Campi fascisti
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Campi fascisti

Una vergogna italiana

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Campi fascisti

Una vergogna italiana

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L'Italia non ha mai fatto i conti con la vergogna delle repressioni attuate dal regime fascista durante il ventennio, ma la democrazia ha bisogno di tenere viva la memoria degli eccidi, delle torture, delle violenze fasciste di cui fu pervaso il nostro Paese dal 1920 alla fine della seconda guerra mondiale. Una storia di abusi, odio, annientamento di ogni forma di opposizione politica e sociale di centinaia di migliaia di persone che hanno perso la vita a causa delle guerre sanguinarie che il regime proclamò fino alla Liberazione partigiana del 1945. Questo libro illustra, con una serie di esempi documentati, una verità sconosciuta: il numero dei luoghi di detenzione di ogni tipo che il regime aveva costruito per internare gli oppositori, gli antifascisti, gli ebrei, i «diversi» e i prigionieri di guerra utilizzati in campi di lavoro coatto e coercitivo. Prendendo spunto dal notevole lavoro on line www.campifascisti.it, l'autore racconta alcune esperienze e porta a conoscenza di un pubblico più vasto le verità scomode su quanto il mito «Italiani brava gente» sia un enorme e abominevole falso storico. Conoscere, sapere, raccogliere testimonianze è il vero antidoto affinché non abbia mai più a ripetersi una vergogna come quella del regime fascista.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816801271
Argomento
History

Sezione terza
NEL SUD

Estratto della mappa contenuta nel sito www.campifascisti.it che mostra i luoghi di internamento di vario tipo presenti in Molise, Puglia e nella provincia di Foggia.
Legenda:
rosso – campo di concentramento
giallo – campo per prigionieri di guerra
blu – località di internamento
rosa – carcere
bianco – de definire
arancio – luogo di confino [isole Tremiti]
Estratto della mappa contenuta nel sito www.campifascisti.it che mostra i luoghi di internamento di vario tipo presenti in Puglia, nella provincia di Brindisi.
Legenda:
rosso – campo di concentramento
giallo – campo per prigionieri di guerra
bianco – de definire
marroncino – campo distaccamento lavoro per prigionieri di guerra

