Romano Guardini
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Romano Guardini

Antinomia della vita e conoscenza affettiva

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Romano Guardini

Antinomia della vita e conoscenza affettiva

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A cinquant'anni dalla morte, la riflessione dell'italo-tedesco Romano Guardini, figura chiave per il pensiero di Jorge Mario Bergoglio, ritorna a nuova attualità. Il volume rilegge il cuore della filosofia guardiniana, la sua dottrina dell'opposizione polare, alla luce degli scritti inediti pubblicati negli ultimi anni. La teoria della polarità appare, così, come una pagina radicata nella biografia del filosofo e, al contempo, come un tentativo di risposta alle dilacerazioni storico-esistenziali provocate dalla Grande Guerra. Il risultato è un pensiero antinomico, teso tra unità e distinzione, il cui scopo è riconciliare soggetto e oggetto, libertà e verità, modernità e religione. Fedele alla lezione di Max Scheler, Guardini persegue, attraverso l'incontro con Agostino e Bonaventura, un conoscere affettivo capace di unire cuore e ragione, intuizione e concetto. Un contributo ancora oggi di grande rilievo in un contesto internazionale fortemente polarizzato. Come scriveva Guardini nel 1964: «La teoria degli opposti è la teoria del confronto, che non avviene come lotta contro un nemico, ma come sintesi di una tensione feconda, cioè come costruzione dell'unità concreta».

