La passeggiata al tramonto
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Vita e scritti di Immanuel Kant

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Vita e scritti di Immanuel Kant

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Il pensiero e le opere di Immanuel Kant in un saggio capace di analizzare la sua profonda, coerente ed edificante filosofia.


Un saggio scorrevole, ma approfondito e aggiornato, sulla figura e sul pensiero di Immanuel Kant. Una monografia che vanta anche elementi di novità - soprattutto per gli aspetti biografici relativi al grande filosofo - in grado di risultare interessante ai neofiti ma anche a chi studia o lavora nel settore.


Un'opera in cui, per la prima volta, gli scritti di Kant vengono illustrati parallelamente al racconto delle vicende della sua vita privata, così da rendere più avvincente e coerente l'intero lavoro e da evidenziare lo stretto legame tra il vissuto quotidiano del grande professore di Königsberg e le sue imponenti opere filosofiche.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788869344688
Argomento
Didattica

La Critica della Ragion Pura

R= Ragione; G= Giudizio; C= Intelletto; S= Sensibilità
Il decennio che si apre nel 1770 vede il nostro Kant lavorare assiduamente al nuovo progetto che sfocerà poi nella prima edizione della Critica della Ragion pura del 1781. Sono anni, questi, in cui egli non pubblica quasi nulla, tutto concentrato com’è nell’elaborare il proprio criticismo. Il 7 giugno 1771 scrive una lettera al suo allievo Marcus Herz confessandogli: “Sto lavorando ad un’opera che […] deve contenere, ed anche elaborare abbastanza dettagliatamente, il rapporto dei concetti fondamentali e delle leggi concernenti il mondo sensibile insieme ad un abbozzo di ciò che costituisce la natura della dottrina del gusto, della metafisica e della morale(20). Kant ha già dunque in mente di trattare in una sola grandiosa opera, che vorrebbe intitolare I limiti della sensibilità e della ragione, quanto poi verrà invece affrontato nelle tre Critiche. Sin da subito egli dimostra di avere una visione completa di tutto il lavoro che lo aspetta, ed il titolo che ha in mente – e che mai userà – rivela già l’attenzione con cui il neoprofessore ordinario di Logica e Metafisica si concentra su uno dei concetti chiave di tutto il suo criticismo: il concetto di limite.
Ciò che sta sviluppandosi nella mente di Kant è l’idea di fondare le tre grandi sfere della personalità umana – la conoscenza, la morale ed il sentimento – sui limiti della nostra stessa natura. Si tratta insomma di trasformare una povertà in una ricchezza, dimostrare che i confini che delimitano, e per molti versi limitano, la nostra natura, sono in quanto tali anche le basi su cui solidamente si erigono la nostra scienza, la nostra moralità, i nostri sentimenti. Si tratta di un’intuizione geniale che si traduce in una sfida tanto affascinante quanto complicata: individuare nei nostri limiti le fondamenta della dignità dell’uomo.
Pochi mesi dopo, Kant si sente già pronto: “io ora sono in grado di proporre una critica della ragione pura che tratta della natura della conoscenza teoretica e pratica, in quanto puramente intellettuale: della prima parte che studia innanzitutto le fonti della metafisica, i suoi metodi e i suoi limiti e poi i puri principi della moralità, pubblicherò ciò che concerne il primo argomento entro tre mesi”, annuncia trionfale una sua lettera ad Herz datata 21 febbraio 1772. In realtà gli ci vorranno diversi anni per pubblicare soltanto la prima parte di questo suo immenso progetto, intitolata appunto Critica della ragion pura. Un’opera complicata, meticolosamente curata in ogni dettaglio, che costituisce uno dei vertici più alti di tutta la storia del pensiero.
Il capolavoro di Kant si apre con una Prefazione che si rivela un vero e proprio attacco sferrato sia nei confronti degli empiristi – le cui tesi non possono che sfociare nel più assoluto scetticismo – sia contro i razionalisti, chiamati dogmatici. Entrambi gli schieramenti hanno commesso un errore imperdonabile, per Kant: non hanno saputo prendere in considerazione i limiti della conoscenza umana così da poter accertare con sicurezza cosa l’uomo sia veramente in grado di conoscere e cosa invece non possa che sfuggirgli inevitabilmente. Un errore, questo, che soltanto una nuova impostazione, un nuovo modo di condurre un’indagine filosofica sulle facoltà conoscitive umane può evitare di commettere; un nuovo punto di vista sull’uomo che si chiama criticismo.
Kant “chiede insomma alla ragione umana una riflessione su se medesima, atta a definirne le possibilità conoscitive(21), ha spiegato Riconda; si usa dire infatti che la grande differenza tra il professore prussiano e l’Illuminismo – che tanto egli comunque ha saputo apprezzare – stia proprio nel fatto che i filosofi dell’età dei lumi abbiano “trascinato di fronte al tribunale della ragione” ogni valore, ogni abitudine, ogni dogma, ogni conoscenza ed ogni ideologia politica, considerando la nostra razionalità l’unico giudice supremo in grado di vagliare tutte le nostre idee. Kant, però, ha fatto ancora di più: di fronte al tribunale della ragione ha trascinato persino la ragione stessa, per comprenderne sia la ricchezza che i fin troppo trascurati limiti.
