Raffaello tradito
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Raffaello tradito

La rivoluzione mancata del primo "soprintendente" di Roma

  1. 112 pagine
  2. Italian
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Raffaello tradito

La rivoluzione mancata del primo "soprintendente" di Roma

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Nel 1519, all'apice della sua carriera artistica, Raffaello scrive con Baldassar Castiglione una lettera a papa Leone X accusando i pontefici precedenti e la curia cardinalizia di aver distrutto tanta parte di Roma antica allo scopo di «cuocerne i marmi e farne vile calce pozzolana». L'autore delle Stanze della Segnatura e dello Sposalizio della Vergine descrive la Città Eterna come il «cadavere di una nobile patria», raccontando già allora l'urgenza di conservarne tutta la «grandezza italiana» insita nel suo immenso patrimonio. Roma invece subirà nei secoli successivi la violenza della speculazione politica ed edilizia – salvo sotto la tutela di sindaci laici e progressisti come Pianciani e Nathan – che ne mutilerà il volto e persino l'anima. Ricostruendo in questo pamphlet la parabola umana e artistica di Raffaello, Vittorio Emiliani prosegue il suo percorso di divulgazione e difesa dei beni artistici del nostro paese contro l'incessante minaccia dell'antipolitica e del malcostume culturale.

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Informazioni

Editore
Bordeaux
Anno
2020
ISBN
9788832103632
Versione integrale della Lettera di Raffaello
e Baldassar Castiglione a papa Leone X sulla tutela1
Anno 1519
Sono molti, Padre Santissimo, i quali misurando col loro picciolo giudicio le cose grandissime che delli Romani circa l’arme, e della Città di Roma circa al mirabile artificio, ai ricchi ornamenti e alla grandezza degli edifici si scrivono, quelle più presto stimano favolose che vere.
Ma altrimenti a me suole avvenire, perché considerando delle reliquie che ancor si veggono delle ruine di Roma la divinità di quegli animi antichi, non istimo fuor di ragione il credere che molte cose a noi paiano impossibili che ad essi erano facilissime.
Però, essendo io stato assai studioso di queste antiquità e avendo posto non picciola cura in cercarle minutamente e misurarle con diligenza, e, leggendo i buoni autori, confrontare l’opere con le scritture, penso di aver conseguito qualche notizia dell’architettura antica. Il che in un punto mi dà grandissimo piacere, per la cognizione di cosa tanto eccellente, e grandissimo dolore, vedendo quasi il cadavere di quella nobil patria, che è stata regina del mondo, così miseramente lacerato. Onde se a ognuno è debita la pietà verso i parenti e la patria, tengomi obbligato di esporre tutte le picciol forze mie, acciocché più che si può resti vivo un poco della immagine, e quasi l’ombra di questa, che in vero è patria universale di tutti li cristiani, e per un tempo è stata tanto nobile e potente, che già cominciavano gli uomini a credere ch’essa sola sotto il cielo fosse sopra la fortuna e, contro il corso naturale, esente dalla morte, e per durare perpetuamente.
Però parve che il tempo, come invidioso della gloria de’ mortali, non confidatosi pienamente delle sue forze sole, si accordasse con la fortuna e con li profani e scellerati Barbari, li quali alla edace lima e venenato morso di quello aggiunsero l’empio furore e ’l ferro e il fuoco e tutti quelli modi che bastavano per ruinarla. Onde quelle famose opere che oggidì più che mai sarebbono floride e belle, furono dalla scellerata rabbia e crudele impeto de’ malvagi uomini, anzi fiere, arse e distrutte: sebbene non tanto che non vi restasse quasi la macchina del tutto, ma senza ornamenti, e, per dir così, l’ossa del corpo senza carne.
