimonio di tutte le forze politiche democratiche.
Noi non facciamo della laicità una religione, ma crediamo di essere un potere civile che per la base che ha nel consenso popolare, interpreta il messaggio di libertà, di giustizia sociale, il nuovo umanesimo che ispira la Repubblica fondata sul lavoro e nata dalla Resistenza, di cui Roma è Capitale.
Rinnovo sentimenti di rispettoso omaggio al Vescovo di Roma, Giovanni Paolo II, Sommo Pontefice della chiesa cattolica.
Oggi, insieme ad altre autorità della Repubblica ho avuto l’occasione di porgergli l’ossequio della città al suo ritorno da un viaggio che lo ha portato all’assemblea dell’Onu.
In quella circostanza avevo espresso, a nome della municipalità, l’auspicio che fosse un contributo alla pace e alla giustizia, alla collaborazione tra tutti i popoli.
Queste vicende ci richiamano al carattere unico di Roma per ragioni di storia, di cultura, per essere insieme Capitale e Centro della Cattolicità.
Sentiamo questa unicità non come un luogo retorico ma come una responsabilità verso il nostro paese e verso il mondo, ma soprattutto verso i nostri cittadini.
Quanto più Roma sarà una città, cioè una comunità cittadina che elevi i rapporti tra istituzioni e popolo, tra i cittadini, fondandoli su valori di libertà, di tolleranza, giustizia, solidarietà umana tanto più potrà essere una Capitale capace di unire e di unificare il Paese, tanto più le istituzioni religiose potranno assolvere alla missione che si sono assegnate e che assegnano loro i sentimenti, che rispettiamo, di molti cittadini romani.
Questo è il nostro impegno di fronte a una città sottoposta a prove durissime ma che non si è piegata, che rispettiamo e amiamo, che ha bisogno di pace, di sicurezza, di serenità.
Cosa è oggi Roma? Le definizioni abbondano.
Ancora qualche giorno fa ho letto su un giornale che sarebbe la sola città italiana della quale si può dire tutto il male possibile senza suscitare gelose reazioni ma anzi riscuotendo applausi. Era una battuta.
Noi respingiamo giudizi unilaterali e catastrofici su Roma.
Si può parlare di Roma come di una città al bivio tra rischi di decadenza e anche di imbarbarimento e potenzialità rinnovatrici.
L’eversione terroristica ha scelto Roma tra i bersagli privilegiati, ha colpito e colpisce ancora. La difesa dell’ordine democratico nella Capitale è una questione aperta.
Noi chiediamo che in collegamento sempre più stretto con la mobilitazione democratica popolare in una collaborazione tra Governo e altre istituzioni si realizzi un piano inteso a difendere la libertà e la sicurezza dei cittadini. Ci sono a Roma i centri più potenti di resistenza al nuovo, le forze che hanno «sfruttato la città» piegando le istituzioni ai loro fini particolari. È dall’azione di questi centri che si alimentano i veleni dello spirito reazionario, del qualunquismo, del particolarismo, che corrodono settori vasti della società.
È a Roma che si è acuito il contrasto tra il privilegio prevaricatore che è cresciuto con la speculazione e zone di povertà ed emarginazione. È soprattutto a Roma che i lavoratori, i cittadini, hanno pagato un immenso e incalcolabile costo produttivo e umano a uno sviluppo disordinato e caotico che ha impegnato, per non dire dilapidato, risorse della nazione senza trasformarle in beni e servizi per la città e per il Paese.
Questi sono i mali di Roma che combattiamo ma possiamo farlo perché la città sente oggi che sono intollerabili e dispiega in ogni campo le forze per invertire il cammino.
C’è qui non una rassegnazione o una assuefazione a convivere con i guasti di uno sviluppo distorto ma una reazione, c’è una vitalità straordinaria, tutto quello che fa dire che Roma è, oggi, una delle Capitali più democratiche del mondo.
Questa vitalità democratica si esprime nella presenza di un forte e generoso movimento operaio e popolare, di partiti che si riconoscono nella Costituzione, di sindacati, nell’associazionismo vecchio e nuovo ma soprattutto nuovo, multiforme e pluralistico, laico e cattolico.
