Dizionario delle immagini del sacro
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Come ha messo in risalto il paleoantropologo Yves Coppens con le sue ricerche, già Homo abilis, precursore di Homo sapiens, era capace di creare una «cultura» propria. Da quelle prime realizzazioni l'Uomo non cessa più di creare e fare scoperte, giungendo a indagare sul suo destino attraverso l'osservazione della natura che lo circonda e del cosmo che lo sovrasta. In tale ricerca egli si pone in relazione con cinque grandi simboli di base: la volta celeste diurna e notturna; i simboli solari; i simboli lunari con i movimenti degli astri; i simboli della terra con la fertilità e infine i simboli dell'ambiente naturale: acqua, montagna, albero. Secondo Eliade, nell'immaginazione dell' Homo religiosus dimora «una luce di trascendenza proveniente dall'esterno». Il Dizionario delle immagini del sacro documenta con i testi di alcuni fra i più riconosciuti esperti del settore il complesso rapporto intessuto dagli esseri umani con il sacro attraverso le sue più diverse rappresentazioni.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816802506

A

ARTE BIZANTINA E MISTERO DELL’INCARNAZIONE

LE STRAORDINARIE ORIGINI
Le chiese, dimore celesti, erano fatte per essere frequentate e, al tempo stesso, per ricordare i principali episodi della Bibbia sui quali si fondano i dogmi della fede. Lo stile pittorico bizantino, formatosi nel VI-VII secolo, deriva da un lato da modelli antichi e, dall’altro, dal pensiero cristiano, in particolare quello dei Padri greci, vicini essi stessi alla filosofia idealista di Platone e dei neoplatonici. Furono soprattutto lo Pseudo-Dionigi Areopagita (V secolo) e Massimo il Confessore (VII secolo) i Padri che influenzarono indirettamente i creatori del nuovo stile. Fu così che si affermò l’idea che, rendendo visibile ciò che visibile non era, l’immagine dovesse essere la testimonianza dell’esistenza di un mondo ultraterreno inattingibile dal pensiero razionale. Di fatto, le si chiedeva ancor di più: contemplandola, il fedele doveva giungere a una maggior conoscenza del mondo divino e alla propria perfezione spirituale. San Giovanni Damasceno osserva laconicamente: «Vidi l’immagine di Dio e la mia anima fu salva».
I teologi greci avevano ben presto teorizzato l’insignificanza della materia, giungendo a negarle una vera esistenza. Secondo loro il mondo sensibile era solo apparenza che non corrispondeva alla verità delle cose, ma a una realtà ingannevole. Si poneva dunque il problema di come riuscire a rendere visibile nel mondo dell’immagine il kosmos (l’ordine) divino; in altre parole, come creare un «metalinguaggio» capace di esprimere la trascendenza, un’esigenza presente anche nello Pseudo-Dionigi Areopagita. In pratica, la questione era come creare dei personaggi smaterializzati e collocarli in uno spazio privo di riferimenti razionali. Perciò la figura umana fu privata del volume, le sue proporzioni si allungarono mentre il contorno scuro, addirittura incisivo, prese spesso il posto del modellato con un effetto di appiattimento delle forme.
La contemplazione mistica a cui invitava questo linguaggio plastico era sottolineata anche dal programma iconografico: nella cupola splende la croce, simbolo trionfale di Cristo che, nell’abside, appare spesso in trono, come Signore dell’universo, circondato da angeli, apostoli e santi (per esempio in San Vitale a Ravenna, VI secolo). A volte Egli compare anche fra i quattro animali dell’Apocalisse, secondo la descrizione delle visioni divine dei profeti (chiesa di Cristo del monastero di Latomos a Salonicco, V secolo). Quest’ultimo schema è molto più comune e costante nella periferia orientale del mondo bizantino, dove compare ancora nel XIII secolo.
Il fondo d’oro ha ormai assunto ancora più importanza e, nell’abside, appare immenso intorno all’esile figura della Vergine, come nel caso di Santa Sofia di Salonicco (IX secolo), a Hosios Loukás, a Daphní.
Nelle scene bibliche gli sfondi architettonici, necessari per ambientare l’azione, sono ridotti al minimo, o mancano del tutto. Così, la Lavanda dei piedi di Hosios Loukás presenta solo poche assi, che per di più sono dorate e si amalgamano col fondo, per indicare il banco sul quale stanno seduti gli apostoli; nell’Annunciazione di Daphní è stata addirittura eliminata la linea del suolo, così che i personaggi fluttuano nella luce dorata senza alcun appoggio solido. La stessa cosa si verifica nella Crocifissione di Hosios Loukás e, più tardi, in quella dell’icona dell’XI-XII secolo del monastero di Santa Caterina del Sinai dove Cristo è rappresentato morto sulla croce, una novità che apparve per la prima volta nelle miniature dei salteri del IX secolo, subito dopo la vittoria degli iconoduli. Nel mosaico di Hosios Loukás e nell’icona citata, il Crocifisso, fra la Vergine e il Battista, spicca contro uno sfondo d’oro sconfinato e senza alcun rimando alle realtà di questo mondo. L’immagine del sacrificio volontario di Gesù viene così privata di qualsiasi elemento narrativo, per diventare un simbolo proiettato nell’eternità della luce divina.
TANIA VELMANS