LE ORIGINI DEL FASCISMO IN PUGLIA1

L’intera Puglia ai primi del ’900 era una lunga distesa di terre con culture poverissime. Braccianti e contadini poveri lavoravano sparsi su territori immensi, lontani dai loro paesi di origine specialmente nei mesi di raccolta.
Le rivolte dei contadini erano sporadiche ma violente e la polizia spesso sparava uccidendo i proletari indifesi. Nelle tre province pugliesi (Bari, Foggia e Lecce), il fascismo si manifestò come espressione di una borghesia contraria al rinnovamento emergente nelle campagne e negli strati popolari delle città.
Nei capoluoghi aderirono burocrati e piccoli borghesi, mentre nelle campagne furono i proprietari terrieri e le organizzazioni padronali degli agricoltori a creare i primi nuclei. La prima guardia armata, che poi è il nucleo dell’organizzazione fascista sorge a Cerignola nel 1921 e qui emerse la figura di Giuseppe Caradonna.
I prezzi dei generi alimentari aumentarono e le piazze si riscaldarono e questo comportò l’inizio della strategia fascista per generare terrore nelle campagne e nelle città. Molti erano quelli che emigravano.
Il fascismo, agli inizi degli anni ’30, cercò di porre un argine creando un altro fenomeno, quello del trasferimento di operai disoccupati e contadini verso l’Abissinia, la guerra di Spagna, verso i lavori pubblici che venivano compiuti in Albania.
Il 9 aprile 1931 il fascismo varò una legge che proibiva ogni tipo di trasferimento e affidava al maresciallo locale dei carabinieri il compito di predisporre fogli di via obbligatoria a quanti venivano sorpresi in paesi e città che non fossero quelli di loro residenza. I primi nuclei fascisti, e quindi i fasci, luoghi di aggregazione del movimento, sorsero intorno ai circoli della Marina e degli industriali con l’adesione di professori e ufficiali reduci della guerra. A Lecce e Foggia sorsero, invece intorno alle associazioni agrarie. A essi venne dato un ordine: la distruzione di quanti volevano introdurre il bolscevismo in Italia.
Il rosso era il colore del pericolo.
La nascita del fascismo va di pari passo con l’aspra lotta di classe preesistente: il fortissimo scontro tra padroni e contadini; in Puglia questo comportò uno spostamento verso il fascismo del padronato agrario.
Il successo del fascismo nelle campagne, coinciso con il periodo dell’autunno 1920, era dovuto al sostegno degli agrari che lo eressero a movimento di difesa dei propri interessi. Gli agrari che avevano subito nel primo dopoguerra l’occupazione delle loro terre e gli scioperi agrari (le occupazioni di terre continueranno nel Foggiano e nord Barese anche tra il 1920 e il ’21 e costituiranno una delle forme della lotta socialista alla violenza fascista in questi anni) avevano fondato e appoggiato le nascenti organizzazioni fasciste.
I grandi proprietari e i braccianti vivevano nella grandi «agrotown», fu qui ina fatti che si svolsero le maggiori battaglie in quanto la lottpolitica nel primo dopoguerra si distinse anche per il controllo dello spazio cittadino.
Sia i fascisti che i proprietari terrieri erano rappresentati da figure nuove, gli homines novi che utilizzarono il fascismo come una risorsa politica.
Alle origini del fascismo l’«ideologia della giovinezza» attrasse molti giovani che avevano ereditato il mito della guerra (appena conosciuta o non conosciuta affatto per motivi anagrafici), divenuta per loro un potente fattore di identificazione.
In questa zona abbiamo una forte presenza di minorenni all’interno delle organizzazioni fasciste. Le fonti della Questura reperite per la provincia di Bari mostrano una forte presenza di giovanissimi nelle azioni di violenza; si trattava in molti casi di minorenni accusati di reati anche molto gravi.
Il prefetto di Bari in una sua lettera al Ministero spiegava che la giovane età di coloro che commettevano reati non permetteva la punizione dei colpevoli nonostante la gravità dei reati. In genere, sosteneva il prefetto, la faccenda si risolveva con un’ammonizione informale in caserma e un rinvio ai genitori.
La gran parte degli scontri comincerà nel centro dei borghi rurali e poi si sposterà in campagna. Le città rurali della zona considerata erano così strutturati: un centro con un Corso principale attraversato dai palazzi dei signori e una piazza con una cattedrale. In genere questa zona abitata dagli agrari era separata dai quartieri popolari abitati prevalentemente dai contadini, braccianti a giornata. La forte divaricazione sociale presente in queste «agrotown» coincideva anche con una separazione degli spazi. Intorno al controllo degli spazi pubblici si combatteva la lotta per la conquista del potere politico nel primo dopoguerra. La presenza del sindacalismo rivoluzionario in Puglia, specie a Cerignola, roccaforte rossa e patria di Giuseppe Di Vittorio, rese gli scontri molto cruenti.
I giovani braccianti organizzati in leghe sindacali, sono i principali protagonisti degli scontri avvenuti tra il 13 e il 15 maggio 1921. Saranno questi a organizzare una resistenza armata per difendere i quartieri popolari.
Il sindacalismo rivoluzionario pugliese diede sin dall’inizio del Novecento e in particolare con gli scioperi del 1907 grande prova della sua forza e vitalità. A differenza che al Nord, la prassi dell’azione diretta era garantita a Cerignola non dall’eterogeneità sociale dei membri che componevano il movimento, ma dalle condizioni nelle quali versavano i componenti delle leghe contadine, nella maggioranza dei casi braccianti a giornata.
La forte divaricazione sociale tra le due classi, massari o proprietari terrieri e braccianti a giornata, aveva reso il conflitto nelle campagne più aspro che in altre parti d’Italia. La violenza fascista invadeva anche gli spazi privati. In questo caso si rompono i confini tra spazio pubblico e spazio privato e coloro che agiscono la violenza, in questo caso i fascisti, individuano uno spazio «compatto» da colpire nella sua interezza. Emerge da questa come da altre testimonianze, il sostegno fornito ai socialisti dalle donne dei quartieri popolari, legate ai gruppi socialisti, che avvertivano gli uomini della presenza dei fascisti e dei rischi che correvano, che andavano a parlamentare con i fascisti per evitare possibili violenze, che denunciavano alle autorità giudiziarie le violenze fasciste.
Le donne, quando si aprì il procedimento sui fatti del 15 maggio 1921, furono le prime a rilasciare testimonianze che accusavano i fascisti. Furono le mogli, le madri, le vicine di casa di socialisti accusati o fatti oggetto di violenza a puntare il dito verso i membri del locale partito fascista.
A partire dai primi giorni del mese e fino alle elezioni politiche del 15 maggio, a Cerignola la violenza sarà più forte negli spazi pubblici. La conquista degli spazi pubblici nelle mani dei socialisti dall’autunno 1920 divenne l’obiettivo principale della lotta fascista.
La volontà di dominare incontrastati era la ragione alla base dell’esercizio di questa violenza.
1 Rosanna Clemente, Origine del fascismo in Puglia, articolo su fascismoinpuglia.wordpress.com, 17 febbraio 2013.

ISOLE TREMITI LUOGO DI CONFINO E DEPORTAZIONE

Anticipazione storica del confino, come nacque

I precedenti del confino politico nel periodo liberale
Nella Roma antica, un individuo, qualora fosse stato giudicato pericoloso nei confronti dello Stato, anche senza aver commesso alcun crimine, poteva essere condannato all’esilio o ai lavori forzati1.
Usi affini erano presenti anche nei Comuni italiani del tardo Medioevo2. Nell’Ottocento, il Regno delle Due Sicilie, quello di Sardegna e lo Stato Pontificio erano soliti ricorrere al domicilio coatto o all’esilio per i sospetti in linea politica3.
È proprio nel codice penale sardo promulgato da Carlo Alberto di Savoia Carignano nel 1839 che compare il termine «confino», nel Libro I, Titolo I, Capo II dove si tratta delle pene correzionali (in tutto sei, ossia, ordinate secondo la loro gravità: carcere, ergastolo, confino, esilio locale, sospensione dall’esercizio dei pubblici uffizi, multa).
Per l’articolo 29 del codice in questione il confino consiste nell’obbligo ingiunto al delinquente di abitare in un designato comune nella distanza almeno di un miriametro e mezzo tanto dal luogo del commesso reato, quanto dal comune del proprio domicilio, e di quello della persona offesa o danneggiata.
Il periodo da trascorrere al confino poteva variare da tre mesi a cinque anni. Esso si differenziava dall’esilio locale in quanto nel secondo caso il condannato, sebbene costretto ad abitare a trenta chilometri dal Comune di residenza, o dove si era commesso reato, era libero di scegliere dove risiedere.
Erano puniti c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Prefazione
  6. Nota dell’autore
  7. Una premessa essenziale
  8. Sezione prima: Nel Nord
  9. Sezione seconda: Nel Centro
  10. Sezione terza: Nel Sud
  11. Bibliografia essenziale
  12. Articoli, fonti, documenti, materiali consultati e utilizzati
  13. L’autore