1.
Cioccolata, caffè e patatine fritte
Era il marzo 2008, l’epoca a cui risale la mia prima iscrizione a Facebook. Lo feci nei ritagli di tempo fra una commissione e l’altra. Facebook era nato qualche anno prima, nel 2005, negli Stati Uniti come Social Network universitario e nel 2008 non era ancora così diffuso nel nostro Paese. In Italia, Facebook arriva come primo vero Social capace di riprendere ciò che già era stato, nel passato, MSN o i vari siti personali di blogging. L’utilizzo era ancora per un buon 80% da desktop, dunque da computer; non era stata ancora sviluppata la tecnologia per smartphone. Non c’erano nemmeno le App. Di conseguenza l’utilizzo del mezzo era molto differente da quello che se ne fa oggi, in cui il 98% delle azioni ha destinazione mobile e app.
La spinta che mi ha portato ad approcciarmi alla novità del Social Network è stata anzitutto la curiosità, quella di ritrovare o riscoprire persone che già conoscevo: vecchi compagni di scuola, parenti, cugini, ex fidanzate, fidanzati di ex fidanzate… La fascia di età era molto più bassa di quella di adesso: 25/35 anni circa. Il mezzo era più “elitario” poiché presupponeva un’alfabetizzazione digitale maggiore (il numero di iscritti in Italia nel 2008 contava poco più del milione di utenti).
La percezione di Facebook era molto diversa, basti pensare che la mia prima iscrizione comportò delle accese discussioni con la mia fidanzata dell’epoca. Probabilmente questo mezzo veniva avvertito come un modo nuovo per fare incontri, “rimorchiare”. O chissà cos’altro.
L’approccio è stato quello genuino del Social Network: ritrovare le persone, né più né meno. All’epoca avevi la possibilità di ricercarle attraverso il nome e il cognome, ma anche attraverso l’indirizzo e-mail, il numero di telefono, le foto, oppure le attività. Insomma, i profili erano completamente diversi, molto più aperti.
Facebook ha spopolato sin da subito in Italia (rispetto ad altri Paesi europei) per alcune questioni di ordine culturale. Oggi il Social ha dieci-dodici anni di effettiva diffusione, raggiungendo secondo i suoi dati più aggiornati almeno 30 milioni di iscritti italiani. È un numero fondalmentalmente “drogato”, soprattutto dal fatto che non esiste un controllo reale per la creazione dei profili; quindi, dei 30 milioni effettivi, sarebbero da considerarne forse appena la metà (fra profili morti o fake).
Zuckerberg, probabilmente, non poteva saperlo, ma noi italiani siamo molto impiccioni per natura: ci piace tantissimo “farci gli affari degli altri”. Facebook ha fatto leva sulla più grande esigenza di ognuno: conoscere e scoprire cos’è che gli altri combinassero “al di fuori delle nostre quattro mura”. Il più popolare Social Network sulla faccia della Terra aveva dato, sin da subito, la possibilità di aprire, come uno squarcio, una propria finestra spalancata sul mondo: il quartiere, la città, la nazione, l’intero pianeta. Scoprire l’universo di ognuno, nascosti dietro al “proprio buco della serratura”. Una delle cose rimaste invariate su Facebook è propriamente questo ANONIMATO: tu non potrai mai sapere chi ha visto le tue foto, il tuo profilo, i tuoi contenuti; puoi solo conoscere le reazioni alle tue foto o ai tuoi contenuti, è una cosa assai diversa.
Altra chiave vincente di Facebook è la sua GRATUITÀ. Tralasciamo il fatto che stiamo parlando di un Social sviluppato graficamente in modo semplice, bello e intuitivo. Facebook aveva una chiave davvero democratica (vedremo addirittura perché sin troppo democratica): su Facebook “uno vale uno”.
