Come orizzonte tutto
eBook - ePub

Come orizzonte tutto

Storia di don «Berna» e dei suoi amici

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Come orizzonte tutto

Storia di don «Berna» e dei suoi amici

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Don Bernardino ebbe modo di notare un gruppo di giovani che, con fedeltà ostinata, stazionava al fondo della chiesa, ogni martedì sera, alla messa delle 18, 30. Si vedeva che erano amici; ma perché la loro amicizia doveva esprimersi in quel modo? «Chissà chi sono?», si era domandato diverse volte. Poi, però, le attività dell'oratorio, l'insegnamento di religione nella scuola media, il suo appassionato legame con i ragazzi avevano fatto affievolire quella curiosità. Che riprendeva di vigore ogni volta che li notava al fondo della chiesa e li vedeva fermarsi a chiacchierare sul sagrato, una buona mezz'ora, con allegria e familiarità. Un martedì sera, al termine della messa, li avvicinò domandando loro: «Chi siete?».
Da quella domanda ebbe inizio la sua avventura in Comunione e Liberazione, movimento che egli contribuì a diffondere e sostenere nell'ambiente torinese e oltre...

«Queste pagine serviranno non solo a scoprire l'appassionata, breve, ma intensa avventura di un prete a tutto tondo; ma anche, attraverso i suoi atti e le sue parole, a rendersi conto ancora meglio di quale sia la prospettiva cristiana, anzi cattolica, per guardare al mondo d'oggi e riproporgli il kérygma di salvezza del Vangelo» (dalla Prefazione di Vittorio Messori).

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Come orizzonte tutto di Adriano Moraglio in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Teologia e religione e Biografie in ambito religioso. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788869297144