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816800045

I
ANTINOMIA E RICONCILIAZIONE

1. LA VITA COME OPPOSIZIONE POLARE. UN PENSIERO AUTOBIOGRAFICO

1.1. Una gioventù solitaria, senza mondo

Un sistema filosofico non è il mero riflesso dell’Erlebnis, ha una sua struttura e autonomia rispetto all’esperienza vissuta del singolo pensatore. Nella storia del pensiero v’è una logica delle essenze, una consequenzialità dei principi, che non si lascia ricondurre al piano del vissuto. Cionondimeno appare difficile immaginare una dottrina filosofica pensata in contrasto con la vita del suo autore. La teoria non porta solo l’impronta del tempo storico; essa riflette anche i contrasti e le esigenze di unità e di felicità propri dell’esistenza. Senza accedere alla “psicologia delle visioni del mondo” di Karl Jaspers, è un fatto che la predilezione e l’orientamento per una data prospettiva muovano, spesso, da una lacuna, un’esigenza non soddisfatta, una ferita dell’animo. Ciò spiega quella singolare affinità tra Romanticismo e dialettica che è dato registrare nella cultura tedesca della prima metà del XIX secolo e, di ritorno, negli anni ’10-’20 del ’900. Il periodo che precede e accompagna la prima guerra mondiale è, in Germania, tempo di forti contrasti: tra soggetto e oggetto, io e mondo, umano e divino. Il Neoromanticismo minaccia, ad ogni passo, di sprofondare in un solipsismo nichilistico, in un idealismo ironico in cui i confini tra realtà e sogno si fanno labili. Riconquistare il rapporto con la dimensione oggettiva, storico-politica, uscire da sé in rapporto all’“alterità”, è la condizione per non ammalarsi, avvitarsi in un’interiorità vuota, annegare nella notte della soggettività. Nel primo decennio del ’900 più di un pensatore intuisce che la vita è “polarità”, che la dialettica è il movimento dell’esistenza, la terapia del malato, la via che consente la riconciliazione tra l’io e il mondo. Anche l’intuizione che muove il pensiero di Romano Guardini nasce da qui. Non si comprende il suo “sistema del concreto vivente”, la sua concezione “polare” del mondo, consegnata nel suo lavoro del 1925 Der Gegensatz. Versuche zu einer Philosophie des Lebendig-Konkreten, se non si coglie il “segreto” di un’esistenza contrassegnata, nella sua gioventù, da una interiorizzazione eccessiva, da un idealismo astratto che stenta a ritrovare il ponte con la realtà. La genesi del pensiero di Guardini risiede in una riflessione capace di portare l’autore oltre l’abisso di un io che sprofonda in se stesso, oltre il tormento della malinconia. È questo il segreto del suo animo, segreto che la biografia di Hanna-Barbara Gerl consente di svelare31. All’origine di tutto è la famiglia, le figure del padre e della madre.
Romano Guardini nasce a Verona il 17 febbraio 1885. La sua permanenza in Italia è breve. Il padre, Romano Tullo, commerciante, si trasferisce nel 1886 con la famiglia a Magonza, in Germania. Nel 1910 diviene console italiano e, essendosi opposto all’entrata in guerra dell’Italia, dovette trasferirsi in Svizzera fino al 1918. Morirà il 30 settembre 1919.
Mio padre – ricorderà poi Guardini – non viveva in generale con noi. Ci voleva molto bene, e noi a lui, ma riuscivamo appena a vederlo. Il suo lavoro lo teneva interamente occupato, ed era spesso in viaggio. Per i soggiorni di vacanza in campagna non veniva con noi; e in genere non mi ricordo che egli si sia mai preso un periodo di riposo. Era molto dotato, ma già a quattordici anni aveva lasciato la scuola e dovuto occuparsi del mantenimento dei suoi genitori. Propriamente avrebbe voluto studiare legge ed economia politica, ma aveva dovuto rinunciarvi. […] Il risultato fu che non parlava mai di cose culturali; le porte erano state chiuse. Pure nessuno aveva conoscenza della sua vita interiore personale. Quando morì nel 1919 avevo 34 anni, e credo che in tutto questo tempo io abbia avuto con lui non più di dieci o quindici colloqui personali, o su argomenti specifici, che andassero più a fondo. La sua vita dev’essere stata terribilmente solitaria; per lui sostanzialmente c’era solo il lavoro. […] Così anche nostro padre non aveva allargato il mondo chiuso della nostra fanciullezza e giovinezza32.
Ciò che qui colpisce è l’immagine del “mondo chiuso”, claustrofobico, che torna costantemente nei ricordi che Guardini offre della sua giovinezza. La ritroviamo nella descrizione della figura materna: Paola Maria Bernardinelli. È lei, più ancora del padre, che, non sentendosi a casa in Germania, chiude i figli Romano, Gino, Mario, Aleardo, in un mondo separato, in una adolescenza che ha come perimetro le mura domestiche.