Il presupposto, dunque, è illuministico: l’unica autorità cui sottomettersi è la ragione. Dobbiamo rifiutare ogni pregiudizio derivante dalla tradizione, dalla religione, dal potere politico. La ragione dev’essere l’unico arbitro di ogni nostra azione, di ogni nostro pensiero. Ma visto che essa stessa va giudicata e criticata relativamente ai suoi limiti, visto che non possiamo illuderci che essa possa venir considerata infallibile ed onnipotente, ne consegue che la ragione debba procedere a giudicare se stessa.
Questo, quindi, è il contesto nel quale si muove la Critica della Ragion Pura: un’aula di tribunale in cui, seduta sia al posto dell’imputato che a quello del giudice, la ragione debba di fatto essere considerata l’unica vera protagonista. E questo, di conseguenza, è il senso con cui Kant intende il termine Critica presente nel titolo stesso dell’opera: egli infatti chiama così la riflessione critica che la ragione deve operare nei suoi stessi confronti, auto-giudicandosi in merito a certi propri comportamenti, tutti da valutare. A quali comportamenti si riferisce il nostro professore? A tutti i processi razionali cui essa sovrintende pretendendo di agire in modo puro, ossia pretendendo di prescindere dall’esperienza (è questo infatti il significato con cui Kant usa sempre il termine puro). In questo modo risulta più semplice la comprensione sia del titolo che dell’argomento di quest’opera, davvero monumentale: trattasi infatti della riflessione critica che la ragione deve operare nei suoi stessi confronti, relativamente a tutte quelle conoscenze che essa aspira a raggiungere senza basarsi sull’esperienza dei sensi.
L’ipotesi di partenza è sibillina, difficile da comprendere se non dopo aver letto l’intera opera: Kant afferma che sebbene ogni nostra conoscenza cominci con l’esperienza, non è assolutamente detto che derivi interamente dall’esperienza. “Potrebbe infatti avvenire che la nostra conoscenza empirica sia un composto di ciò che riceviamo mediante le impressioni e di ciò che la nostra facoltà conoscitiva aggiunge da sola”.(22)
È chiaro, quindi, che tutte le nostre conoscenze debbano essere suddivise in due grandi categorie: quelle che otteniamo a partire dall’esperienza, e che Kant chiama a posteriori, e quelle che invece non sono empiriche, le cosiddette conoscenze a priori, assolutamente rifiutate dagli empiristi inglesi ai quali il nostro filosofo ha fatto finora riferimento e dai quali dimostra di cominciare a prendere le distanze. In realtà Kant sta tentando una strada del tutto nuova, assolutamente diversa da quelle, opposte ma entrambe mal ferme e pericolanti, imboccate da razionalisti ed empiristi.
Lo scontro tra le due correnti sopra citate Kant lo descrive a modo suo, attraverso la famosa distinzione tra i vari tipi di giudizio. Egli infatti comincia con l’affermare che conoscere significa giudicare, proprio nel senso che ogni nostra conoscenza viene sempre formulata – nel nostro pensiero così come nei nostri discorsi – tramite giudizi, ossia proposizioni costituite da un soggetto ed un predicato.
Giudizio = Soggetto + Predicato
Tutti i giudizi, e quindi tutti i nostri pensieri ed i nostri discorsi, sono formulati in questo modo, e ciò che li differenzia, semmai, consiste nel diverso rapporto che tra soggetto e predicato si instaura.
A questo proposito Kant spiega – riferendosi anche a quanto aveva affermato Leibniz circa la differenza tra verità di ragione e verità di fatto – che un predicato può ribadire ciò che era già implicito nel soggetto, come nel caso del giudizio i corpi sono estesi – in quanto ogni corpo per definizione occupa un certo spazio e non posso in nessun modo pensare ad un qualcosa di corporeo che non possieda estensione – oppure può affermare qualcosa di nuovo, qualcosa che non è scontato ed implicito nel soggetto, come nel giudizio I corpi pesano. Giudizi di questo tipo sono ampliativi, riescono cioè ad evidenziare caratteristiche nuove, non implicite nella definizione del soggetto che contengono, e quindi non possono che essere stati ottenuti a partire dall’esperienza. Per ricorrere a qualche esempio più semplice, diciamo che un giudizio come Il cane è un mammifero appartiene al gruppo di quei giudizi il cui predicato non fa che esplicitare proprietà contenute nel soggetto, giudizi che Kant chiama analitici, mentre un giudizio come Il cane è sul balcone ci informa invece di qualcosa di nuovo, di non meramente deducibile dal concetto stesso di cane; e questo tipo di giudizio è definito da Kan...

Indice dei contenuti

  1. Frontespizio
  2. Colophon
  3. L’autore
  4. Prefazione
  5. Dedica
  6. Introduzione
  7. Gli anni della scuola
  8. Il periodo precritico
  9. La Critica della Ragion Pura
  10. Un uomo tranquillo
  11. La Critica della Ragion Pratica e la morale kantiana
  12. La Critica del Giudizio
  13. Gli ultimi anni
  14. La fine
  15. Bibliografia