III

Quando Bernardino salì i nove scalini che portavano all’atrio del seminario maggiore, a Rivoli, aveva, dunque, 16 anni. La valigia di cartone duro, rivestito, era imbottita di indumenti. La mamma l’aveva foderata con una tela su misura, color verde militare, per farla durare più a lungo e perché non si sporcasse. Bisognava fare attenzione a non rovinare quello che si aveva: far studiare un figlio da prete non era uno scherzo, c’erano le rette da pagare... Con quella valigia, ogni mese, la mamma, avrebbe fatto avanti e indietro per prendere i vestiti sporchi e portarne di puliti, come aveva fatto negli anni in cui il «Nini» era stato a Giaveno.
La sera precedente la partenza del figlio per Rivoli era stata per lei più movimentata del solito. Doveva essere tutto perfettamente a posto, pronto per l’ingresso di Bernardino nel grande seminario. Su ogni indumento aveva cucito una piccola pezza con il numero 169 per poterlo distinguere da vestiti e biancheria di altri.
Mamma Margherita aveva un suo particolare gusto estetico, un occhio particolare per il bello: che per lei significava soprattutto, pulizia e ordine. Ogni cosa — lo diceva sempre alle sue figlie — doveva essere fatta bene, al meglio: le scarpe lucide, i vestiti in ordine. Quando lavava i propri figli, la pelle doveva uscire dal bagno bella liscia. E a volte, un eccesso di spazzola, provocava persino qualche sbucciatura! Quanto al marito, se questi usciva di casa, lo guardava prima da cima a fondo.
«Ti sei pettinato?», domandava.
E siccome il marito spesso se ne dimenticava, la donna gli sollevava il cappello e lo pettinava.
Quella sera Margherita stette a lungo in cucina a sistemare le ultime cose per Bernardino che doveva ripartire. Solo quando fu soddisfatta si concesse il riposo della notte. Il «Nini» cominciava il liceo, le nozze con Cristo si avvicinavano.
Erano tempi decisivi per quella famiglia: Vittorina stava per sposarsi, in casa sarebbe rimasta la piccola Margherita a mantenere la letizia dell’infanzia. E lei, la mamma, avrebbe continuato a fare le cose di sempre: mungere nella stalla, far da mangiare e lavare i piatti, cucire, far camicie, gonne e pantaloni, canticchiando tra un’occupazione e l’altra. La domenica andava a messa alle sei, così aveva tutto il tempo per dedicarsi al pranzo e al resto della famiglia.
Dunque, il mattino dopo, Bernardino trovò tutto pronto a puntino. Viaggiò con Stefano e Michele, una replica di quando, insieme, lasciarono per la prima volta Sommariva per recarsi al seminario di Giaveno. Il seminario maggiore di Rivoli, a una decina di chilometri da Torino, con quella posizione elevata, a fianco del castello, diede loro subito un senso di grande solennità. Il paesaggio era stupendo: percorrendo il viale alberato, in salita verso l’ingresso e col pavimento rivestito di cubetti di porfido, Bernardino poté ammirare le montagne della bassa val di Susa e, laggiù, la piana, incisa dalla strada statale.
Il gruppo dei sommarivesi fu accolto dal Rettore, monsignor Pautasso. In quella «gabbia», come i ragazzi definivano scherzosamente il seminario, avrebbero trascorso otto anni, tre per il liceo, uno per la cosiddetta «propedeutica» e altri quattro per gli studi teologici. Solo dopo questa lunga trafila sarebbero stati proposti al sacerdozio, dopo la «tonsura», il suddiaconato e il diaconato transeunte. Stavano entrando nella loro nuova casa, una casa ‘speciale’, con camerate, aule di lezione, la cappella, con quell’elegante atrio a colonne che si apriva verso lo scalone e portava al piano superiore. Lassù c’erano le stanze dei professori e del Rettore. Il palazzo, fatto costruire dalla Curia e utilizzato come seminario sin dal 1949, era destinato a diventare la «fucina» del clero torinese, e ben presto si meritò notorietà tra tutti i seminari maggiori del Nord.
Sul lato posteriore, lungo un avallamento in mezzo al parco, ricco di pini e larici, si apriva il campo di calcio: lì tanti seminaristi avrebbero trascorso gran parte del loro tempo libero. Bernardino ne fu uno dei più assidui frequentatori.
A Rivoli, nella «casa sul monte», in un clima di ricercata conventualità, gli studenti trovarono un ambiente disciplinato, ma con una maggiore libertà rispetto alle condizioni in cui si viveva nel seminario minore. I ritmi erano, come sempre, spartani. La sveglia veniva data alle sei meno un quarto, allo squillo di insistenti campanelli che diffondevano il loro suono in tutto il seminario. Qua e là si accendevano le prime luci e in ciascuna camerata si alzava una voce: «Benedicamus Domino», era l’invito a elevare a Dio il primo pensiero del giorno. «Deo gratias», rispondevano tante bocche dalla lingua ancora impastata.
