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La saggezza della terra

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La saggezza della terra

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In questo testo dedicato all'ecosofia, a quella saggezza della Terra che l'uomo ha purtroppo dimenticato di ascoltare, Panikkar offre una cornice interculturale-ermeneutica globale ai fini di instaurare rapporti equilibrati tra il sé e la Natura. Oggi il pericolo non viene dagli Dèi né dalla Natura, bensì da un mondo "arte-fatto" e fuori controllo che ha squilibrato l'intera Natura. In misura maggiore che in qualsiasi epoca del passato, le diverse culture hanno assoluto bisogno l'una dell'altra. Nessuna cultura, da sola - e le religioni, filosofie, scienze naturali sono fenomeni culturali - può pretendere di fornire la risposta ai problemi dell'esistenza. Non che vi siano universali culturali, tuttavia si trovano costanti antropologiche di base e visioni omeomorfiche della realtà. Nella sua globalità, la realtà si presenta in tre dimensioni reciprocamente irriducibili, ma ognuna delle quali presuppone l'altra: sono indicate dai termini Cosmo (materia/energia, Mitwelt cioè co-mondo), Uomo (consapevolezza, io/sé), Dio (abisso insondabile, energia, mistero inaccessibile). Qual è quindi il valore di questa intuizione cosmoteandrica del nostro rapporto con la Natura, basato sulla percezione della Realtà nel suo complesso e nelle sue parti, che fa tesoro della sapienza di tutte le epoche e le culture? Nella prima parte l'autore intende rispondere a tale domanda sviluppando nove tesi.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816800175
Categoria
Religion

