Il dentista di Auschwitz
Solitamente attendevo i minuti precedenti il coprifuoco per recarmi nei bagni a lavarmi. A quell’ora non bisognava fare la fila per un beccuccio libero. Una di quelle sere, mentre mi spogliavo, Richard Grimm entrò per puro caso. Anche se a Gutenbrunn ci eravamo visti ogni giorno, in quanto io ero il dentista, qui era diverso perché lui era Lagerältester e io un semplice minatore.
Quando mi voltai verso di lui, Grimm mi guardò in modo strano.
«Ti stavo cercando» disse. «L’Hauptscharführer vuole instituire un presidio odontoiatrico.» Si interruppe, esibendo un’espressione preoccupata. «Guardati. Sembri un musulmano. Non sei affatto in forma per essere un dentista.»
Sapevo che aveva ragione. E poi c’erano molti altri dentisti più preparati di me a Fürstengrube.
«Richard» lo pregai, mentre lui continuava a scrutarmi, «se mi dai una possibilità, ti assicuro che posso farcela.»
Non fece promesse, ma dopo avermi lanciato un lungo sguardo pieno di speranza, disse che ci avrebbe provato.
L’aria gelida di dicembre era più pungente al mattino durante l’appello. Un giorno, proprio dopo che il conteggio del nostro gruppo era stato completato e il numero dei malati era stato segnalato a Moll, Grimm gridò: «Dentista di Gutenbrunn! A rapporto dall’Hauptscharführer, immediatamente!»
Il mio cuore prese a battere forsennatamente. Mi incamminai di corsa verso di loro con un vigore che non sapevo di possedere.
Mi fermai due metri dinanzi, come mi era stato richiesto di fare, poi barcollai e per poco non caddi.
«Herr Hauptscharführer, Häftling 141129 meldet sich zu gehorsamst ihrem Befehl» (Signor Hauptscharführer, il prigioniero 141129 a rapporto obbedientemente al suo comando).
Ero spaventato. Era la prima volta che vedevo così da vicino Moll.
Lui mi squadrò con il suo unico, freddo, occhio critico. Non affrontava mai i detenuti in prima persona.
«Bleiben Sie stehen» disse.
Feci un passo da un lato, a disagio, con tutti i detenuti che mi fissavano. Ci vollero altri venti minuti perché il comandante mi lasciasse andare. Poi parlò Richard Grimm.
«Quest’uomo era il nostro dentista a Gutenbrunn, come le avevo detto, Herr Hauptscharführer.»
Seguivo molto da vicino i due e osservai con estrema attenzione la reazione di Moll, perché nella sua risposta era deposta la mia speranza di sopravvivere.
«Fammi vedere le mani» disse il comandante.
Stesi le braccia, con i palmi verso l’alto.
«Mio Dio! Come puoi essere un dentista con queste mani lacerate? Guarda, Grimm! Lascialo stare nel campo fino a quando le sue mani non saranno guarite» disse Moll.
Lo fissai incredulo, mentre l’unico suo occhio mi fissava. Non dimenticherò mai l’umano, quasi tenero modo in cui mi parlò. Proprio quando ero quasi pronto a rinunciare, quel nazista mi tese una mano.
Grimm camminò con Moll fino al cancello, e quando tornò indietro disse che il comandante aveva ordinato la costruzione di una piccola clinica odontoiatrica nel Blocco 7, la baracca-ufficio adiacente l’ingresso del campo. Voleva che fossi io a fargli sapere quando sarebbe stata ultimata.
Moll aveva inoltre ordinato che mi fossero assegnate razioni supplementari. Ciò avrebbe avuto dei risvolti importantissimi anche per mio padre e mio fratello. Da quel giorno, infatti, potei condividere non solo le mie porzioni extra con loro, ma riuscii a recuperare alla svelta, così come le mie mani.
Ogni detenuto inattivo nel campo attirava l’attenzione dei Kapo e la loro ira. A dispetto di quanto avesse ordinato il comandante, essi mostravano poca tolleranza per un detenuto che non lavorava o infrangeva una regola. Ricordavo il codice del campo: lavorare è la migliore ricetta per non morire. Poiché non volevo assolutamente compromettere le mie possibilità, mi offrii volontario per andare a lavorare all’infermeria, come avevo fatto a Gutenbrunn. Il KB aveva sessanta posti letto.
