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«Acquisterebbesi
appartamento
pentacamere»
Mettere radici
A Roma abitavano in un appartamento con le piastrelle gialle. A Natalia piaceva molto tutto quel giallo, perché trovava che illuminasse la carnagione e scaldasse le stanze. Erano in affitto e la casa era un po’ piccola. Natalia era decisa a continuare a lavorare nella sede romana dell’Einaudi, mentre i suoi figli avrebbero cambiato scuola. Erano tristi per aver lasciato Torino e i nonni, ma anche eccitati per la nuova e avventurosa vita che immaginavano li aspettasse.
Per Lidia e Beppino era stato un brutto colpo: «Mi porti via i miei bambini!», ripeteva Lidia nei giorni precedenti alla loro partenza. Natalia era contenta di trasferirsi a Roma con Gabriele, ma le sarebbe mancata Torino, città che aveva amato molto e che sapeva di lasciare per sempre. Soffrì il distacco dai genitori, dalla casa editrice, che aveva sede in corso Re Umberto, a pochi passi dal caffè Platti, dalla trattoria degli einaudiani e dall’albergo in cui Pavese aveva scelto di togliersi la vita. E i suoi colleghi erano quegli amici con cui aveva condiviso gli anni più bui, ma forse anche più ricchi di soddisfazioni personali.
Nella nuova casa di Roma ricevevano spesso visite di amici. C’era tale Cesare Garboli, amico di Gabriele, che Natalia aveva conosciuto qualche anno prima e che nel frattempo era diventato uno scrittore e un critico letterario. Si instaurò una bella amicizia, tanto che Cesare diventò un ottimo interlocutore e lettore degli scritti di Natalia. I Baldini erano molto allegri, così diversi da non annoiarsi mai: a lui piacevano piatti elaborati, a lei minestre e frittate, lei aveva sempre freddo, lui sempre caldo. Lui era spesso malato, e si rintanava nel letto, sormontato da mille coperte da cui spuntavano soltanto la barba e il naso rosso. Lei aveva una salute di ferro, lui le diceva sempre che gli ricordava un fratacchione robusto. Lei amava oziare, lui si dedicava a tantissime cose, e non stava mai fermo. Lui amava la musica, lei non la capiva, così come le importava poco della pittura, e si annoiava a teatro. Capiva e amava una sola cosa al mondo, la poesia. Quando andavano a teatro, capitava spesso che Natalia si addormentasse. E allora lui la svegliava: «Nina, svegliati! Ora viene l’aria che ti piace!». La loro unica passione comune era il cinema.
Il lavoro continuò, con uno scambio assiduo di lettere con la sede torinese e gli autori dei manoscritti. Natalia si adoperò affinché venisse pubblicato anche in Italia il Diario di Anna Frank. Aveva letto la versione francese e, avendo colto l’importanza di questa testimonianza, aveva chiamato subito i colleghi. Era rimasta colpita dalla maturità di Anna, che emergeva dall’ironia con cui coglieva la sostanza delle cose e le raccontava. Anna Frank, nel suo racconto della vita nell’alloggio segreto, in cui si nascondeva con la famiglia e altri ebrei, pareva essere l’unica adulta, pur essendo una ragazzina. Secondo Natalia era
la sola che in qualche modo si disponga a morire: la sola che cerchi nel pensiero della morte qualcosa che non sia puramente orrore o pena: la sola che cerchi di guardare oltre a sé, che spinga il proprio pensiero fuori dalla monotona vicenda di speranza e paura: la sola che cerchi nella propria storia un significato universale.