Parte seconda
ECOSOFIA: UNA RIFLESSIONE INTERCULTURALE
*

* Traduzione dall’inglese di un testo inedito: Ecosophy, an Interculture Reflexion.
«Verità, Ordine, Consacrazione,
Ardore, Parola, Sacrificio
conservano la Terra;
possa ella, Signora che governa
ciò che è stato e ciò che sarà,
irradiare per noi un ampio dominio».
Bhūmi-sūkta1
La Terra, bhūmi, suolo e sostegno di tutto ciò che è venuto all’essere, è a sua volta conservata e sorretta da sei pilastri. La Terra viene nutrita e sostenuta da Verità (satya) Ordine (
r-dot
ta
), Consacrazione (dīk
s-dot
ā
), Ardore (tapas), Parola (brahman) e Sacrificio (yajña). La Terra non è materia inerte, né soltanto un pianeta o un semplice corpo celeste. La Terra è Madre Natura, è “colei” che è venuta all’essere (greco γιγνομαι, latino fieri) e, secondo l’idea vedica di realtà, è frutto di questi sei princìpi.
La nostra cultura dominante tecnocratica non ha solo modificato i nostri stili di vita ma anche i nostri modi di pensare e quindi sperimentare la realtà: come una necessità per la sopravvivenza. Del resto, se la nostra prassi non corrispondesse al nostro modo di pensare, saremmo vittima di una schizofrenia culturale che è poi il grande rischio dei tempi moderni.
L’inno dell’Atharva-veda non andrebbe letto come una semplice metafora poetica o, peggio ancora, come il prodotto di un pensiero «primitivo». Quell’inno dà invece voce a una diversa cosmologia, a un altro cosmo. La verità non è solo uno strumento epistemico, né l’ordine una semplice normativa giuridica. La consacrazione, o iniziazione, rappresenta il collegamento umano alla Terra, e l’ardore è quella energia che rende l’Uomo diverso dagli altri animali. La parola non si riduce a un termine strumentale, né il sacrificio a un rito superstizioso.
Il testo citato non è certo l’unico. Gli inni sullo skambha nello stesso Atharva-veda, il Puru
s-dot
asūkta
del
R-dot
g-veda
, così come molti altri testi di altre tradizioni rivelano un’idea diversa di ciò che continuiamo a chiamare il nostro oikos la nostra Terra, il nostro habitat antropologico. Nulla mi leva dalla testa il sospetto che la nostra scoperta dell’estensione dell’universo ci abbia abbagliati al punto da distrarci dalla sua (altra) grandezza. L’habitat umano è più grande e più ricco di uno spazio puramente materiale, o piuttosto: lo spazio è ben più della semplice distanza.
Non si tratta ovviamente di appiccicare le intuizioni dei Veda nella cornice della attuale cosmologia scientifica. La sfida è molto più radicale. La situazione mondiale non ci consente più di restare dei provinciali chiusi nella loro mono-cultura. Ma neppure si tratta di accettare acriticamente vecchie e obsolete immagini del mondo.2 Proprio perché non possiamo ignorare le rivoluzioni scientifiche, oggi la sfida dell’umanità esige da noi una trasformazione radicale – come ho sempre sostenuto. Questo stato di cose ha innescato una timida reazione, che si è diffusa in tutto il mondo con il nome di ecologia. E tuttavia, è la mia tesi, l’ecologia continua a operare sotto l’egida della cosmologia dominante.
Non sto dicendo che tutti i movimenti ecologisti siano superficiali, ma che adesso bisogna fare un passo da giganti. La parola ecosofia da un lato rende omaggio alla consapevolezza ecologica che va diffondendosi nel mondo, dall’altro ne allarga il significato partendo da una prospettiva più interculturale. Dobbiamo riscoprire il valore intrinseco di questa loka, bhūmi, Terra, di questo pianeta e della vita umana, senza più alienarci dal nostro ambiente. Si richiede una mutazione. Ciò a cui miro è di farci sperimentare la Terra come il fondamento primordiale sul quale non solo stiamo ma siamo - e senza dimenticare la dimensione divina. In altre parole, il mondo è anche una categoria di tipo religioso, a patto che non trasformiamo la religione in una setta. Toccherò questa complessa problematica da una sola altra prospettiva, anche se poi ne trarrò varie conseguenze.
Con il termine «ecosofia» (già usato da Arno Naess, ma con un diverso significato) non intendo una ecologia meglio specificata o più raffinata. La Rivoluzione industriale aveva anche una sua idea di mondo, come habitat umano in senso ristretto, e intendeva utilizzare la Terra al meglio, ossia al servizio dell’Uomo «re del creato e signore della Terra». In linea generale, la moderna ecologia non ha rinunciato a questa idea. Ha solo qualificato meglio il concetto alla luce dell’amara scoperta che, se vogliamo continuare a sfruttare la Terra, dobbiamo trattarla meglio, con più gentilezza, cosicché lei possa garantirci i suoi frutti più a lungo. Se necessario, ricorreremo al riciclo, ma l’atteggiamento di base resta lo stesso: «eco-logia» come sfruttamento razionale della Terra in quanto risorsa. Siamo ancora all’interno del mito scientista di matrice giudeo-cristiana.
È illuminante il fatto che una associazione ecologica molto seria, fondata nel 1982, si chiamasse Fondazione MacArthur per le Risorse Mondiali, come se la natura della Terra consistesse soltanto nelle risorse che offre all’uomo. Nel 1984 è uscito il magnifico e utile saggio Gaia, con il significativo sottotitolo: Atlante per la gestione planetaria… ancora con l’ossessione baconiana di dover gestire, cioè controllare un pianeta altrimenti selvaggio e inanimato. Le parole hanno un loro potere. Per questo non mi appare sufficiente – per quanto la apprezzi – l’espressione «ecologia profonda» (Warwick Fox e altri). Non è la Terra ad aver bisogno di cure. Siamo noi i malati. Abbiamo bisogno di ecosofia.
La ecosofia postula un cambiamento radicale nella nostra percezione sia della Terra sia dell’Uomo – e del Divino, aggiungo. I tre sono correlati. Il neologismo non intende semplicemente veicolare l’idea del nostro logos applicato al nostro oikos, la nostra razionalità applicata al nostro mondo, ma comunicare l’intuizione che né l’antropocentrismo né il razionalismo (anche nel senso migliore del termine) rendono giustizia al problema. L’oikos non è il nostro habitat personale, è la casa di tutti gli esseri, la bhūmi dell’inno dell’Atharva-veda; in essa abita anche il Divino.
L’oikos come viene inteso dalla ecosofia cambia completamente la nozione di Terra, sia in senso geologico che antropologico. Non si tratta solo dell’astronomico pianeta Terra dell’universo «scientifico», né solamente dell’orizzonte complessivo della consapevolezza umana (alla Husserl, Jaspers o Heidegger, ad esempio, con tutto il rispetto e l’ammirazione per questi pensatori). L’oikos del quale tentiamo di decifrare la sophia, o piuttosto di partecipare alla sua sapienza, richiama più da vicino il kosmos divino dei presocratici o la realtà descritta nel nāsadīyasūkta e nel puru
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asūkta
, i due celebri inni del
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: l’intera realtà nella quale viviamo e siamo. Ricorda anche il
r-dot
ta
dell’intuizione vedica, la totalità dinamica di tutti i processi del Reale. La ecosofia è vera sophia, autentica sapienza.
Gli antichi non erano del tutto in errore nel credere che la Terra fosse al centro dell’universo. Si sbagliavano solo dal punto di vista astronomico, così come i moderni sono fuorviati in senso geometrico, come se i postulati della nostra mente costituissero autentiche categorie cosmiche. L’Uomo non è il centro fisico, né il suo logos è il signore di tutto, e tuttavia la consapevolezza umana resta un parametro imprescindibile. A fuorviare potrebbero essere le metafore. È evidente che l’uomo non è il centro dell’universo. In un universo puramente astronomico costituito di semplice materia, sarebbe ridicolo porre al centro il corpo umano, proprio come in una democrazia individualista ed egalitaria la voce di un singolo individuo è quantité négligeable a fronte di 6 miliardi di altri individui. La ecosofia contesta tutti questi miti.
La «sapienza della Terra» cui si riferisce il termine «ecosofia» implica un genitivo tanto soggettivo quanto oggettivo. La ecosofia è sia la nostra sapie...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Prefazione
  6. Parte prima: ECOSOFIA, O IL RAPPORTO COSMOTEANDRICO CON LA NATURA
  7. Parte seconda: ECOSOFIA: UNA RIFLESSIONE INTERCULTURALE