La bacheca, che oggi chiameremo “News Feed”, metteva in mostra tutte le attività degli amici, quello che condividevano e facevano; Facebook ti suggeriva sempre “A cosa stai pensando?” e ti invogliava così a mettere qualcosa di tuo, a partecipare, a condividere uno status, a entrare in quel discorso ininterrotto che è poi parte integrante di questo immenso “marasma Social”. I miei primi post risulterebbero oggi alquanto banali: condividevo di essere raffreddato, che avevo la tosse, che stavo facendo un viaggio, o che ero arrabbiato…
Solo a metà del 2008, tuttavia, Facebook introduce la possibilità di creare le pagine. Le pagine potevano rappresentare un’entità commerciale o aziendale, oppure una vera e propria community, dei gruppi che possono riguardare un’attività condivisa dai diversi utenti, un interesse comune. In breve tempo queste vanno a sostituire quelli che erano i vecchi forum. Le pagine Facebook erano un punto di aggregazione a cui gli utenti potevano accedere con un semplice – e geniale – “Mi piace”. Zuckerberg introduce il “Mi piace”, un’azione con una connotazione esplicitamente positiva che poggia e alimenta il senso di vanità insito in ognuno. Si può mettere “Mi piace” a una foto, a un argomento, a un video, a un’idea, a un commento. Il fatto è che le persone amano ricevere approvazione, e questo modus di approvazione sociale condivisa è stata, sin da subito, insieme alla curiosità, la spinta e il motivo del successo planetario e senza precedenti di Facebook. Le persone erano state inconsciamente invogliate a pubblicare, a condividere, a mettere dentro un Social Network tutta la propria vita. Una semplice azione serviva per dichiarare il proprio interesse a una pagina, dunque a un determinato argomento (non ci chiamavamo ancora “followers”).
Le prime pagine che si diffusero riguardavano soprattutto film o serie televisive, o magari argomenti più tecnologici che erano appannaggio di un pubblico più nerd, più “smanettone”.
Quando decisi di creare io le mie prime pagine, lo feci rispetto a qualcosa che istintivamente mi piaceva, proprio perché il “Mi piace” era la base fondante di ogni interazione sul Social.
La prima che sono andato a creare, “Patatine fritte” (che oggi conta più di un milione e mezzo di iscritti), risale al 20 ottobre 2008. Perché “Patatine fritte”? Perché è la cosa che mi piace di più a livello culinario, e perché onestamente non ho mai conosciuto nessuno a cui non piacciano le patatine fritte. L’ho fatta perché potevo condividerla con altri; fino a quel momento, tra l’altro, non esisteva una pagina del genere in lingua italiana. Nel 2008, si tendeva ancora a non creare qualcosa che già esistesse; se qualcuno aveva già creato una pagina su un argomento specifico, difficilmente qualcun altro ricalcava lo stesso argomento.
Nei giorni successivi a “Patatine fritte”, creo altre pagine su argomenti che pensavo potessero essere di grande condivisione: tra queste, “Cioccolata”, “Caffè” o “Ricette italiane”, una sorta di pagina contenitore di tante cose golose.
Le pagine erano una sorta di profili, senza blocchi numerici di amicizia e con la capacità di mostrare tutti i contenuti, i quali erano naturalmente visualizzabili da coloro che avevano apposto il proprio “Mi piace” alla pagina. Se pubblicavi una foto, uno status, o una ricetta, avevi una portata organica che rappresentava quasi il 90% di chi aveva cliccato “Mi piace” in precedenza: si ritrovavano quel contenuto sulla propria bacheca, ed era la prima cosa che appariva loro, di default, all’apertura del Network.
Le inserzioni economiche ancora non esistevano, pertanto il mio unico interesse, come detto, era legato alla pura passione di condivisione: di foto, di link che riportavano ad altri siti come, ad esempio, Youtube (poiché nel 2008 ancora non si potevano integrare i video direttamente in bacheca). Facebook ti permetteva inoltre di ricevere messaggi in pagina, o mandarli via e-mail direttamente all’amministratore, il quale si mostrava al pubblico senza problemi come, in effetti, faceva un qualsiasi admin di un forum.