Ma perché ci doleremo noi de’ Goti, Vandali e d’altri tali perfidi nemici, se quelli li quali come padri e tutori dovevano difender queste povere reliquie di Roma, essi medesimi hanno lungamente atteso a distruggerle? Quanti Pontefici, Padre Santissimo, li quali avevano il medesimo officio che ha Vostra Santità, ma non già il medesimo sapere, né il medesimo valore e grandezza d’animo, né quella clemenza che la fa simile a Dio: quanti, dico, Pontefici hanno atteso a ruinare templi antichi, statue, archi e altri edifici gloriosi! Quanti hanno comportato che solamente per pigliar terra pozzolana si sieno scavati dei fondamenti, onde in poco tempo poi gli edifici sono venuti a terra! Quanta calce si è fatta di statue e d’altri ornamenti antichi! che ardirei dire che tutta questa Roma nuova che ora si vede, quanto grande ch’ella si sia, quanto bella, quanto ornata di palagi, chiese e altri edifici che la scopriamo, tutta è fabricata di calce e marmi antichi.
Né senza molta compassione posso io ricordarmi che poi ch’io sono in Roma, che ancor non è l’undecimo anno, sono state ruinate tante cose belle, come la Meta che era nella via Alessandrina, l’Arco mal avventurato, tante colonne e tempi, massimamente da messer Bartolommeo dalla Rovere.
Non deve adunque, Padre Santissimo, essere tra gli ultimi pensieri di Vostra Santità lo aver cura che quel poco che resta di questa antica madre della gloria e della grandezza italiana, per testimonio del valore e della virtù di quegli animi divini, che pur talor con la loro memoria eccitano alla virtù gli spiriti che oggidì sono tra noi, non sia estirpato, e guasto dalli maligni e ignoranti; che pur troppo si sono infin qui fatte ingiurie a quelle anime che col loro sangue partoriscono tanta gloria al mondo. Ma più presto cerchi Vostra Santità, lasciando vivo il paragone degli antichi, agguagliarli e superarli, come ben fa con grandi edifici, col nutrire e favorire le virtuti, risvegliare gl’ingegni, dar premio alle virtuose fatiche, spargendo il santissimo seme della pace tra li principi cristiani. Perché come dalla calamità della guerra nasce la distruzione e ruina di tutte le discipline e arti, così dalla pace e concordia nasce la felicità a’ popoli, e il laudabile ozio per lo quale ad esse si può dar opera e farci arrivare al colmo dell’eccellenza, dove per lo divino consiglio di Vostra Santità sperano tutti che si abbia da pervenire al secolo nostro.
E questo è lo essere veramente Pastore clementissimo, anzi Padre ottimo di tutto il mondo. Essendomi adunque comandato da Vostra Santità ch’io ponga in disegno Roma antica, quanto conoscere si può per quello che oggidì si vede, con gli edifici che di sé dimostrano tali reliquie, che per vero argomento si possono infallibilmente ridurre nel termine proprio come stavano, facendo quelli membri che sono in tutto ruinati, né si veggono punto corrispondenti a quelli che restano in piedi e si veggono, ho usato ogni diligenza a me possibile, accioché l’animo di Vostra Santità resti senza confusione ben satisfatto.
Gli edifici adunque moderni e de’ tempi nostri sono notissimi, sì per esser nuovi, come ancor per non avere la maniera così bella come quelli del tempo degl’imperatori, né così goffa come quelli del tempo de’ Gotti; di modo che, benché siano più distanti di spazio e di tempo, sono però più prossimi per la qualità, e posti quasi tra l’uno e l’altro. E quelli del tempo de’ Gotti, benché siano prossimi di tempo a quelli del tempo degl’imperatori, sono differentissimi di qualità, e come due estremi, lasciando nel mezzo li più moderni.
Non è adunque difficile il conoscere quelli del tempo degl’imperatori, i quali sono li più eccellenti, e fatti con grandissima arte e bella maniera d’architettura; e questi soli intendo io di dimostrare: né bisogna che in cuore d’alcuno nasca dubbio che, degli edifici antichi, li meno antichi fossero meno belli, o meno intesi, perché tutti erano d’una ragione.
