Hegel, probabilmente
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Il movimento del vero

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Hegel, l'imponente filosofo, snodo fondamentale del pensiero dell'Occidente, ha sempre suscitato le mie resistenze. Non tanto per un'ostilità, quanto perché il suo formidabile sistema si annunciava come la fine di un'epoca. Ma Hegel spariglia sempre le categorie in cui i suoi lettori intendono rinchiuderlo. Il suo pensiero non si offre con facilità, ma invita il lettore a confrontarsi non tanto con ciò che Hegel afferma, quanto con il percorso in base a cui Hegel arriva a dire ciò che dice. Questo è il metodo che il filosofo propone: confrontarsi con una verità che è generata, che si fa in una storia; il prima e il poi non costituiscono una semplice successione, ma un movimento di cui non dominiamo completamente l'origine e la legge. Intorno a questa idea di verità lavorano le pagine di questo libro, suscitate dalla commozione per lo stile hegeliano, in quanto esso non riposa sulla presunzione di un possesso cosciente di sé e della realtà, ma sul riconoscimento di una lacerazione e di un negativo come strutture dell'io. La lettura di Hegel è anch'essa presa in questo spiazzamento continuo, in questa storia non lineare: alterità all'opera nel pensiero, processo che si genera nello spazio di un probabilmente.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816800984

Capitolo quinto

IL DOLORE DELLA STORIA
Nei capitoli precedenti ho cercato di rintracciare e circoscrivere, in angolature diverse e complementari del testo hegeliano, il senso di una divisione in cui l’io si costituisce e si mantiene. Tale divisione non è paralizzante: la lacerazione in Hegel è un brano e un atto della vita.
Questa lacerazione e la sua pensabilità in senso non distruttivo vivono e sono praticabili nella realtà della storia. Converrà ritornare alla Fenomenologia dello spirito per misurare le strutture di un prima e di un poi che marcano ogni anfratto del testo hegeliano, non come due punti in successione in un’immaginaria quanto inconsistente concezione lineare del tempo, ma piuttosto come una sorta di arco voltaico in cui si costituisce la vita della ragione.

