Non ho visto farfalle a Terezìn
eBook - ePub

Non ho visto farfalle a Terezìn

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Non ho visto farfalle a Terezìn

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Nell'ultima di Eurispes (2020) è risultato che il 15, 6 per cento degli Italiani non crede all'esistenza della Shoah, contro il 2, 7 per cento della rilevazione di solo quindici anni prima. Inoltre, chi è connesso alla realtà sa pure che la maggioranza è convinta che sia stato solo un "affare" nazista, ossia tedesco, di altri. Una vicenda storica il cui il nostro paese è stato solo vittima e non anche carnefice. Anni di storia falsata, di libri sui meriti del Duce, l'esaltazione che "ha fatto anche cose buone", l'assoluta ignoranza sul valore delle Leggi sulla Razza del 1938 e sui conseguenti campi di concentramento italiani prima e dopo l'8 settembre 1943, sui convogli partiti dalle nostre città verso i lager di sterminio, sulla colpevole indifferenza della intellighenzia italiana del momento, asservita e complice del regime, ci hanno portato inevitabilmente a questo preoccupante risultato. Cavalcato peraltro dalla politica contemporanea, o buona parte di essa. Ho sentito, quindi, il bisogno di dare anch'io il mio umile contributo contro questa inaccettabile realtà. Qui non troverete risposte: non è mio obiettivo né ambizione farlo. Ho altri scopi. A me interessa che il lettore all'ultima pagina, quando chiuderà il libro, esca con molte più domande di quante ne avesse all'inizio. Perché se si cercano le risposte, se ci si chiede il perché delle cose, a chi è convenuto, chi ci ha guadagnato, qualcosa ci resterà e non sarà poca cosa. I bambini col loro, talvolta assillante, chiedere il "perché" di tutto, diventano grandi e maturano. Da troppi anni da noi, in Italia, abbiamo perso l'abitudine di chiederci il perché delle cose. E anche questo meriterebbe una nostra personale analisi ed urgente personale risposta.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Non ho visto farfalle a Terezìn di Rinaldo Battaglia in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Geschichte e Geschichte des Holocaust. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788833469034
1. La festa del raccolto
Non c’erano farfalle a Terezìn, forse non sono mai esistite. Non c’erano farfalle o prati e tanto meno il lago, con le oche, dove giocare con i coetanei. Ma c’erano tanti bambini. Migliaia e migliaia. Quando venne liberato, l’8 maggio ’45, se ne contarono però solo 142. Assieme a loro trovarono anche altri 3.800 scheletri umani, molto simili a quelli che i Russi avevano visto ad Auschwitz il 27 gennaio. Ed il paragone aveva senso. Molti, che erano morti ad Auschwitz, prima erano stati in vacanza a Terezìn.
Gli storici indicano in oltre 140.000 (155.000, con gli ultimi arrivati dai lager vicini nelle criminali marce dei giorni precedenti alla liberazione) gli ebrei deportati dal 24 novembre 1941, giorno in cui a 60 km da Praga venne inaugurato il campo, dopo esser stato istituito e deciso il 10 ottobre ’41 nel corso di una apposita conferenza, indetta dal Reichprotektor di Boemia e Moravia, Reinhard Heydrich, il nazista dal cuore di ferro.
Di quei 140.000 deportati almeno 88.000 morirono nei lager di sterminio tra Auschwitz, Treblinka, Sobibor, Belzec e altri meno noti nell’attuale Bielorussia e Polonia. Ma almeno 35.440 (oltre il 25%) perirono di stenti, malattie o crudeli violenze già lì.
Parliamo di oltre 124.000 vite, perdute a Terezìn. Quasi il 90%.
Almeno 15.000 di quelle vite erano bambini, piccoli cuccioli d’ uomo.
Solo ad Auschwitz-Birkenau ne gasarono 7.590.
Pochi lo conoscono e da noi, in Italia, a parte gli addetti ai lavori, forse nessuno.
