Parte seconda
LANZA DEL VASTO
TESTI SCELTI DA FRÉDÉRIC ROGNON
ELOGIO DELLA VITA SEMPLICE
Nel 1933, Lanza del Vasto decide di mettersi in viaggio. Trent’anni prima dei beatnik, fa l’esperienza radicale del distacco e della vita semplice. Gli aforismi, appuntati su pezzetti di carta, e poi riuniti e pubblicati nel 1945 con il titolo Principi e precetti del ritorno all’evidenza, colpiscono per la sete di assoluto di cui testimoniano. È l’inizio di un cammino, che porterà Lanza del Vasto, quindici anni dopo, a fondare alcune comunità stanziali che si pongono però il problema di una revisione dei bisogni1.
I
Dura e contrastata vita quella di un pacifico bandito. Ma talvolta la gioia delle fontane la rischiara e sempre la grandezza del cielo.
Da molto tempo porto bastone, bisaccia e barba.
A furia di bilanciarmi da un piede all’altro, ho finito col dimenticare ciò che mi hanno insegnato a scuola, col dimenticare ciò che ho letto nei libri.
I pochi pensieri che mi restano, sballottati a lungo nella testa con uno sgradevole rumore, rinsecchiti all’aria e al sole, si sono ridotti a quasi nulla.
È da imbecilli il dire cose ovvie con gran fervore, e come se le si fosse inventate or ora. Perdona, amico, se ormai non so fare altro.
Altro non so che cose talmente evidenti che un uomo intelligente disdegna dirle, talmente evidenti che la maggior parte degli intelligenti hanno finito col dimenticarle.
[…]
IV
A che gli vale un veicolo? Se la ride delle macchine rotolanti, colui che ritorna all’evidenza!
Va solo, a piedi, colui che va a ciò che va-da-sé.
V
Sappi, vagabondo, la dignità dell’atto verticale, unicamente umano che è la marcia.
Lo stare in piedi appartiene all’uomo. Persino gli uccelli siedono sulle zampe e si sdraiano fra le ali per volare.
[…]
VII
Non è giunto colui che cammina. Il pellegrino non è un saggio, non è un santo. È un amico della saggezza, un amante della santità.
La verità che tu cerchi non sta al termine del cammino. Sta dappertutto. Sta in te. Te stesso cerchi, o pazzo. E vai a cercarti lontano!
Infatti il mio corpo che si trascina nel mondo esterno ignora la verità che la mia intelligenza ha visto. Voglio mettere i piedi nei passi del mio pensiero, voglio tastare con le mani ciò che sa il mio sapere, voglio pesare il mio peso sulla terra promessa delle certezze spirituali.
Va, pazzo! Mettiti dunque in marcia con tutta la tua vita. E la strada faccia cantare il tuo corpo di canna secca e le tue gambe di vento.
[…]
XII
Sii sufficiente a te stesso.
Godi di quel che fa la tua mano.
Accontentati di quel che fa la tua mano.
Di ciò che non sai fare sappi farne a meno. Oppure va’ da chi conosci e fagli fare la cosa sulla misura del tuo bisogno.
Nessuna cosa sia fatta per tentare l’avventura della vendita.
La vendita non sia un lavoro al di fuori del lavoro, e il lavoro un rischio senza piacer di gioco.
Mentre quelli giocano ad approfittarsi l’uno dell’altro, tu sii sufficiente a te stesso.
[…]
XVII
Se chiudi la mano, il mondo ti resterà chiuso come un pugno. Se vuoi che il mondo si apra a te, apri prima la tua mano.
[…]
XXVI
Sforzati di fare ciò che nessun altro può fare.
Sforzati di desiderare ciò che come te tutti possono avere.
Distinguiti per ciò che sei, non per ciò che hai.
[…]
XXX
Non perder tempo a guardarti la vita.
Guadagna il tuo tempo.
Salva la tua vita.
[…]
LI
Non protestare contro ciò che disapprovi: fanne a meno.
Fa’ a meno di tutti i sistemi industriali, commerciali, ufficiali.
Se disapprovi la menzogna, lascia la città.
Se disapprovi la banalità, non leggere il giornale.
Se disapprovi la bruttura del secolo, butta via ciò che proviene da una fabbrica.
Se disapprovi il macello, non mangiare carne.
Se disapprovi il bordello, guarda ogni donna quale madre o sorella.
Se disapprovi la guerra, non stringere mai i pugni.
Se disapprovi l’oppressione della miseria, spogliati deliberatamente.
[…]
LIV
Che fanno di necessario le grandi città?
Fanno il grano del pane che mangiano?
Fanno la lana del panno che vestono?
Fanno il latte? Fanno l’uovo? Fanno il frutto?
Fanno – sì – la scatola. Fanno l’etichetta.
Fanno i prezzi.
Fanno la politica.
Fanno i manifesti.
Fanno rumore.
Ci hanno tolto l’oro dell’evidenza e lo hanno perduto.
[…]
LIX
Fa’ a meno dell’orologio.
L’ora non conta nell’evidenza.
Ti alzerai quando il sole spunta.
Quando tramonta ti coricherai.
Mangerai quando la fame suona mezzogiorno.
Berrai quando una fonte rinfrescherà il tuo cammino.
Arriverai quando Dio vorrà.
Non affrettarti, non perdere il tuo tempo ad affrettarti.
Dio solo sa l’ora della tua morte e per il tuo bene la fa ignorare.
Scritto lungo la strada tra Roma e Bari, ripreso e portato a termine tra la giungla e il ghiacciaio, sull’Himalaya, nella notte di Natale del 1937.