Già alle sei e dieci i chierici, come venivano chiamati i ragazzi del seminario maggiore, indossata la talare nera, si ritrovavano tutti in chiesa, per la meditazione e per la messa. Molti avvertivano che, un giorno non molto lontano, ci sarebbero stati loro, al posto del sacerdote che officiava, ad offrire l’eucarestia ai fedeli... Poi, dalla cappella i chierici passavano alle classi per un po’ di studio, mentre lo stomaco cominciava a pretendere la colazione. Il resto della mattina trascorreva nelle classi per le lezioni.
In refettorio, chissà perché!?, i ragazzi scendevano sempre volentieri. Il perché risiedeva in duecento giovani stomaci vuoti. C’erano i tavolini da otto coperti, riservati ai «filosofi», e quelli da quattro con la plancia in formica rossa, per i «teologi». Dopo il pranzo, la ricreazione durava circa due ore. E allora la tuta da ginnastica azzurra con i risvolti giallo canarino prevaleva sulla talare, appesa di corsa in camerata.
A scuola Bernardino continuò a essere tra i migliori: studiava, ma senza esagerazione, non era certo un «secchione». Latino, greco, filosofia, storia, geografia, trigonometria, fisica, arte e musica, italiano e letteratura straniera: gli bastava poco per apprendere. Dotato di ottima memoria, era rapido nell’acquisire e capace di fare sintesi. Lo rodeva spesso una sorta d’impazienza, che esprimeva mordendosi le unghie in maniera che qualcuno giudicava invereconda. In classe si sentiva sovente il rumore di quel lavorio di denti e unghie... Ma il suo carattere schietto, senza retropensieri, scomodamente franco con se stesso e con gli altri, pungente, sempre con la battuta pronta, piaceva ai compagni di studi. E piaceva la sua capacità di entrare in rapporto con tutti. Autonomo, indipendente, uno spirito libero e forte, non si intruppava, non si chiudeva in una cerchia di amici «più amici» degli altri. E tuttavia, non s’imponeva. Non era un «boss» come lo erano, d’istinto, alcuni compagni come Leo e Lello, un po’ capibanda per vocazione.
La passione per la musica, intanto, non abbandonò Bernardino una volta arrivato a Rivoli. Anzi, la vicinanza di Piero, il suo più grande amico, dotato di spiccato senso artistico e musicale, affinò i suoi interessi per la musica. Se durante la ricreazione non si trovava il «Nini» — come lo chiamavano tutti, facendo proprio il nomignolo dei sommarivesi — c’era da stare certi che era nelle sale seminterrate a suonare l’armonium, proprio come faceva a Giaveno.
La «casa sul monte» era decisamente un’isola separata dal mondo, organizzata come un’esperienza formativa totalizzante in vista di un obiettivo radicale e impegnativo. Tuttavia non c’era da annoiarsi: i ragazzi avevano motivi per divertirsi; era un ambiente reso vivace dalle caratteristiche personali di ognuno.
Bernardino faceva parte del gruppo di coloro ai quali piaceva decisamente la musica classica, in particolare le opere romantiche ed appassionate. Qualcuno, per burla, sostenne che per ascoltare Beethoven, lui ed altri compagni di corso come Carlo, Franco e Gino, avrebbero rinunciato anche al pranzo di Natale! Per essere à la page, tendevano talora a intellettualizzare la loro passione, preferendo magari Wagner a Mozart, o Schönberg a Cajkovskij. Alla fine, si scopriva che apprezzavano anche Verdi, e persino la Traviata. Ma era la Chanconne per violino solo, di Bach, a mandarli in visibilio. Leo, invece, faceva sfoggio delle sue conoscenze di musica leggera «funzionando», a richiesta, come un autentico juke‐box vagante: bastava gettare lì qualche melodia o qualche suggerimento ed ecco scattare la canzoncina. Un’estate, nella casa alpina dei chierici, a Cesana, ai piedi dei «monti della luna», seduto sul muretto, afferrò un comodino da notte e, percuotendolo e tamburellando con palme e dita dedicò una canzoncina di successo a Bernardino che lo ascoltava, da dietro, divertito: «Bernardin, Bernardin...».
Quel «Bernardin» si guadagnò ben presto la palma di cultore d’arte. Era lui, tra i suoi compagni, a coltivare gli interessi in questo campo più di qualsiasi altro: Cézanne, Chagall, Matisse... erano amici suoi! E bazzicava volentieri anche con Giotto, Botticelli e Tiziano!
Una buona parte dei seminaristi eccelleva nel gioco del calcio. Si segnalavano, in particolare, Sandro, Mario, Lello, Franco, Fernando, Domenico e, naturalmente, Bernardino. Per giocare a football — incredibile! — rinunciava anche a suonare.
