La politica mondiale del lavoro
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La politica mondiale del lavoro

Affrontare la globalizzazione

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La politica mondiale del lavoro

Affrontare la globalizzazione

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Questo libro è dedicato ai lavoratori e alla loro volontà di affrontare insieme, forti della loro storia sindacale, sociale e politica, le sfide del mondo del lavoro. Oggi ne hanno davanti una nuova e più grande: il lavoro è diventato mondiale. Se un tempo l'internazionalismo era una bandiera dei lavoratori, oggi l'internazionalizzazione è una scelta del capitale, che ha deciso il campo di gioco su cui svolgere la partita e il movimento dei lavoratori non vi si può sottrarre. Se la globalizzazione ha consentito ad alcuni Paesi, come la Cina, di emergere, nell'insieme ha creato enormi scompensi e profonde ingiustizie. La maggior parte del valore mondiale viene estratto oggi dai Paesi del Sud, mentre i vantaggi sono trasferiti quasi interamente al Nord. Il movimento sindacale – bloccato per quasi 50 anni dal confronto col comunismo – ha di fronte il problema di lottare per una globalizzazione giusta e per una sempre maggiore unità fra i lavoratori di tutto il mondo.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2021
ISBN
9788816802650

1
L’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO. UN QUADRO DI REGOLE SOFT PER IL LAVORO

L’azione sindacale internazionale, nella difficoltà di mettere in atto una prassi contrattuale analogamente a quanto avviene nei Paesi maggiormente sviluppati, si appoggia largamente sugli organismi internazionali che hanno più potere, più organizzazione e dispongono di una maggiore possibilità di intervento.
Questi rapporti che vanno da semplici contatti, a collaborazioni, delegazioni permanenti e altre diverse forme di relazione si rivolgono a un vasto arco di autorità internazionali, dall’ONU, all’OECD, alla WTO, alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale, sino agli incontri G8.
Ma indubbiamente l’Organizzazione fondamentale che riguarda il lavoro è rappresentata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO).
L’ILO è un’organizzazione dalla lunga storia, nata 100 anni fa, nel 1919, in occasione del Trattato di Pace di Versailles a conclusione della Prima guerra mondiale (il suo Statuto costituisce la XIII Parte del Trattato). È dunque la più antica fra le organizzazioni internazionali. In precedenza, vi erano già state Conferenze intergovernative, a Berna, che avevano definito delle prime Convenzioni, in particolare sul fosforo bianco e sul lavoro notturno delle donne.
Vi è stato dunque un lavoro preparatorio e un impulso fattivo, soprattutto di Francia e Inghilterra, interessate particolarmente a limitare una concorrenza troppo diseguale e svantaggiosa.
Il documento di Versailles, salvo uno stringato preambolo, in cui si afferma il principio cardine che “una pace universale e durevole non può essere instaurata se non fondata sulla giustizia sociale”, contiene esclusivamente norme relative ai poteri e alle regole del nuovo ente.
La struttura dell’organizzazione è stabilita in tre organi fondamentali: la Conferenza Internazionale (organo assembleare, che generalmente si riunisce una volta all’anno); il Consiglio d’Amministrazione (organo di governo) e l’Ufficio Internazionale del lavoro (che svolge il lavoro di staff e di segretariato).
Principio fondamentale dell’Organizzazione è il tripartitismo, per il quale sono presenti negli organi rappresentanti dei governi, degli imprenditori e dei lavoratori (nella Conferenza ogni Stato nomina 4 delegati, di cui due rappresentano il governo, 1 gli imprenditori e 1 i lavoratori). A sua volta il Consiglio d’Amministrazione è formato da 56 membri, di cui 28 nominati dagli Stati, 14 dai lavoratori e 14 dagli imprenditori). Questo principio, criticato da alcuni, si presenta nella pratica molto utile, soprattutto a livello nazionale, per implementare le decisioni.
L’ILO delibera attraverso due strumenti giuridici, le Convenzioni e le Raccomandazioni: le Convenzioni hanno il carattere di hard law, cioè di vere e proprie leggi (valide a livello nazionale, una volta ratificate dal parlamento o da un organismo pubblico competente); le Raccomandazioni, che hanno la natura di soft law, tendono soprattutto ad attuare le Convenzioni, accompagnarle o svolgere una funzione anticipatoria di Convenzioni future.
Solo nel 1944 con la “Dichiarazione di Filadelfia”, diventata parte integrante dello Statuto, vengono definite le finalità sociali dell’Organizzazione, dando priorità ai diritti dei lavoratori e alle condizioni di lavoro. La dichiarazione esprime autorevolmente i principi sociali fondamentali – sulla falsariga della dichiarazione dei diritti dell’uomo – che diventano così programmaticamente costitutivi degli Stati aderenti. Essa afferma che “tutti gli esseri umani, senza distinzione di razza, di religione, di sesso, hanno il diritto di cercare il loro benessere materiale e il loro sviluppo spirituale in condizioni di libertà e di dignità, di sicurezza economica e di eguaglianza di possibilità”.
