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LA PAROLA DEL
FILOSOFO Umberto Curi
AMORE
Nella tradizione culturale occidentale, e in maniera particolare nella componente greco-latina di tale tradizione, ritroviamo sostanzialmente due termini diversi per indicare l’amore. Il primo è il greco eros, corrispondente al latino amor. Ne troviamo una definizione che è rimasta fondamentale soprattutto nei due Dialoghi nei quali Platone approfondisce esplicitamente il problema dell’amore, vale a dire il Simposio e il Fedro. Per comprendere la natura di Eros, scrive il filosofo, dobbiamo sempre tenere presente che egli è figlio di Poros (Risorsa) e Penia (Penuria), e quindi partecipa delle caratteristiche di entrambi. Si presenta dunque come tensione verso l’acquisizione di ciò che non si ha, come spinta verso il superamento della propria imperfezione, come ansia di completezza. Conformemente alla sua radice etimologica (eros-rhome), sua caratteristica è anche quella di essere una “forza” che soverchia la volontà, e alla quale è comunque difficile resistere. A differenza di ciò che comunemente si dice, l’amore platonico non implica affatto il rifiuto della componente fisica e sessuale dell’amore. Al contrario, l’eros compendia in sé tanto la dimensione intellettuale e spirituale, quanto quella legata al corpo e alla sensorialità. Il fine a cui esso tende è la generazione: di grado e importanza superiore la generazione nell’anima, capace di produrre ad esempio la legislazione di una città, rispetto alla generazione nel corpo, che pure è necessaria per la riproduzione della specie umana.
La seconda, e assai differente, accezione di amore si esprime mediante il termine greco agape, il cui corrispettivo latino è charitas (ma che solo impropriamente potrebbe essere tradotta col termine italiano “carità”). Pressoché assente nelle fonti greche del periodo arcaico e di quello classico, e dunque fra l’VIII e il I secolo a.C., il termine agape compare sostanzialmente per la prima volta nella versione greca dei Settanta della Bibbia, e in particolare nei testi del Secondo Testamento. Con questa parola si designa l’amore visto come relazione triangolare, anziché come rapporto meramente bilaterale: l’amore “scende” da Dio alle creature, le quali si amano scambievolmente, allo scopo di ritornare, grazie alla reciprocità di questo sentimento, a colui che di tutto è il Creatore. Si può dunque affermare che noi amiamo Dio nell’altro. Il documento più alto e più significativo, dal punto di vista filosofico e teologico, relativo a questo modo di concepire l’amore, è certamente la prima lettera di San Giovanni, là dove si afferma che «Deus charitas est», «Dio è amore» (1Gv 4,16). Secondo l’apostolo, dunque, la “natura” stessa di Dio, la sua vera “essenza”, è quella di essere amore. L’innegabile differenza sussistente fra eros e agape ha indotto alcuni a riconoscere non semplicemente una distinzione fra queste due forme di amore, ma una vera e propria contrapposizione. Eros sarebbe dunque incompatibile con agape, perché mentre il primo è legato esclusivamente alla dimensione mondana e sensibile, il secondo implica una capacità di elevazione spirituale, il cui vertice è la contemplazione di Dio. In realtà, come già accennato in riferimento a Platone, l’enfasi sulle differenze rischia di condurre a cancellare i non meno importanti punti di contatto. È quanto è stato riconosciuto in tempi recenti anche mediante alcuni documenti pontifici, nei quali Papa Benedetto XVI ha sottolineato la possibilità di concepire in termini non antitetici il rapporto fra eros e agape: «In realtà eros e agape – amore ascendente e amore discendente – non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura dell’amore in genere» (dalla Lettera enciclica Deus charitas est).
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IL FILM
TUTTI I SANTI GIORNI
di Paolo Virzì
TAG
AMORE, PROCREAZIONE, FECONDAZIONE ASSISTITA, FORTEZZA, MATRIMONIO, FAMIGLIA, PRECARIETÀ
Genere: Commedia
Produzione: Italia 2012
Durata: 102’
Con:
Luca Marinelli (Guido), Federica Victoria Caiozzo in arte Thony (Antonia), Micol Azzurro (Patrizia), Claudio Pallitto (Marcello), Stefania Felicioli (ginecologa), Franco Gargia (prof. Savarese), Giovanni La Pàrola (Jimmy), Mimma Pirrè (Rosetta, madre di Antonia), Frank Crudele (Domenico, padre di Antonia), Benedetta Barzini (Donatella, madre di Guido), Fabio Gismondi (Lorenzo, padre di Guido), Katie McGovern (Katherine), Robin Mugnani (Duccio, fratello di Guido)
LA DOMANDA
ALLE PRESE CON LA “NORMALITÀ” DELLA VITA
Nella capitale Guido è un portiere notturno di un albergo stellato e Antonia, la sua compagna, l’impiegata diurna di un autonoleggio. Toscanaccio lui e meridionale lei, convivono in affitto da sei anni in un appartamento ad Acilia, nella periferia romana. Si vedono sul far del pomeriggio quando lei rincasa, prima che lui esca, e alle prime luci dell’alba quando lui finisce il turno, prima che lei si getti nel traffico con il motorino. In questi intermezzi c’è lo spazio per fare l’amore, ogni giorno, per vedere se arriva, finalmente, il figlio: lui lo vorrebbe, lei lo vuole. Accanto, ma fondamentali per entrambi, le passioni della loro vita: lei scrive ed interpreta canzoni in pub improbabili, lui esperto di martiri protocristiani trascorre le notti a quattro stelle a leggere testi in latino.
Arrivare al mattino e portare il caffè a letto alla donna che ama “sciorinando” la storia del santo del giorno per lui è “la prima cosa bella”. Un beato che della mitezza ha fatto uno stile di vita con cui ha inebriato anche la sua Antonia che prima viveva una vita strampalata e senza freni. Lui si sposerebbe ma lei lo frena perché secondo i costumi del sud i festeggiamenti costerebbero troppo. Anche perché la distanza relazionale con la famiglia di lei è ormai siderale e ogni visita verso nord, soprattutto quelle improvvisate, vien...