Dopo qualche tempo Natalia non volle più andare in ufficio, per lei i suoi colleghi erano quelli lasciati a Torino. Rimase a lavorare per l’Einaudi come consulente, dedicandosi però anche alla scrittura di articoli per diversi quotidiani e di un altro romanzo breve, Sagittario. Nel frattempo Elsa Morante dava alla luce L’isola di Arturo: le due amiche continuavano a frequentarsi, a inviarsi reciprocamente i propri scritti, a confrontarsi. Quando Natalia lesse il libro di Elsa, prese carta e penna e iniziò a scrivere, felicissima di aver letto qualcosa di così bello e vivificante:
Cara Elsa,
ho finito adesso il tuo libro, e ho voluto scriverti subito, perché mi è piaciuto moltissimo. Leggerlo ti dà esattamente ciò che ti deve dare un libro: voglia di piangere e felicità. Vedi, per chi scrive, secondo me, il mondo si divide in sue categorie; quelli che capiscono il libro, non perché sono più intelligenti degli altri, ma perché hanno abitato dentro il libro, e quelli che non lo capiscono, il che non vuol dire che non gli sia piaciuto, ma non è questo l’importante. Io sono tra quelli che il tuo libro l’ha capito. So che può sembrare immodesto, ma non lo è. Così come, sono sicura, tu hai capito il mio. E la tua lettera a tal proposito mi ha fatto tanto piacere, come tu neanche immagini. Perché l’ho ricevuta in un momento di particolare sconforto. Ma ancora una volta mi hai fatto capire che basta un lettore, uno solo, che ti abbia capito, per sapere che ne è valsa la pena. In quel racconto Sagittario, io ci credo molto, e mi piace, e così mi è dispiaciuto e sono rimasta molto male quando Calvino l’ha stroncato.
E quindi grazie, grazie, grazie! Per avermi salvata dalla terribile sensazione di inutilità.
Ho visto che il tuo libro è già alla seconda edizione, e penso che il premio ti abbia dato un po’ di felicità. Spero di vederti molto presto.
Ti voglio molto bene, ti abbraccio,
Nello stesso anno Lidia morì improvvisamente. Per i figli e per Beppino fu un duro colpo. Era una persona così attiva e vivace che era difficile credere alla sua morte. Natalia, seppur lontana dai suoi ormai già da tempo, ne soffrì molto. La madre era stata una figura di riferimento molto importante, per anni aveva contato su di lei. Si rese conto che le avversità della vita l’avevano legata ancora di più a sua madre e solo adesso le sembrava di dover crescere a tutti i costi; si sentiva un po’ spiazzata, sradicata.
Beppino, nonostante l’insistenza dei figli, non ne volle sapere di lasciare la sua Torino e così rimase solo, impegnandosi nella ricerca fino all’ultimo. Nel frattempo, a Roma era arrivato il momento di comprare una casa. La famiglia si era allargata, nel ’54 era nata Susanna, e l’appartamento che avevano in affitto era troppo piccolo. Già da qualche anno Beppino, convinto che fosse meglio acquistare una casa anziché affittarla, continuava a insistere ogni volta che si sentivano per telefono: «Dovete sistemarvi, dovete comprare un quartiere!», che nel suo lessico arcaico significava che si dovevano comperare un appartamento. «Peccato, però, per quelle piastrelle gialle», ripeteva invece la madre di Gabriele. «Dovete cercare una casa luminosa e che vi dia ugualmente un bel colorito!».
Il problema era sostanzialmente uno: cercavano due sistemazioni diverse. Lei avrebbe voluto una casa con giardino, perché le ricordava la sua infanzia, lui aveva avuto un’infanzia totalmente diversa e voleva vedere comignoli, muri scrostati e tetti di Roma, voleva vedere la città dall’alto.
La ricerca di una nuova dimora si svolse in due diverse fasi: nella prima Natalia cercò da sola, evidenziando sui giornali gli annunci di ville e villini, cercando una casa rigorosamente con giardino, alberi, cespugli, sentieri, fontane; nella seconda cercò con Gabriele. Leggendo gli annunci di ville e villini, si accorse che i prezzi erano decisamente troppo alti. Si illuminava quando, di fianco alla cifra, c’era l’indicazione «trattabili», poiché le sembrava che potesse far scendere la somma un po’ più vicino alla cifra, molto distante da quella richiesta, che loro due possedevano.