Il mio lavoro da dipendente e di responsabile marketing nel frattempo continuava, e sebbene avessi una forma mentis volta alla comunicazione e alla pubblicità, Facebook a quei tempi (e fino al 2010) non mi dava percezione di orizzonti economici percorribili. Non vedevo la valenza commerciale di mostrare delle cose a persone che già conosci. Questa “miopia” mi ha portato in ritardo a capire che già da un anno (quando io appena aprivo le mie prime pagine tematiche) negli Stati Uniti c’era chi con Facebook cominciava ad arricchirsi.
Nel 2009 ancora pubblicavo a mo’ di hobby. Già nel gennaio 2010, però, la mia attività subì, progressivamente, una svolta commerciale.
2.
Cosa dico a un milione di persone?
Nel gennaio del 2010, torno in ufficio dalle ferie di Natale, apro le e-mail per riprendere il mio lavoro. Quando accedo a Facebook, trovo una notifica strana, inaspettata (per inciso, all’epoca, le notifiche Facebook erano realmente tali: riguardavano soltanto il tuo profilo e le tue azioni/reazioni, non come ora che segnalano “la qualunque” e sono, per lo più, di ordine pubblicitario). Parliamo di una notifica diversa anche graficamente: ricordo una specie di coppa, come un traguardo, diceva: “LA TUA PAGINA PATATINE FRITTE HA RAGGIUNTO IL MILIONE DI MI PIACE”. Altra annotazione importante: le persone raggiunte in poco più di un anno di attività della pagina erano esclusivamente di natura organica. Ciò significa che ero arrivato a quel numero grazie all’algoritmo di Facebook che all’epoca premiava veramente i contenuti interessanti per la propria community e invogliava le persone in maniera quasi piramidale, esponenziale, a ricondividere ciò che gli altri avevano già condiviso o a cui avevano messo il loro “Mi piace”. Non erano ancora previste, come vedremo, le varie sponsorizzate, le campagne o le “spese pazze” per followers da acquistare.
Fatto sta che mi ritrovo con una pagina da un milione di persone, e la mia prima considerazione è stata: “Io ho in mano la possibilità di comunicare a un milione di persone”. Mi si è accesa questa lampadina! Nella vita le cose importanti si fanno grazie alle domande giuste che uno si pone al momento giusto. In quel momento mi sono chiesto: “Cosa posso farci con questa possibilità? COSA POSSO DIRE A QUESTO MILIONE DI PERSONE?”. Certo, erano pur sempre delle persone a cui, sostanzialmente, piacevano le patatine fritte, ma forse erano anche qualcosa di più.
Già da allora Facebook dava la possibilità di usufruire di una sorta di Analytics, di analisi dei dati. Non è certamente come adesso; potevo comunque sapere se, fra quel milione di persone, vi fossero più donne o più uomini, ad esempio. La percentuale era qualcosa del tipo: 57% donne, 43% uomini. Inoltre potevo sapere che la fascia di età fosse mediamente bassa (in linea con la storia del Social di quei tempi): dai 18 anni in su, fino a un massimo di 35-40 anni. Queste persone erano, inoltre, profili veri: come abbiamo visto, il mercato dei profili fake era ancora qualcosa di nemmeno immaginabile.
Inizio a farmi altre domande “giuste” e a chiedermi come poter sfruttare questo potenziale. Nota bene: un potenziale esclusivamente comunicativo, non ancora commerciale. La mia prima intuizione è stata quella di alternare i contenuti: è vero che le patatine fritte piacciono a tutti, è vero che parliamo di “Mi piace” e di profili autentici, ma se tutti i giorni condivido o ricondivido soltanto cose riguardanti le patatine fr...