Il rispetto di tutte le fedi religiose – colgo l’occasione per auspicare che si superino tutti gli ostacoli che si frappongono alla costruzione della Moschea – la consapevolezza della necessità di confermare rapporti di rispetto reciproco delle diverse funzioni e prerogative tra istituzioni religiose e civili, non ci impedisce di misurarci con la vitalità che si esprime nell’attenzione che, innovando rispetto al passato, la comunità cattolica di Roma presta ai problemi della crescita civile della città.
L’estate romana o episodi come l’appello ai cittadini dei commercianti di Torre Nova contro il taglieggiamento mafioso o il fatto, curioso, che dopo l’introduzione delle macchinette automatiche sugli autobus in sostituzione del fattorino, l’evasione del pagamento del biglietto dell’Atac sia risultata minore, la celerità stessa con la quale siamo tornati, dopo il barbaro attentato, in questa aula, sono segnali significativi. Certo è cronaca e cronaca minore alla quale si contrappone una cronaca altrettanto significativa di guasti, di disfunzioni, di violenza alle donne, di collassi, di disperazione.
Roma al bivio, ma cosa prevale e cosa può prevalere? La partita è aperta, ma prevale e può prevalere una coscienza civile democratica e moderna, può affermarsi una prospettiva di riscatto civile e morale, può avanzare una linea di risanamento e di rinnovamento della città. Questo è il nostro atto di fiducia nella città. Occorre guardarla più in profondità e insieme mirare più alto e più lontano.
Il bivio al quale si trova Roma è, in definitiva, lo stesso nel quale è collocata tutta la società nazionale della quale la capitale riflette ed esaspera i caratteri, sia nei pericoli sia nelle possibilità di ripresa, sul pieno di una crisi, anche mondiale, che ha tra i suoi epicentri le grandi aree metropolitane e che chiama in causa il modello di società e la questione di fondo: cosa produrre, come produrre, per chi, per che cosa. È proprio nelle grandi metropoli, tra le quali Roma, che oggi è drammaticamente chiaro che società più giuste sono la premessa e la condizione di un nuovo ordine mondiale, della difesa stessa del bene supremo della pace, della distensione, della collaborazione fra tutti i popoli.
Come si riflette questa crisi, che porta anch’essa un duplice segno, a Roma?
Roma questione nazionale
È rispondendo a questa domanda che risulta più chiaro in che senso Roma è questione nazionale. Una capitale che costruisce la nazione.
La nostra Capitale è stata il punto di intreccio del secolare dualismo tra Nord e Sud del Paese, tra accentramento e democrazia, tra parassitismo e riforme, tra emarginazione e sviluppo civile.
I nodi che stringono la società nazionale – nonostante ciò che un vasto movimento unitario e di massa ha saputo conquistare – sono tuttora da sciogliere.
Mezzogiorno, occupazione, questione giovanile, questione femminile, pubblica amministrazione sono le questioni all’ordine del giorno della vita nazionale e si presenta in forme acute e nuove.
È caduta l’illusione che piccoli aggiustamenti, clientelismo, assistenzialismo potessero bastare e, forse, per certi periodi sono bastati, ma solo a differire e rendere più acuti i problemi.
Ed oggi perciò, costa di più – in termini di impegno civile e misure concrete – risolvere un tale groviglio di problemi in una società percorsa da segni di pericolosa crisi di sfiducia.
Vorrei che ognuno riflettesse a questo non per offuscare responsabilità od indebolire critiche, ma perché la situazione richiede a tutti noi la capacità di proporsi alla collettività come un sicuro punto di riferimento per il cambiamento e il progresso.
Il passaggio che si rende necessario è quello della capacità di programmare il prelievo e l’uso delle risorse, e il governo del territorio, in modo giusto rispetto alle possibilità di ognuno, efficace al fine del rendimento economico e sociale, previdente per la salvaguardia dell’ambiente.
Questo passaggio non si compie senza uno sviluppo democratico con la piena partecipazione di tutti i livelli istituzionali e dei cittadini. L’inefficienza – abbastanza generalizzata – della macchina pubblica non è perciò un problema di più, ma conseguenza e causa di questa situazione ed è uno dei principali ost...