Negli anni compresi tra il 1919 e 1944 si è verificata una produzione elevata di convenzioni, in considerazione del fatto che il numero dei partecipanti era più ristretto e più omogeneo. In quel periodo in modo particolare la Francia tendeva a rafforzare il carattere decisionale e normativo dell’ILO, restringendo però il suo campo di intervento solo al lavoro salariato manuale e industriale. In diverse e successive sentenze la Corte Internazionale di Giustizia ha deliberato che l’ILO ha competenza anche sui lavori indipendenti, sul lavoro agricolo e su quello intellettuale impiegatizio, accogliendo pertanto una visione ampia del concetto di lavoro.
Nel secondo dopoguerra la situazione si è totalmente modificata soprattutto perché nel 1946 l’ILO è diventata a tutti gli effetti un’Agenzia ONU che prevede, fra l’altro, l’adesione automatica degli Stati membri alla Organizzazione Internazionale del Lavoro.
La platea degli Stati aderenti è diventata così molto numerosa e nel contempo anche molto differenziata, data la presenza di una pluralità di Stati in via di sviluppo e decolonizzati. I Paesi membri che erano 52 nel 1944 e 80 nel 1958 sono diventati 187 nel 2019.
In parte per l’aumento dei Paesi membri, in parte a causa della Guerra fredda, l’azione dell’ILO ha conosciuto per molti anni una battuta d’arresto.
S’imponeva pertanto un cambiamento di strategia, avvenuto nel 1998 con la “Dichiarazione di Ginevra”, che rappresenta una vera e propria svolta: viste le difficoltà a far accettare e applicare molteplici convenzioni per situazione oggettiva spesso di debolezza istituzionale e arretratezza economica di molti Stati, si decide di concentrare la proposta e l’impegno attorno a quattro grandi obiettivi che sintetizzano le principali questioni del lavoro:
La libertà d’associazione e il riconoscimento effettivo del diritto alla negoziazione collettiva;
L’eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato o obbligatorio;
L’abolizione effettiva del lavoro minorile;
L’eliminazione della discriminazione in materia di impiego e di professione.
La scelta di questi principi merita qualche considerazione. La libertà di associazione e il diritto alla contrattazione sono coerenti con il tripartitismo dell’organizzazione, ma rispondono anche alla convinzione che sono i diretti interessati i protagonisti e i responsabili della soluzione dei problemi.
Sull’eliminazione del lavoro forzato e l’abolizione del lavoro minorile occorre tener presente che queste situazioni, particolarmente gravi e disumane, sono ancora fortemente presenti a livello mondiale. Si parla di 250 milioni di bambini impiegati in lavori anche pesanti e si stimano in più di 40 milioni coloro che si trovano in condizioni di lavoro forzato o obbligatorio (forme di lavoro “forzato” esistono anche in Occidente, soprattutto attraverso il ritiro del passaporto del lavoratore, il lavoro offerto a chi è privo di documenti, la tratta, e così via). Infine il tema della discriminazione nell’impiego riguarda le donne, ma in alcuni Paesi sono fortemente presenti anche discriminazioni razziali, tribali, di classe, di casta, nazionali. Dunque la scelta ha privilegiato le situazioni di maggior carenza dei diritti umani da una parte e la libertà sindacale e di contrattazione come strumento base per il progresso sociale dall’altra.
All’affermazione di questi principi (che costituiscono i “core labour standards”), nella successiva Conferenza Internazionale del 1999, viene affiancata una “Agenda del lavoro dignitoso” (decent work), aggiungendo altri tre obiettivi che tendono ad allargare la sfera più specificatamente sociale e cioè:
Occupazione
Protezione sociale
Dialogo sociale.
Si è trattato di un opportuno e necessario completamento perché, al di là dei problemi del lavoro in senso stretto, è opportuno avere presente l’intera condizione del lavoratore e della sua famiglia, quindi anche il tema della disoccupazione, della salute e della sicurezza sociale. Il sistema di protezione sociale nei Paesi in via di sviluppo si presenta estremamente debole; esso non copre più del 20% dei lavoratori nella maggior parte dei Paesi e meno del 10% nei Paesi dell’Africa sub-sahariana.
Con questa impostazione viene messa in atto una nuova strategia da parte dell’ILO. Si tende a rinunciare a nuove Convenzioni e all’attività di implementazione per farle ratificare e applicare, dati anche gli scarsi risultati ottenuti in proposito; infatti spesso le Convenzioni ottengono un numero molto esiguo di approvazioni. Nel rapporto sul lavoro dignitoso si afferma che in 15 anni, dal 1983 al 1998, su 23 Convenzioni e 2 Protocolli solo 3 hanno raccolto almeno 20 ratifiche e, anche quando sono ratificate, molte Convenzioni sono poco applicate.