Tra gli annunci trovò anche una «cava pietrisco» e una «villa tre piani adattabile comunità religiosa» e Gabriele ridendo le fece notare: «Ma noi non siamo una comunità religiosa!».
Insomma, la ricerca di Natalia si risolse in un nulla di fatto, dunque i due unirono le forze. Pur avendo idee diverse, fecero fronte comune almeno su una cosa: a entrambi non piacevano le case seminuove, preferivano quelle più vissute, che quasi sicuramente avrebbero causato problemi e necessitato ristrutturazioni.
Alla fine redassero un annuncio:
Acquisterebbesi appartamento in Prati o Monteverdevecchio, pentacamere, livelterrazzo o giardino.
La casa che avevano in affitto era diventata una tana per Natalia in cui rifugiarsi come in una vecchia calza, quindi voleva trovare qualcosa di simile, che sarebbe potuta diventare la sua nuova «vecchia calza».
Videro anche due case gemelle, entrambe con il giardino: una aveva il bovindo, l’altra un pergolato, e non sapevano quale scegliere. Si concentrarono allora sui dettagli che preferivano nell’una e nell’altra per poi accorgersi che avrebbero avuto a disposizione soltanto quattro camere, e a loro ne servivano cinque. Decisero allora che uno dei figli avrebbe dormito in un padiglione che avrebbero costruito in mezzo al giardino. Da quel momento i ragazzi ingaggiarono una lotta per decidere chi tra loro avrebbe dormito nel padiglione ancora inesistente.
Dopo estenuanti ricerche scelsero un appartamento vecchio e all’ultimo piano vicino al Pantheon e senza il giardino tanto sognato da Natalia, ma comodo. Era vicino alla prima sede romana dell’Einaudi, dove lei aveva lavorato subito dopo la guerra. In quell’ufficio si era rifugiata, ed era stata triste, ma le sembrava avesse un senso tornare ad abitare vicino a un luogo in cui aveva sofferto, vissuto, e in cui si era rintanata, anche in quel caso, come in una calza vecchia. Come la madre di Gabriele aveva previsto, quell’appartamento ebbe subito bisogno di lavori di ristrutturazione, pioveva dentro e il tetto era da rifare, ma i due erano contenti così.
Un giorno le capitò un incontro inatteso, che le fece venir voglia di prendere carta e penna e scrivere una lettera. La destinataria era una vecchia amica dell’Einaudi, che aveva lavorato qualche anno con lei, per poi trasferirsi all’estero. Pavese, e con lui i colleghi, la chiamavano Chiodino, per via della traduzione del suo cognome tedesco. In tanti avevano mantenuto buoni rapporti con lei e le inviavano abitualmente della corrispondenza. Era una donna molto intelligente che poteva quindi comprendere le dinamiche interne alla casa editrice. Conosceva tutti, con pregi e difetti, e ne era diventata la confidente. Nonostante avesse lasciato l’Italia e l’Einaudi, Chiodino mirava a lavorare nell’editoria e chiedeva sempre consiglio ai suoi ex colleghi in merito a traduzioni, curatele e lavori editoriali. Quando arrivò a casa, Natalia lasciò per terra il borsone pieno di libri con cui era solita uscire, e si sedette allo scrittoio:
Cara Chiodino
oggi, mentre andavo in casa editrice, mi sono fermata al mercato a comprare un po’ di verdura. Stavo scegliendo il cespo di insalata più verde e tenero, quando, poco prima che prendessi quello che avevo individuato, un’altra mano l’ha acciuffato. Proprio il mio cespo!
Mi sono subito voltata, indispettita, e chi mi trovo davanti? La ragazza che abitava con me subito dopo la guerra, quando lavoravo qui a Roma ...