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«L’INSEGNAMENTO DI UN TEMPO E QUELLO ODIERNO»
a) Devozioni popolari
Favre, che non ha mai dimenticato i suoi primi anni1, è nato e cresciuto nella piccola valle dei Bornands, «piccolo mondo a parte», «sorta d’isolotto dove i costumi antichi si erano conservati per molto tempo, del tutto indipendenti dalle correnti di civilizzazione che avevano successivamente modificato le popolazioni delle grandi valli di passaggio»2. Non vi erano villaggi importanti: il Grand-Bornand contava, nel 1481, centoquaranta famiglie, circa ottocentocinquanta abitanti; Saint-Jean-de-Sixt cinquanta famiglie3; ecc. Ma aumenteranno rapidamente: la popolazione del Grand-Bornand, per esempio, sarà quasi raddoppiata nel 15614. La vita vi scorreva tradizionale e fortemente strutturata; la pietà, viva e solida. Quando il visitatore del vescovo passa nel paese, nel 1517, che trova da ridire? Alcuni furbi se la svignano al momento della processione – ma ogni astensione sarà punita ormai con un’ammenda di due soldoni –, altri chiacchierano al cimitero. Tutto sommato, niente di grave. Del resto la grande processione delle Rogazioni, che risaliva da Thônes a Saint-Jean, prevedeva una sosta per rinfreschi nella stessa Villaret5: la Chiesa non era dunque così dura verso la brava gente. Quanto ai poveri, le «cassette per le anime» raccoglievano delle elemosine che venivano loro distribuite.
A queste processioni e a queste litanie, che si ritroveranno nel Memoriale, si aggiungono frequenti contatti con la certosa del Reposoir, lì vicina6, e ben presto i soggiorni a Thônes e a La Roche, città più che borghi, e più aperte alle nuove correnti della pietà e delle idee. Nella chiesa di Grand-Bornand, Pierre trovava già cappelle dedicate a sant’Anna e alla Madonna del Rosario7, segnali di devozioni più recenti8. A Thônes, una cappella «eretta nuova» era dedicata alle cinque piaghe della Passione9. A La Roche, che stava per essere ricostruita dopo l’incendio del 1507 e la cui popolazione irrequieta si sarebbe presto sollevata contro le pretese eccessive del pievano, Favre trascorse parecchi anni presso Pierre Velliard: questo buon maestro insegnava la grammatica di Prisciano, commentava il Libro delle Sentenze di Pietro Lombardo e mostrava al suo piccolo mondo in che modo leggere cristianamente gli autori dell’Antichità10; aveva appena scritto, «spinto dalla passione e dal fervore di alcuni allievi»11, un trattato De modo componendi litteras; infine, aveva fatto della sua scuola un piccolo focolare umanista12. D’altra parte, egli proveniva da Cluses, dove, fondato da Jean Bourgeois13, fioriva un convento di francescani che il suo successo aveva arricchito14 e la cui biblioteca era ben fornita: non vi si trovano forse, dal 1479, il Livre des Anges, prima opera pubblicata a Ginevra nel 1478, e, dal 1526, il corso che il loro confratello Pierre de Cornibus, futuro maestro di Favre, aveva tenuto a Parigi15? Uomini e libri viaggiavano, dunque, e le idee circolavano con essi. I libri che furono stampati a Ginevra o a Chambéry prima del 1525 e che passavano così nella regione savoiarda permettono di precisare le preoccupazioni dominanti. Si trattava, oltre a dei romanzi di cavalleria, dell’Ufficio del Santo Sudario, delle Expositions des Évangiles, dell’Opus tripartitum di Gerson, ecc.16, senza parlare dei messali, degli almanacchi devoti, delle raccolte di preghiere e dei cataloghi di pellegrinaggi.
Le sante piaghe del Signore, gli angeli, i santi del calendario, le reliquie, la liturgia parrocchiale, ecco alcuni aspetti che caratterizzavano contemporaneamente la religione del paese natale e la preghiera del Memoriale. Certamente, Favre sta per lasciare le sue montagne. Come molti compatrioti, come Guillaume Fichet, che, nato sul Grand-Bornand, era passato alcuni anni prima alla scuola di La Roche17, subì la seduzione di Parigi:
Ma egli resterà fedele alla campagna. In armonia con i desideri del contadino, saprà sempre che cos’è la grazia del bel tempo19 e quale è la miseria delle campagne20. Rimarrà attaccato alle umili cose della religione, per predilezione; non si tratta di condiscendenza, ma di inclinazione del cuore: le litanie, il «catechismo dei piccoli», le belle cerimonie, le processioni dell’Assunzione e del Corpus Domini21. Se le ricerca, non è soltanto per gli altri, ma perché a lui piace pregare così; gusta queste devozioni universali e semplici. Così quest’uomo, le cui relazioni si estendono alle personalità dell’epoca e la cui corrispondenza è piena di nomi celebri, preferisce per la conversazione intima la gente modesta e dà loro un posto di privilegio nel suo Memoriale: il vagabondo «romero», i contadini sinistrati, un monello maleducato, il portinaio burbero, ecc.22, tali sono gli amici della sua meditazione; e i santi che intrattiene presso di lui non sono di un’altra razza: il fognaiolo che recuperò dalle cloache il corpo di santa Concordia, la povera donna curva che il Signore guarì, ecc.23.
Divenuto letterato, consigliere di grandi, anzi diplomatico, Favre non perde niente della sua semplicità e dei suoi gusti. Non rinnega le sue origini contadine e provinciali. In mezzo ai primi compagni gesuiti, figli di nobili famiglie spagnole o di funzionari, lascia la sua impronta e vi attira amici usciti come lui, e come molti uomini «nuovi» della sua epoca, da quelle campagne ricche di promesse: Jay, Broet, ecc. Questa vena popolare appariva fin nel Memoriale, malgrado il suo rivestimento spagnolo o latino: inventiva per creazioni impreviste, sensibilità franca, saggezza umile. Il suo diario è piantato su questo terreno, come attestano tanti termini rurali: l’albero, la radice, i rami, i frutti, la messe, ecc., e quelle «mani» del lavoratore, mani di Dio che creano e diffondono il bene24, mani dello Spirito che modellano25, mani dell’uomo, laboriose26, infaticabili27, mani che radunano il raccolto28 e progrediscono nel lavoro29. Tutta una simbolica illustra l’esperienza contadina che è stata, come il campo in cui Favre a dodici anni fece il voto di rimanere sempre casto30, il luogo delle prime esperienze religiose. È là che il piccolo pastorello ha conosciuto Dio. Egli non può dimenticarlo.
b) La regola ignaziana
Nel momento in cui Ignazio arriva al Collegio Sainte-Barbe, Pierre non è più un novizio, né nella vita...