Eppure, almeno un centinaio di quegli ebrei erano italiani e solo 4-5 si salvarono, ma quasi non lo raccontarono neanche ai loro familiari. Perché nessuno mai avrebbe creduto alla loro verità. Molti erano italiani di Rodi, a quel tempo italiana dal 1912, e come il resto dell’Italia vittima delle leggi razziali del Duce del ’38 e del triste destino del nostro paese dopo il 10 giugno ’40. Alcuni erano di Roma, come Dino (Dino Ferrari) che a breve avrebbe compiuto trentatrè anni, l’età di Gesù, in quel triste 16 ottobre ’43, quando gli ebrei di Roma vennero venduti per 30 denari. Come Arturo (Mozzati Arturo o Arthur), che venne preso a Milano e spedito coi suoi trentacinque anni, assieme ad altri 658 disperati, col viaggio della morte del 30 gennaio ’44. O Eurika (Eurika Zarfati), ebrea di Roma da secoli malgrado il nome, in treno verso il lager avrebbe festeggiato il 20 ottobre i suoi trentadue anni. In quei giorni non riuscirono a prendere Piero (Piero Terracina) allora di quattordici anni, bravo a scappare, per un colpo di fortuna sebbene anche lui venduto da un amico di famiglia (il figlio del macellaio) forse per 3.000 lire. Il prezzo di 6 mesi di lavoro in fabbrica o se preferite tre mesi da maestro elementare. Piero scapperà fino alla sera del 7 aprile ’44, quando due fascisti vigliaccamente lo sorprenderanno con la famiglia a celebrare il Pèsach, la Pasqua Ebraica, e lo spediranno subito a Fossoli e poi ad Auschwitz. E magari qualcuno avrà così incassato il prezzo pattuito a suo tempo.
Perché tutte le leggi razziali, tutto quel modus vivendi erano basati sul denaro, lire o marchi a seconda del caso, lire o marchi a seconda del luogo.
Dino, Arturo, Eurika vennero venduti da qualcuno che venne pagato con i soldi sequestrati qualche giorno prima agli stessi ebrei. Si autotassarono, consegnarono 50 kg di oro ai nazisti di Kappler per avere salva la vita. Ed invece finanziarono i loro carnefici. I fascisti di Roma in primis. Molti per avidità di denaro, altri per guadagnare qualcosa e sopravvivere (a Roma si diceva da millenni mors tua, vita mea) molti altri per fedeltà al Duce che già da oltre vent’anni aveva rubato loro la vita, dando in cambio quattro chiacchiere dal balcone e sogni di grandezza a danno del vicino di casa. Magari un amico, magari qualcuno a cui avevi fino al giorno prima venduto lo spezzatino o la carne per il brodo. Magari che avevi salutato, sorridendogli, il giorno prima.
Dino, Arturo, Eurika, e più avanti altri, si trovarono così spediti a Terezìn, passando talvolta prima al campo di Fossoli, a due passi da Modena, sulla strada che da Carpi portava alla morte.
Terezìn. Cos’è? Cos’era?
Non era un lager normale. Se cercate il simbolo dell’orrore delle fabbriche di macellazione di esseri umani, a livello industriale, dovete andare più ad est, ad Auschwitz; se cercate la vergogna coi suoi lager distrutti prima della grande, vigliacca fuga nazista coi Russi in arrivo, dovete andare a Treblinka o Sobibor, se cercate la disperazione andate al mattatoio di Belzec, dove i bambini fino ai tre anni non venivano nemmeno gasati, ma per risparmiare sui costi, gettati in profonde buche e sepolti vivi. E come testimoniò un sopravvissuto (Chaim Hirszman) lascio a voi pensare al dolore degli altri ebrei lì deportati, costretti a controllare la loro morte, sotto i fucili dei nazisti, con la terra che si sollevava, finché i bambini non soffocavano.
Se vi interessa conoscere la schiavitù avete 42.000 scelte tra Buchenwald, Flossenburg, Berger-Belsen, Dachau, Mauthausen o dove preferite. Ma se volete capire cosa sono le fake-news, la propaganda che inquina oggi i nostri cervelli da uomini del 2020, dovete assolutamente conoscere Terezìn. Per questo è da sempre un lager nascosto, dimenticato. Senza Terezìn, sarebbe difficile spiegare ai nostri figli cos’è stata la propaganda, l’inesistente differenza tra menzogna e verità, quello su cui anche adesso molti vivono e prosperano, a nostra insaputa.
Una volta si chiamava mecenatismo, oggi più semplicemente giornali o tv commerciali. Una volta era definito nazi-fascismo, oggi più poeticamente idea suprematista.