Mio padre, che aveva trapiantato a Magonza l’attività di mio nonno, stimava molto la Germania, ma vi si sentiva tuttavia sempre ospite. Mia madre era ancora più radicale. Era nata nel Sud Tirolo [Alto Adige] e aveva sin da bambina sviluppato in sé l’amore appassionato dell’“irredenta” all’Italia. Era stata, certo, educata a Merano in un istituto tedesco; ma colà appunto s’intensificò ancor più questa disposizione d’animo. Quando tre anni dopo il suo matrimonio si trasferì con mio padre, non lo fece volentieri e perciò il suo rifiuto di tutto quanto era tedesco si fece sempre più netto. A Magonza essa, fatta eccezione per alcuni rapporti di cortesia inevitabili, non intrattenne relazioni con nessuno; amava appassionatamente i suoi figli e viveva attivamente solo all’interno della sua casa. La domenica andava in chiesa, nei giorni feriali usciva per le faccende necessarie, per il resto stava in casa. In quest’ambito chiuso, per quanto stava in lei, trattenne anche noi33.
Romano e i suoi fratelli vengono così privati dei normali rapporti che rendono spensierata la vita di un bambino. Il mondo separato è un mondo protetto, ma senza particolare calore. Se il padre è l’eterno assente, la madre è sì presente, ma è una presenza che non abbraccia. Secondo Felix Messerschmid, che era parte della cerchia degli amici di Guardini sin dagli anni ’20, si trattava di una donna in cui «si compenetravano nella stessa misura autoritarietà e bontà. Nelle poche affermazioni di Guardini adulto riguardo a sua madre era difficile capire che cosa prevalesse, se il rispetto o l’attaccamento; quando glielo si chiedeva, rispondeva con un sorriso che significava che per un tedesco era in realtà impossibile capire un simile rapporto con la madre»34. Questo riserbo si nutriva di ricordi, dell’opposizione materna alla sua opzione “tedesca”, durante la prima guerra mondiale; del suo contrasto alla decisione del figlio di farsi sacerdote. Per altro non sono solo il padre e la madre ad essere distaccati. Anche i nonni materni, che abitavano a Colognola ai Colli in Italia, non erano da meno.
Noi passavamo però soltanto da un mondo chiuso in un altro: poiché la casa, nella quale dominavano le figure, guardate con soggezione, del nonno e della nonna, significava soltanto un cambiamento di luogo e di cose, non di condotta di vita, che anzi era persino più rigorosa che a casa nostra35.
Torna l’immagine del “mondo chiuso” e, con essa, la tristezza di un’infanzia negata. Il freddo distacco dei sentimenti trattenuti si trasferisce anche nel rapporto tra i fratelli, anch’esso bloccato nonostante il senso profondo dei legami: «I miei genitori – scrive – però mantennero il comportamento del loro mondo; così noi quattro fratelli, di cui io ero il più anziano, fummo educati in modo molto rigido, o più esattamente, secondo il vecchio stile. L’autorità dei genitori aveva valore assoluto, e in tutto si doveva essere giovani buoni, a modo, bene educati. Di indipendenza neppure si parlava»36. Si tratta di un quadro singolare, in cui distacco e amore si giustappongono senza amalgamarsi realmente. Come scrive Hanna-Barbara Gerl: «Che strani ricordi, quale tristezza di fondo!»37. È lo stesso Guardini a confermarlo. La sua condizione di estraneo, rispetto ai genitori e all’ambiente, ha il sapore amaro di una rinuncia, di un diritto alla felicità negato.
Così crescemmo totalmente in casa. La stanza dei bambini, poi, quando fummo più grandi, la stanza personale con letto, scrittoio, armadio, furono il nostro mondo. Il fatto che avessimo una istitutrice tedesca non cambiò nulla in proposito. Ciò che per gli altri giovani era ovvio, di stare insieme nel gioco e in ogni genere di occupazioni, mancò a noi quasi del tutto. In pratica non andavamo da nessuno e nessuno veniva da noi. Il risultato fu che delle cose della vita, che il giovane impara da sé a conoscere mentre sta con altri, io non ebbi alcuna esperienza38.
La mancanza di esperienza della realtà, del mondo, si esprime, retrospettivamente, in un’immagine sfocata del tempo della fanciullezza, come se esso non fosse stato veramente vissuto, come se fosse sognato.
Quando guardo indietro al tempo che va sino al mio esame di maturità, che sostenni all’età di diciott’anni e mezzo, ora mi sembra come se fosse velato. Perché sia così, non so. Sicuramente dal punto di vista psicologico deve significare ogni genere di cose; questo significato è certamente anche buono. Ho la sensazione che questo velamento, durato a lungo sino al tempo dell’università, e di cui è sino ad oggi rimasta una componente attraverso tutta la mia vita, con il suo esistere interiore, si colleghi anzitutto alla produttività spirituale. Nella mia fanciullezza e giovinezza devo aver vissuto una sorta di vita di sogno, di cui solo assai poco mi è rimasto nella memoria. […] Quando mi volgo indietro, tutto il tempo sino all’università è come velato. Anche dei primi ricordi infantili, che rendono troppo attraente l’inizio di tutte le biografie, niente mi viene in mente. Naturalmente con ciò non voglio affatto dire che quegli anni siano rimasti vuoti. Ciò che più tardi ho manifestato, deve pur aver avuto ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Introduzione
  6. I. ANTINOMIA E RICONCILIAZIONE
  7. II. CONOSCERE E AMARE. UN PENSIERO AFFETTIVO
  8. Conclusione