La prima volta che incontrai l’Oberkapo Josef Hermann fu quando lui iniziò la costruzione del presidio odontoiatrico. Egli fece costruire anche un banco di lavoro per me e dispose l’aggiunta di alcuni posti a sedere nella sala d’attesa. Il Sanitätsdienstgefreiter, chiamato SDG, era un uomo di basso rango delle Waffen-SS, dotato di un minimo livello di formazione di primo soccorso. Supervisionava il KB e il presidio. Il suo rango specifico era Unterscharführer, e il suo nome era Adolf Voigt. Aveva atteggiamenti contrastanti riguardo ai suoi doveri. Venne a visitare la sala di primo intervento, si guardò intorno e se ne andò.
Anche il peggiore, il più umile lavoro nel campo poteva fare la differenza tra la vita e la morte. A causa di ciò, molti prigionieri erano ansiosi di assumere un qualsiasi incarico, anche se ciò significava aiutare i nazisti. Per fortuna, il dentista non aveva lo stesso problema.
Josef Hermann rese agibile e completò la piccola clinica in pochi giorni. Ricevetti una divisa elitaria, un maglione e un paio di scarpe in vera pelle che mi distinguevano dai detenuti comuni. Continuai anche a usufruire dei privilegi della cucina, smisi di essere un detenuto muto e passivo e non ebbi più bisogno di temere i Kapo o i capisquadra. Persino il Kapo Puka mi mostrò un certo rispetto.
Benché il presidio odontoiatrico fosse stato ormai ultimato, non disponevo di alcuna attrezzatura. Moll non era la persona adatta perché osassi chiederla direttamente a lui, così mi rivolsi a Grimm. Lui mi disse che sarebbe arrivata il giorno successivo. Verso le due e mezza del pomeriggio, Moll fece il suo ingresso nel campo a bordo della sua motocicletta, con al seguito un’ambulanza. Ordinò al conducente, un uomo delle SS, di aiutarmi a scaricare. A quel punto, non riuscii a credere ai miei occhi. Non solo portavano le più moderne apparecchiature odontoiatriche, strumenti e medicamenti, ma anche vero un laboratorio dentistico al completo.
Quando mio fratello tornò dalla miniera, venne ad aiutarmi a montare una sedia regolabile elettricamente, completa di trapano e plafoniera. Alcuni di quegli strumenti sembravano nuovi di zecca. Tra le forniture, c’erano anche un po’ di fiale di novocaina, e perfino libri di testo e manuali odontoiatrici, nonché un’agenda per fissare gli appuntamenti dei pazienti, che recava il nome del dottor Wadzimiez Kamieński. Mi immersi immediatamente nella lettura dei manuali. Come Grimm mi disse più tardi, Moll si era recato nella vicina Sosnowiec e aveva confiscato l’equipaggiamento di un dentista polacco.
Il giorno successivo, durante l’appello, Grimm annunciò la nuova stazione dentale.
«Ma non si può saltare il lavoro per vedere il dentista» precisò.
La mia funzione era solo quella di estrarre i denti. Dal momento che non avevo abbastanza novocaina, economizzai, utilizzando uno, due cc di fiala per due o più estrazioni. Riempivo le cavità con fosfato di cemento e silicone. Il problema principale dei detenuti restava il sanguinamento gengivale, provocato dalla carenza di vitamine e della completa assenza di spazzolini e dentifricio. Tamponando le gengive con lo iodio, offrivo solo un sollievo temporaneo.
Adiacente al presidio vi era l’ufficio del campo, dove Willy Engel lavorava. Sull’altro lato, una camera penale, separata dal presidio da un semplice tramezzo in compensato. Udivo le grida dei detenuti brutalizzati.
Pochi giorni dopo, Willy mi informò che a Fürstengrube stava per essere effettuata un’impiccagione. Non avevo più pensato a simili eventi. Anche se i morti impiccati per me non erano certo una novità, vederne di nuovo rappresentava un’esperienza traumatizzante. E sapevo che le SS disponessero di un’ampia gamma di soluzioni alternative per farci morire ad Auschwitz.
Intanto, il 1943 volgeva al termine, ed era ormai chiaro che i nazisti stessero perdendo la guerra. Ci aspettavamo un cambiamento nel loro modo di trattarci, tuttavia, un giorno, man mano che rientravano al campo, anziché essere congedati per poter assolvere alle loro attività, gli uomini del turno diurno alla miniera furono indotti a marciare verso la sezione dove si ergeva la forca. Un’acuta sirena ordinò a tutti di uscire dai blocchi. Molti detenuti furono portati di forza nel cortile. Si...