E benché molte volte molti edifici dalli medesimi antichi fossero instaurati, come si legge che nel luogo dove era la casa aurea di Nerone, nel medesimo dappoi furono edificate le terme di Tito e sia la casa e l’anfiteatro, nientedimeno erano fatte con la medesima ragione degli altri edifici ancor più antichi che il tempo di Nerone, e coetanei della casa aurea.
E benché le lettere, la scultura, la pittura e quasi tutte l’altre arti fossero lungamente ite in declinazione, e peggiorando fin al tempo degli ultimi imperatori, pure l’architettura si osservava e manteneva con buona ragione, ed edificavasi con la medesima che li primi. E questa fu tra l’altre arti l’ultima che si perdé. Il che si può conoscere da molte cose, e tra l’altre da l’arco di Costantino, il componimento del quale è bello e ben fatto in tutto quello che appartiene all’architettura, ma le sculture del medesimo arco sono sciocchissime, senza arte o bontate alcuna. Ma quelle che vi sono delle spoglie di Traiano e d’Antonino Pio, sono eccellentissime e di perfetta maniera. Il simile si vede nelle terme diocleziane, che le sculture sono goffissime e le reliquie di pittura che vi si veggono non hanno che fare con quelle del tempo di Traiano e Tito: pure, l’architettura è nobile e bene intesa.
Ma poi che Roma da’ Barbari in tutto fu ruinata e arsa, parve che quello incendio e misera ruina ardesse e ruinasse, insieme con gli edifici, ancor l’arte dello edificare. Onde essendosi tanto mutata la fortuna de’ Romani, e succedendo in luogo delle infinite vittorie e trionfi la calamità e misera servitù, quasi che non convenisse a quelli che già erano soggiogati e fatti servi dalli barbari abitare di quel modo e con quella grandezza che facevano quando essi avevano soggiogati li barbari, subito con la fortuna si mutò il modo dell’edificare e dello abitare, e apparve un estremo tanto lontano dall’altro, quanto è la servitù dalla libertà, e si ridusse a maniera conforme alla sua miseria, senza arte, senza misura, senza grazia alcuna. E parve che gli uomini di quel tempo, insieme con la libertà, perdessero tutto l’ingegno e l’arte, perché divennero tanto goffi, che non seppero fare li mattoni cotti, nonché altra sorte d’ornamenti, e scrostavano li muri antichi per torre le pietre cotte e pestavano li marmi e con essi muravano, dividendo con quella mistura le pareti di pietra cotta, come ora si vede a quella torre che chiamano della Milizia.
E così per buono spazio seguirono con quella ignoranza che in tutte le cose di quei tempi si vede, e parve che non solamente in Italia venisse questa atroce e crudele procella di guerra e distruzione, ma si diffondesse ancora nella Grecia, dove già furono gl’inventori e perfetti maestri di tutte l’arti. Onde di là ancor nacque una maniera di pittura, scultura e architettura pessima e di nessun valore.
Parve dappoi che i Tedeschi cominciassero a risvegliare un poco questa arte, ma negli ornamenti furono goffi e lontanissimi dalla bella maniera de’ Romani, li quali oltre la macchina di tutto l’edificio, avevano bellissime cornici, belli fregi, architravi, colonne ornatissime di capitelli e basi, e misurate con la proporzione dell’uomo e della donna. E li Tedeschi (la maniera de’ quali in molti luoghi ancor dura) per ornamento spesso ponevano solamente un qualche figurino rannicchiato e mal fatto per mensola, a sostenere un trave, e animali strani e figure e fogliami goffi e fuori d’ogni ragione naturale.