ARTE DELL’EPOCA DELLE CAVERNE

Durante gli anni ’70 e ’80 del XX secolo, grazie all’impulso dato da una serie di storici della preistoria – tra i quali spiccano André Leroi-Gourhan, Yves Coppens, Emmanuel Anati, Paolo Graziosi e Antonio Beltrán – si è costituito un gruppo di studiosi finalizzato a coordinare la ricerca, lo studio, la salvaguardia e la valorizzazione dell’arte rupestre. La collaborazione dei ricercatori ha consentito di fornire un primo panorama di questo patrimonio e di far progredire l’interpretazione dell’arte religiosa delle caverne.
CHIAVI DI LETTURA
Diverse chiavi di lettura sono venute ad aggiungersi a quella del reverendo Henri Breuil, nota per aver sottolineato l’importanza della magia della caccia e dei riti propiziatori. André Leroi-Gourhan e Annette Laming-Emperaire, purtroppo perita in un incidente, hanno messo in luce la bipolarità delle figure e delle valenze, segni di una elaborazione di concetti dualistici e di una visione complessa della società e del cosmo. L’insieme dell’arte figurativa paleolitica dovrebbe essere considerato come «l’espressione di concetti sull’organizzazione naturale e soprannaturale (che nel pensiero paleolitico non potevano che essere un tutt’uno) del mondo vivente». Di tale interpretazione dell’arte rupestre come riflesso della società si è valsa l’antropologia sociale e culturale anglosassone nella sua analisi della società e delle «istituzioni» del Paleolitico superiore. Il nostro autore ha presentato anche una seconda chiave di lettura, costruita a partire dai mitogrammi leggibili nelle grandi composizioni figurative delle caverne e capaci di introdurci negli arcani dei miti elaborati da Homo sapiens sapiens. Infine, basandosi sull’analisi della diversità e sulla ricchezza dei simboli, Emmanuel Anati vede nell’arte rupestre l’origine dell’elaborazione dei concetti nella formazione dello spirito umano, e l’espressione delle facoltà di astrazione, di sintesi e di associazione.
I SANTUARI
Entusiasmati dalle scoperte, i primi celebratori dell’arte animalista hanno utilizzato un linguaggio fatto di superlativi: la grotta di Niaux sarebbe la «Versailles della preistoria», mentre in quella di Lascaux è stata vista la «cappella Sistina» del Paleolitico. Una volta tornata la calma si è imposto un concetto: le grotte e le caverne sono dei santuari ricavati nelle profondità della terra. Attualmente siamo in grado di intravedere la strada che conduce dagli uomini di Cro-Magnon ai Maddaleniani. Homo sapiens di Cro-Magnon incideva e scolpiva le prime immagini nei ripari sotto le rocce. I Maddaleniani si addentravano di più nel buio e nel mistero delle profondità. Le tracce di passi, in particolare passi di adolescenti, e i mitogrammi delle volte e delle pareti fanno pensare a delle riunioni iniziatiche; tale ipotesi è confermata a Lascaux dal numero impressionante di impronte di giovani.
FIGURA 1. Figura antropo-zoomorfa con testa di uccello, zampe d’orso e corpo umano. Grotta di Altamira, Cantabria, Spagna. Rilievo di Henri Breuil.
FIGURA 2. Scena di danze di antropo-zoomorfi. Secondo Emmanuel Anati rivela con probabilità un mito. Potrebbe trattarsi ad un tempo di una scena sciamanica. Il rilievo è stato eseguito a Tamgali, Kazakhstan.
La presenza, il numero e la qualità dei mitogrammi inducono a supporre l’esistenza di miti cosmogonici e miti delle origini che saranno poi definiti dalle ricerche successive. L’unione – mai l’accoppiamento – tra gli animali costituirebbe la prova di una mitologia bipolarizzata che avrebbe caratterizzato l’età della Renna. Le statuette femminili, definite «Veneri di Aurignac», che sono state rinvenute su tutto il territorio europeo, sarebbero le prime testimonianze dei culti e dei miti della fecondità. Nelle raffigurazioni maddaleniane di uomini mascherati alcuni studiosi hanno visto degli «stregoni» o degli «sciamani», forse dei maestri delle cerimonie di iniziazione. Le rappresentazioni di danze circolari non sarebbero estranee alle pratiche iniziatiche, una perpetuazione delle quali si può osservare presso le popolazioni di cacciatori delle culture arcaiche recenti.