Conoscere Terezìn significa ragionare sull’oggi e capire quanto schiavi – anche ora – noi tutti siamo. Schiavi di chi ancora oggi detiene l’informazione, a nostra insaputa. Come ai tempi di Hitler o Mussolini, come ai tempi della Gestapo o dell’Ovra. Come ai tempi di Terezìn.
Per questo Terezìn fa paura, come ha fatto paura nel triste autunno 1943 a Dino, Eurika, Arturo al loro arrivo.
«Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità».
Chi di noi non ricorda le parole di Joseph Göebbels, l’inventore e sovrano riconosciuto delle fake-news? Ma a dire il vero, il brevetto mondiale delle fake-news spetta dal tempo del Paradiso Terrestre, direttamente al demonio quando, deluso della ricchezza concessa all’uomo da Dio, si vestì da serpente e così inventandosi un sacco di panzane, confuse la mente ad Adamo ed Eva. «La grandezza del demonio – si disse in un epico film di qualche decennio fa – fu quella di insegnare che non esistesse». E qualora, aggiungo più modestamente io, qualcuno più scaltro si fosse accorto, vendergli un’altra realtà. E nella confusione, il Male governa a piacere. Questo è Terezìn, dove la finzione divenne realtà. Questo è Terezìn, dove la finzione, creduta realtà, permise la sua sopravvivenza e con essa, per contraccolpo, la morte di intere generazioni. Se Terezìn si fosse conosciuta, se i documenti fosse stati creduti, se i testimoni accettati e non derisi, avremmo avuto milioni di morti salvati e forse la guerra finita qualche anno prima.
Ma conveniva? Davvero conveniva?
La trama della guerra era già avanti, i protocolli di Auschwitz che spiegavano bene cosa stesse succedendo in quel lager già dall’aprile ’44 giravano in Occidente, i giornali americani già due anni prima scrivevano della Shoah, pur non definendola ancora così (il 25 novembre ’42 il New York Times ne parlava diffusamente e chiaramente, facendo già il nome di Sobibor, Treblinka, Belzec).
Il Vaticano venne più volte informato dai vari sacerdoti o nunzi apostolici (il 9 marzo ’42 a Bratislava, a fine marzo ’42 a Berna, il 31 agosto ’42 il capo spirituale della Chiesa di Leopoli si rivolse direttamente a Pio XII con dati precisi sulla Shoah sui lager della Polonia, dati che il Vaticano girò a settembre all’ambasciata Usa definendo le notizie non verificabili o – se preferite – una fake-news).
Ancora sul finire del 1941, nelle settimane immediatamente successive all’inaugurazione di Terezìn, il nunzio apostolico in Slovacchia, Saverio Ritter poi sostituito da Giuseppe Burzio, in risposta ad una lettera del rabbino di Bratislava, Weisnandel, molto dettagliata sui crimini di Hitler usò parlò sprezzanti ma che confermavano come il Vaticano conoscesse, innegabilmente:
«Il sangue dei bambini ebrei non è innocente. Tutto il sangue ebraico è colpevole. Voi dovete morire. È la punizione che vi attende per il vostro peccato».
Esiste inoltre ulteriore corrispondenza tra il governo Roosevelt ed il Vaticano (26 sett. ’42) con elenco dettagliato dei campi di Polonia, il cui testo venne utilizzato da Pio XII il 31 marzo e il 2 giugno 1943 e ne fece lui stesso cenno, parlando del tragico destino del popolo polacco. Ma senza mai una parola sugli ebrei polacchi o sugli ebrei deportati nei lager nazisti della Polonia. Mai una parola. Perché?
Il New York Times il 2 luglio ’42 riportò il chiaro resoconto di un deportato ebreo riuscito a fuggire dal lager di Chelmno (Sziama Ber Winer, chiamato anche come Sziawek Bajler o Yakov Grojanowski) – resoconto poi noto come Rapporto Grojanowski – e rifugiatosi nel ghetto di ...

Indice dei contenuti

  1. 1. La festa del raccolto
  2. 2. Sia che tu muoia o che tu viva
  3. 3. La giostra che non puoi toccare
  4. 4. Anche se le lacrime ti cadono lungo la strada
  5. 5. Siamo acqua che scorre
  6. 6. Chissà quando ritorneremo a casa
  7. 7. Un’eco nel vento
  8. 8. Una valigia parla
  9. 9. La terra gira e i tempi cambieranno
  10. 10. Dire addio d’estate
  11. 11. Quando finirà la sofferenza?
  12. 12. Sono nato per piangere
  13. 13. Dov’era Dio quella notte?
  14. 14. È vietato morire