In seminario si costituì una vera e propria «nazionale» dei chierici e lui era uno dei punti di forza della difesa benché fossero ben note anche sue certe svirgolate di mancino, della serie: calcio da un verso, la palla dall’altra! Il 10 aprile del ’58 la «nazionale» dei chierici sconfisse per 3 a 1 i seminaristi degli ultimi anni di Giaveno. In quella squadra, composta da nove elementi, i chierici schierarono Bernardino come terzino sinistro (ed era il ruolo che prediligeva).
L’allegra compagnia, inoltre, si alimentava di scherzi. Una volta stuzzicarono a tal punto le scrofe della stalla, adiacente al seminario, da costringerle a scendere lungo la scarpata del campo da calcio. E un’altra volta, per voler dare una «lezione d’umiltà» al pavone, lo ubriacarono versandogli del vino nelle scodelle. Il povero volatile finì per barcollare vistosamente. Quando il Rettore venne a saperlo se ne ebbe a male e li minacciò: «Non vi darò più la benedizione».
Ma il Rettore, alto, ieratico, sempre ordinatissimo, fu per Bernardino e per i suoi compagni l’incarnazione di una paternità buona. Il seminario maggiore di Rivoli era una sua creatura e come tale lo gestiva. I chierici potevano parlargli quando e come volevano. Trascorreva la gran parte del suo tempo ad ascoltare problemi, dubbi, incertezze. Quando un chierico gli passava accanto lo chiamava vicino a sé e, con un premuroso «come stai?», lo stringeva in un abbraccio affettuoso. Era un vero padre.
Entrare nel suo studio era facilissimo. Quella porta era sempre aperta: la stanza sapeva di ordine, di luogo rassicurante e accogliente dove ognuno poteva confidarsi, ascoltare, sentire giudizi e il piu’ delle volte uscire con il dono di un bel libro.
Don Pautasso si occupava dei chierici come se fossero figli suoi: si accorgeva di quando erano ammalati, li portava dal medico, era sempre pronto a prenderne le difese. Capitava anche che togliesse le punizioni imposte dai professori. Nei lunghi corridoi i chierici lo seguivano a grappolo, alcuni standogli leggermente avanti, gli altri dietro. Bernardino, come tutti, era colpito da questa «scuola di umanità».
In questa allegra, ma rigida e disciplinata compagnia, il 9 ottobre del ’58 arrivò la notizia della morte di Papa Pacelli, a Castel Gandolfo. Fu il Rettore a comunicarla con tristezza, in cappella, durante la preghiera. Da almeno tre anni le forze avevano cominciato a mancare a quell’uomo attivissimo, esile e longilineo che tuttavia effondeva autorità in un’aura quasi di sacralità, quella del grande Vicario di Cristo. A molti sembrava un uomo al di sopra del normale e per questo appariva anche come una figura lontana. Ma fu lui ad instillare nel cattolicesimo contemporaneo, con l’enciclica «Mystici corporis», la concezione della chiesa come corpo di Cristo.
A voltare decisamente pagina nella storia contemporanea della Chiesa fu il primo dei conclavisti ad entrare in Vaticano, il 25 ottobre di quell’anno, dall’Arco delle Campane: il patriarca di Venezia divenuto papa Giovanni XXIII. Chi era questo Giovanni XXIII che aveva preso il nome dell’antipapa Baldassarre Cossa? Che cosa avrebbe rappresentato per la Chiesa? Una domanda, che si fecero in tanti anche nel seminario maggiore di Rivoli, soprattutto tra quei giovani futuri preti, alcuni dei quali avevano accolto l’elezione di Roncalli con una certa delusione. A settantasette anni aveva tutta l’aria di essere un papa di transizione, e sarebbe stato il pontefice della loro ordinazione sacerdotale! Ci volle il giudizio del docente di dogmatica, don Giovanni Maria Rolando, perito della Santa Sede, e iniziatore del dialogo con i valdesi in Piemonte, a togliere i dubbi a più d’uno: «Credo sia proprio una buona notizia per la Chiesa».
Qualche giorno prima del Natale del 1958 l’arcivescovo di Torino era stato a Roma e aveva mandato un messaggio al Rettore di Rivoli e ai chierici: «Sono lieto farvi partecipi della benedizione del Santo Padre». Dunque, loro, erano nel cuore del Santo Padre! La cartolina con il volto del Papa sulla qual...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Menù
  3. Come orizzonte tutto
  4. Prefazione
  5. Dedica
  6. Prologo
  7. PARTE PRIMA. L'incontro
  8. I
  9. II
  10. III
  11. IV
  12. V
  13. VI
  14. VII
  15. VIII
  16. IX
  17. X
  18. XI
  19. PARTE SECONDA. Comunione è Liberazione!
  20. I
  21. II
  22. III
  23. IV
  24. V
  25. VI
  26. VII
  27. VIII
  28. IX
  29. X
  30. PARTE TERZA. La prova
  31. I
  32. II
  33. III
  34. IV
  35. V
  36. PARTE QUARTA. Una parrocchia, il mondo
  37. I
  38. II
  39. III
  40. IV
  41. V
  42. VI
  43. VII
  44. Epilogo
  45. Condividi
  46. Informazioni sull’autore
  47. Indice
  48. Colophon
  49. Informazioni Effatà Editrice