La ricerca attuale dimostra che il santuario è legato alla cultura della popolazione circostante; ciò conferisce a ogni santuario una propria identità e richiede un’interpretazione specifica per ciascuno di essi. Per esempio a Rouffignac lo studio dettagliato del Soffitto dei Serpenti ha condotto Claude Barrière a interpretare il serpente come simbolo del male e il mammut come simbolo della vita. L’insieme della composizione costituirebbe un’illustrazione della lotta del Male contro la Vita. Nel suo studio sui santuari monotematici dell’arte rupestre cantabrica, Francisco Jordá Cerdá è giunto a conclusioni incoraggianti per lo studio della religiosità delle popolazioni maddaleniane. Oggetto dei suoi studi sono: rappresentazioni animali che sembrano raffigurare l’apparizione dell’animale mitico; cappelle considerate come luoghi destinati al deposito di «oggetti sacri»; il simbolismo del clan in presenza della potenza celeste; la mano considerata come archetipo religioso del rifiuto delle forze ostili; i miti cosmogonici.
L’HOMO RELIGIOSUS DEL PALEOLITICO SUPERIORE
Le chiavi di lettura non sono ermeneutiche dell’arte rupestre, ma strumenti grazie ai quali gli ermeneuti possono penetrare negli arcani dei santuari e tentare di comprendere i mitogrammi, le incisioni fatte sui muri e sugli utensili, il senso delle statuette femminili e delle composizioni sui soffitti e le rocce parietali. Circa 10.000 anni fa, alla fine della glaciazione Würm, l’arte rupestre maddaleniana si è estinta. Il riscaldamento della terra ha segnato la fine delle grandi specie animali che erano familiari ai cacciatori raccoglitori. Si è conclusa così un’epoca della storia umana.
L’utilizzo simultaneo delle quattro chiavi di lettura di cui abbiamo parlato ci permette di intravedere alcuni aspetti dell’esperienza del sacro e del comportamento di Homo sapiens sapiens, autore e contemporaneo dell’arte rupestre. Questo Uomo ha vissuto un’esperienza che comprendeva la percezione di kratofanie e ierofanie, sebbene ancora con una certa confusione. Ciò ci fa pensare a un comportamento magico-religioso ispirato a una certa percezione della Trascendenza. Tale percezione da parte dell’homo religiosus paleolithicus è resa evidente sia dall’organizzazione dei santuari, sia dalle composizioni rupestri e dai segni dell’arte parietale e mobiliare. La rappresentazione di innumerevoli mitogrammi dimostra che un pensiero simbolico e mitico costituiva la struttura della religiosità di quest’uomo e determinava i suoi comportamenti. Per lui l’iniziazione ai miti doveva essere una forma di rivelazione di una «storia santa» del cosmo e dell’uomo, che gli permetteva di collocarsi all’interno dell’Universo.
FIGURA 3. Figura antropomorfa: corpo umano e muso di bisonte, probabilmente rappresenta un essere umano mascherato con testa e pelle di bisonte (possibile sacerdote o sciamano che esegue una danza rituale). Grotta di Gabilliou, Dordogna, Francia.
BIBLIOGRAFIA
E. Anati, Evoluzione e stile nell’arte rupestre camuna, Centro Camuno di Studi Preistorici, Capo di Ponte 1975.
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E. Anati, I Camuni. Alle radici della civiltà europea, Jaca Book, Milano 1982.
E. Anati, Le radici della cultura, Jaca Book, Milano 1992.
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E. Anati (dir.), Arte e comunicazione nelle società preletterate, Jaca Book-Centro Camuno di Studi Preistorici, Milano-Capo di Ponte 2011.
A. Beltrán, Da cacciatori ad allevatori. L’arte rupestre del Levante spagnolo, Jaca Book, Milano 1980.
A. Beltrán, Arte rupestre preistorica, Jaca Book, Milano 1993.
Y. Coppens, Le Singe, l’Afrique et l’homme, Fayard, Paris 1983 (tr. it. La scimmia, L’Africa e l’uomo, Jaca Book, Milano 1985, 19963).
Y. Coppens, L’Origine de l’Homme; le milieu, la découverte, la conscience, la création, in «Revue des sciences morales et politiques», Paris 1987, pp....

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