Si ragiona pertanto più in termini di principi che di diritti, ci si concentra sulle questioni essenziali, si usa il monitoraggio, cui si affianca una rafforzata assistenza tecnica, non come strumento di controllo, ma per individuare problemi e collaborare alla loro soluzione; si ampliano le sedi decentrate.
Il “lavoro dignitoso” diventa il grande principio unificante di questa strategia perché con esso l’ILO intende sostenere uno sviluppo economico che sia congiuntamente sviluppo sociale. L’intento dell’ILO è promuovere un quadro normativo globale del lavoro, accettato universalmente e condiviso dalle altre organizzazioni internazionali, prima di tutte l’ONU, ma anche l’OECD e la WTO e in qualche misura anche dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. L’attività dell’ILO acquista un carattere sempre più “promotore” e questo nuovo indirizzo è ben accolto dai Paesi in via di sviluppo perché più confacente alle loro necessità.
Un’altra importante iniziativa è stata assunta dall’ILO nel 2009, con la 98a Conferenza Internazionale, a seguito della crisi economica del 2008; in tale occasione l’ILO ha espresso una significativa “Dichiarazione sulla Giustizia sociale in una globalizzazione equa” che intende appunto affermare l’esigenza che le istanze sociali e del lavoro siano assunte all’interno delle decisioni politiche ed economiche, e non ridotte a fattori successivi secondari.
È la terza grande dichiarazione programmatica, dopo quella di Filadelfia del 1944 e quella di Ginevra, relativa ai principi e ai diritti fondamentali del lavoro del 1988. Con essa l’ILO riafferma i propri obiettivi strategici – occupazione, protezione sociale, dialogo sociale e diritti del lavoro – perché diventino parte integrante dello sviluppo economico. L’apprezzamento ottenuto dal G8 e dal sindacato internazionale costituisce un passo in avanti nell’affermazione di alcuni valori fondamentali.
Nel 2019 l’ILO ha celebrato il suo 100° anniversario: è stata l’occasione per rilanciare un rinnovato impegno per la “umanizzazione” del lavoro, problema che con la crescita della popolazione e l’avvento della globalizzazione si presenta sempre più complesso.
Per attuare il programma del “lavoro dignitoso” l’ILO si è trovata subito di fronte ad alcuni enormi problemi: fra questi il lavoro informale, le catene globali di valore e le responsabilità delle multinazionali.
Sul lavoro informale l’ILO si è espressa nel 2002 (90a Sessione della Conferenza) con la Risoluzione “Lavoro dignitoso ed economia informale” e successivamente, nel 2015, con la Raccomandazione sulla “Transizione dall’economia informale all’economia formale”.
Il lavoro informale, secondo una statistica della stessa ILO in collaborazione con WIEGO (pubblicata nel 2019, ma i dati si riferiscono al 2017), costituisce il 61% del lavoro mondiale; in agricoltura si stima che i lavoratori informali siano il 94%, mentre nell’industria scendono al 54% e nei servizi al 47%.
Se i lavoratori informali costituiscono la maggioranza in Africa, Asia, America Latina, non si deve trascurare che essi sono presenti anche in Europa, in particolare nell’Europa dell’Est, ma anche nell’area occidentale, fra cui l’Italia. I settori interessati sono le costruzioni, l’agricoltura, il turismo, la ristorazione, il commercio, le cooperative nella logistica e nelle pulizie ecc.
I dati riportati comprendono i lavoratori delle sweatshops (fabbriche del sudore), lavoratori a domicilio, lavoratori casuali e indipendenti, alcuni dei quali sono in parte coperti giuridicamente e contrattualmente, ma molti invece non hanno alcuna copertura e protezione sociale. La maggior parte è povera e non gode di alcun sostegno da parte dei poteri pubblici.
L’ILO ritiene che i principi del decent work abbiano valore generale e pertanto vadano applicati anche al lavoro informale. Naturalmente i risultati possibili sono da prevedere in tempi diversi: ridurre il deficit di lavoro dignitoso nel breve periodo, mentre nel medio e nel lungo si intenderebbe favorire l’ingresso nel lavoro formale, anche creando nuove opportunità di lavoro. Si tratta di un impegno imponente, volto a promuovere legislazioni nazionali, favorire l’organizzazione autonoma dei lavoratori, ottenere iniziative concrete di regolamentazione anche contrattuali dei rapporti di lavoro e di qualche forma di protezione sociale.
Un secondo campo importante di intervento dell’ILO rigua...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Dedica
  6. Introduzione. Per una coscienza mondiale del movimento dei lavoratori
  7. 1. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Un quadro di regole soft per il lavoro
  8. 2. Le multinazionali e le catene di valore. Un potere economico onnipresente
  9. 3. I lavoratori migranti. Anche le persone diventano mondiali
  10. 4. Il lavoro informale. La moltitudine eterogenea dei lavoratori mondiali
  11. 5. Il sindacato internazionale. La gigantesca sfida della globalizzazione
  12. 6. Il sindacato europeo. Uno squilibrio contraddittorio tra l’economico e il sociale
  13. 7. Conclusione. Un’altra società è possibile?
  14. 8. Bibliografia essenziale
  15. 9. Sigle dei Sindacati internazionali