Pur ebbe la loro architettura questa origine, che nacque dagli arbori non ancor tagliati, li quali, piegati li rami e rilegati insieme, fanno li loro terzi acuti. E benché questa origine non sia in tutto da sprezzare, pure è debole, perché molto più reggerebbono le capanne fatte di travi incatenate e poste a uso di colonne con li culmini e coprimenti (come descrive Vitruvio della origine dell’epoca dorica), che li terzi acuti, li quali fanno due centri. E però molto più sostiene, secondo la ragione mattematica, un mezzo tondo, il quale ogni sua linea tira a un centro solo, perché, oltre la debolezza, un terzo acuto non ha quella grazia all’occhio nostro, al quale piace la perfezione del circolo, onde vedesi che la natura non cerca quasi altra forma.
Ma non è necessario parlare dell’architettura romana per farne paragone con la barbara, perché la differenza è notissima, né ancor per descrivere l’ordine suo, essendone stato già tanto eccellentemente scritto per Vitruvio.
Basti dunque sapere che gli edifici di Roma, insino al tempo degli ultimi imperatori, furono sempre edificati con buona ragione d’architettura, e però concordavano con li più antichi. Onde difficoltà alcuna non è discernerli da quelli che furono al tempo de’ Gotti e ancor molti anni dappoi, perché furono quasi due stremi e opposti totalmente. Né ancor è malagevole il conoscerli dalli nostri moderni, per molte qualità, ma specialmente per la novità, che li fa notissimi.
Avendo dunque abbastanza dichiarato quali edifici antichi di Roma sono quelli ch’io intendo di dimostrare a Vostra Santità, conforme alla sua intenzione, e ancor come facil cosa sia il conoscere quelli dagli altri, resta ch’io dica il modo che ho tenuto in misurarli e disegnarli, acciocché Vostra Santità sappia s’io averò operato l’uno e l’altro senza errore, e perché conosca che nella descrizione che seguirà non mi sono governato a caso e per la pratica, ma con vera ragione. E per non aver io infin a mo’ veduto scritto, né inteso che sia appresso d’alcuno antico il modo di misurare con la bussola della calamita (il quale modo soglio usare io), stimo che sia invenzione de’ moderni. E però volendo anche in questo ubbidire al comandamento di Vostra Santità, dirò minutamente come si abbia da adoperare, prima che si passi ad altro.
Farassi adunque un instromento tondo e piano, come un astrolabio, il diametro del quale sarà due palmi o più o meno, come piace a chi vuole adoperarlo, e la circonferenza di questo istromento si partirà in otto parti giusti, e a ciascuna di quelle parti si porrà il nome d’uno degli otto venti, dividendola in trentadue altre parti picciole, che si chiameranno gradi. Cos...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. A Roma un grande Bramante apre la strada al giovane Raffaello
  3. Una sospetta strage di palazzo salva Urbino dalla dissoluzione
  4. Arte, musica, scienza, tutto fiorisce nella mirabile città di Federico
  5. Raffaello, coraggioso adolescente presto orfano di madre e di padre
  6. Nelle Stanze Vaticane il ritrattista si fa poderoso pittore di architetture
  7. Adorato dalle donne, ricco, potente, amabile con tutti, pronto allo sdegno
  8. Mette sotto accusa papi e cardinali.Vuole conservare tutto, tutto l’antico
  9. Troppi amori? Purtroppo è malaria. Medici incapaci lo salassano, muore...
  10. Un cordoglio immenso, senza fine. Poi “voci”, affiliato a una massoneria?
  11. L’enorme “bottega” si disperde. Ma Raffaello rimane al centro di tutto
  12. Il lucido, acceso pioniere della tutelacontinua a insegnare, nei secoli
  13. Arriva Napoleone e il Direttorio ordinache l’arte italiana sia portata a Parigi
  14. Pio VII evoca “il grande Raffaello”e nomina Canova suo successore
  15. Si uniscono tante Italie diverse.Poca tutela, un fiume di esportazioni
  16. I massacri mussoliniani dell’antico.Poi le due buone leggi Bottai del ’39
  17. Grande l’articolo 9 della Costituzione.Poi il sonno delle Regioni genera “mostri”
  18. Versione integrale della Lettera di Raffaello e Baldassar Castiglione a papa Leone X sulla tutela
  19. Bibliografia essenziale