1Testo tratto da Principi e precetti del ritorno all’evidenza, cit., pp. 15-36.
LA VISIONE DELL’ARCA
Nel 1937, Lanza del Vasto si reca da Gandhi per cercare di trovare una via d’uscita alle impasse della civiltà. Durante il soggiorno in India, risale il corso del Gange verso le sorgenti. È qui che le cose diventano chiare per lui: dovrà fondare una confraternita di uomini impegnati in un modo di vita che escluda ogni violenza, ogni abuso e ogni cooperazione con l’ingiustizia e la guerra. Di questo renderà conto nel libro che lo rese celebre: Pellegrinaggio alle sorgenti1.
Non avevo lasciato il mio paese per cercare l’avventura, ma per uscire dall’avventura e trovare una soluzione alle nostre inquietudini.
I costumi e le abitudini mentali dell’Europa, con il logico concatenarsi delle miserie, delle brutture e degli sconvolgimenti, costituiscono un sistema che alcuni sostengono con convinto proposito, altri con il loro inerte consenso. Ero stretto dal bisogno di evaderne.
I mali della meccanizzazione, dell’asservimento alla comodità, del lucro, della violenza e dell’irreligione, che sono i nostri, Gandhi li ha estirpati di colpo. Pensavo di fare il mio dovere di uomo recandomi da lui. Contavo, finito il periodo di noviziato, rinchiudermi in un qualche villaggio indiano e servire sino alla fine dei miei giorni una causa universalmente umana.
Avevo intrapreso il pellegrinaggio alle Sorgenti per penetrare nelle tradizioni del paese dove volevo stabilirmi, e subìto le prove del noviziato per fortificarmi e prepararmi al compito.
Ma un nuovo pensiero si fece strada in me: che in virtù dello stesso principio di Swadèsci, il posto di un discepolo occidentale di Gandhi fosse in Occidente e il suo compito fosse quello di seminare nella terra più ingrata: a casa propria. Non era forse questo il luogo ove la necessità della dottrina si faceva maggiormente sentire?
Sapevo che per dar vita alla dottrina era vano esporla nei libri, disperdersi in conferenze o in discorsi pubblici, vano teorizzare e polemizzare, vano rivolgersi ai curiosi che leggono, vano rivolgersi alle folle che urlano e dimenticano. La non-violenza è una verità che soltanto chi vi si esercita può conoscere. Bisognava perciò fondare una confraternita di uomini vincolati da voti solenni, acciocché imparino insieme a vivere secondo la regola dell’Ahimsâ e dello Swadèsci, farla prosperare nella povertà e nei rudi lavori, crescere nell’indipendenza, ma sottomessa alle leggi civili affinché con il tempo e con l’aiuto di Dio, senza predicare la ribellione né forzare il destino, trasformi dal di dentro la vita dei popoli, rendendo inutili le rivoluzioni sanguinose, inevitabili nelle presenti condizioni.
Con viva commozione esposi il mio progetto a Bâpu-Gî; la lettera era chiara e ben scritta. Di colpo, la pace nel mondo mi apparve cosa fatta. Ricevetti a volta di corriere la risposta seguente: «Farai ciò che la voce interiore ti detterà. Ma se in qualche modo ti sarà possibile, passa da noi prima di lasciare le Indie».
1Testo tratto da Pellegrinaggio alle sorgenti, cit., pp. 216-217 [passim].
LA CATENA E LA FRUSTA
Questo breve testo mostra l’implacabile sguardo di Lanza del Vasto sulla nostra moderna servitù: non siamo forse sottoposti a uno stile di vita, a ritmi e valori che fanno di noi dei veri e propri schiavi? La frusta non si vede, ma si vedono coloro che acconsentono a essere frustati…1
Ho visto, in grande capitale opulenta e libera, i passanti pigiarsi in una fila, tra i muri e lungo i marciapiedi.
La schiena curva, la testa incassata nelle spalle, sembravano fuggire come se qualcuno li frustasse. Ma nessuno li incalzava se non altri fuggiaschi, e la frusta non la vedevo.
Sembravano legati gli uni agli altri ma non vedevo la catena.
Erano tutti prigionieri dell’orologio della stazione che si levava in fondo alla strada come un astro sinistro.
1Testo tratto da Les quatre fléaux. La rue des révolutions, vol. 2., cit., p. 78. [Traduzione nostra]
LE TRE TENTAZIONI DELLA MACCHINA
In Les quatre fléaux [I quattro flagelli], opera di filosofia politica ed economica pubblicata nel 1959, Lanza del Vasto decostruisce la propaganda produttivistica tesa a sedurre i cittadini e i consumatori. La macchina vi è presentata nella sua luce migliore, garante di comodità e opportunità; ma la realtà è ben più ambivalente… È un testo che può facilmente essere attualizzato con esempi tratti dalle tecnologie del XXI secolo1.
Sedurre vuol dire sviare attraverso menzogne. È talmente chiaro (non a tutti però) che i benefici promessi e prodotti dalla Macchina sono delle trappole.
Si dice che, per catturare una scimmia, basta svuotare una noce di cocco, appenderla a un tronco e, dopo aver predisposto un’adeguata apertura, mettervi una manciata di cibo succulento. Una volta che la scimmia ha afferrato la preda, non può più svincolarsi e si dibatte strillando senza poter lasciare la presa, finché non la si cattura.
Si dice anche che la vista di una scimmia catturata non impedisce alla successiva di essere presa nello stesso modo.
Questa storia di scimmie ci mostra esattamente quanta libertà, quanta necessità e assurdità, innocenza e furbizia...