Razionalità in questione

Alcuni passaggi del capitolo quinto della Fenomenogia ci guideranno.
Quando l’autocoscienza si considera come Idealismo, è come se il mondo le si offrisse per la prima volta. In precedenza non lo ha compreso, ma lo ha desiderato e trasformato con il lavoro; poi, ritraendosi da essa entro se stessa, lo ha annientato per sé e ha annientato se stessa come coscienza – ha annientato sia la consapevolezza che il mondo costituisse la propria essenza, sia la consapevolezza della nullità del mondo1.
Cioè la coscienza, proprio quando si considera come Idealismo, cioè abbracciante il mondo, come “essente ogni realtà” non regge se stessa, non regge la vertigine di sé come esistente prima di saperlo. In questo modo essa si annienta come coscienza perché essa è coscienza del mondo. Ma è proprio la coscienza del mondo che implica un altro da sé, che implica la consapevolezza che il mondo costituisce la propria essenza.
L’essere altro da sé non è una categoria e non è nemmeno un oggetto dominabile dal suo pensiero. La coscienza in quanto razionalità si snoda fra due nulla: quello della propria essenza e la consapevolezza del nulla del mondo.
Solo più avanti, e cioè dopo aver perduto il sepolcro della propria verità, dopo aver annientato il proprio annientamento della propria realtà, dopo aver colto la singolarità della coscienza2 (die Einzelheit des Bewusstsein) in sé, come essenza assoluta, solo allora l’autocoscienza scopre il mondo come il proprio (seine) nuovo mondo reale3.
L’avventura della coscienza è per Hegel l’incessante riscoperta della propria singolarità. È questa nozione di singolo l’aspetto più radicale e vertiginoso della filosofia hegeliana, nozione che sfugge e insieme contiene tutte le opposizioni (universale/particolare, interiore/esteriore ecc.).
Adesso nutre interesse verso il carattere permanente del mondo, mentre prima veniva attratta soltanto dal suo dileguare…4
Questi martellanti prima e dopo speculativi inaugurano e custodiscono la delicatezza e l’imprendibile piega, fondante, in cui l’io emerge nel dislivello inappropriabile (!) della sua singolarità.
Ciò avviene ed è leggibile sotto il patronato di Leibniz e a scorno di buona parte della critica hegeliana.
Adesso, nella sussistenza (Bestehen) del mondo, l’autocoscienza scorge la sua verità e presenza, e, nella sfera del mondo, è certa di fare esperienza unicamente5 di se stessa.
Si tratta di un percorso. La coscienza è ogni realtà, non soltanto per sé, ma anche in sé, solo perché diviene questa realtà, o meglio solo perché si dimostra tale lungo l’intero cammino già percorso.
Ora, quando entra immediatamente in scena come ragione, la coscienza, pur essendo tale verità, si lascia alle spalle quel cammino e lo ha obliato. E ciò equivale a dire: nel suo emergere immediato, la ragione si manifesta soltanto come la certezza di quella verità. La ragione asserisce soltanto di essere ogni realtà, senza però comprendere concettualmente tale asserzione: la comprensione concettuale di tale affermazione espressa immediatamente, infatti, è quell’intero cammino dimenticato. Analogamente per colui che non ha percorso tale cammino l’affermazione risulta incomprensibile in tale sua forma pura, benché egli possa giungere facilmente da sé a esprimerla in una forma concreta6.
La coscienza può pensare: io sono mancante. Può anche pensare: non c’è nulla oltre me. Ma non concepisce questi asserti come generati, come effetti di un percorso, esito di un divenire, di un cambiamento. Perciò tali asserti rimangono meri asserti. La differenza fra idealismo e “materialismo” sembra essere perciò paradossalmente pratica: riguarda un ripercorrere l’origine della differenza. Questa è la loro “verità”.
L’io riposa su un’alterità costitutiva che si dà, originariamente imprendibile. Dalla Categoria alla singolarità dell’io non si tratta di istanze esistenziali, ma della struttura della verità della ragione. L’essere altro non è una Categoria, non è oggetto dominabile dal suo pensare.
D’altra parte, in quanto unità negativa, la Categoria pura esclude da sé non solo le differenze in quanto tali, ma anche la prima e immediata unità pura in quanto tale: allora la Categoria pura è singolarità, una nuova categoria che è coscienza esclusiva, tale, cioè, che un altro è per essa. La singolarità è il passaggio della Categoria pura dal proprio concetto a una realtà esterna, è lo schema puro, cioè: tanto coscienza, quanto – come singolarità e uno esclusivo – rinvio a un altro7.
Il problema dell’autocoscienza in rapporto alla ragione costituisce il problema del suo (sein). Che l’autocoscienza non sia sua (sein), che essa non sia proprietaria del suo essere, che essa sia generata, è un problema che non ha risoluzione meramente teoretica, ma piuttosto etica.
È in questione “lo schiudersi del regno della eticità”8.
Nell’astrazione dell’universalità, questa sostanza etica è soltanto la legge pensata. Essa è però, altrettanto immediatamente, anche autocoscienza reale, cioè ethos. La coscienza singolare invece è questo Uno – questo Uno essente – solo quando, nella propria singolarità è consapevole della coscienza universale come del proprio essere, solo quando la propria esistenza e attività costituiscono l’ethos universale. Il concetto della realizzazione della ragione autocosciente ha di fatto la propria compiuta realtà nella vita di un popolo9.
In questo senso già in questi paragrafi del quinto capitolo della Fenomenologia Hegel avvia il discorso secondo cui l’etica è pensabile come storia. Realtà e coscienza non sono pensabili come strutture pre-fabbricate: esse si danno originariamente in un intreccio che è indipanabile per uno sguardo dal di fuori. Il chiarimento del rapporto fra la coscienza e la realtà come razionalità è etico, non teoretico o meglio è teoretico in un senso ospitato originariamente da un dislivello generativo quanto imprendibile. La storia e la storicità nel linguaggio hegeliano non funzionano come linee e/o alvei di uno sviluppo, ma come spazio di un costituirsi, luogo di nascita di un significato.
È di questa non signoria che l’uomo intrattiene con l’origine che Hegel vuole avere scienza. Non si tratta solo di riconoscere la natura vivente e non padroneggiabile della dialettica, nel pensiero e nelle cose, ma si tratta di avere scienza di tale natura.
La modalità di questa scienza è l’azione: infatti “l’agire è il divenire dello spirito come coscienza”. Dunque il problema della scienza di un non proprio originario nel movimento dell’autocoscienza coincide con il problema della scienza del compiersi dell’autocoscienza.
«Inizialmente l’autocoscienza è spirito soltanto immediatamente e secondo il concetto». Essa si trova allora fuori da questa condizione felice che consiste nell’aver raggiunto la propria destinazione. In altri termini: l’autocoscienza non ha ancora raggiunto tale felicità.
Per un verso è necessario che la ragione esca da questa condizione felice (aus diesem Glücke heraustreten), Solo in sé, solo immediatamente la vita di un popolo libero costituisce l’eticità reale (reale Sittlichheit), mentre l’eticità essente (seiende) è invece lo stesso spirito universale ancora disperso nella singolarità. La totalità dei costumi e delle leggi è una sostanza etica determinata (eine bestimmte sittliche Substanz) che ha il proprio limite solo nel momento superiore, cioè nella consapevolezza sulla propria essenza: la sostanza etica ha la sua verità assoluta solo in questa conoscenza, e non nell’immediatezza del suo essere. In questo essere la sostanza etica resta ed è a un tempo la limitazione assoluta (absolute Beschränkung) proprio perché lo spirito è nella forma dell’essere10.
La felicità non è il godimento immediato. Il singolo è tolto e conservato nellüuniversalità: non nel senso che si distrugga nel gran mare dell’umanità, ma nel senso di una soggettività più radicale che riguarda il non proprio costitutivo del singolo.

Agire in proprio? Le avventure dell’etica

La prospettata compenetrazione di singolarità e di universalità è affrontabile e pensabile come attività.
I singoli momenti di questa pienezza e compenetrazione sono i fini considerati fino a questo punto. Questi fini sono dileguati come astrazioni e chimere che appartengono alle prime figure (Gestalten) caduche della autocoscienza spirituale, e la cui verità risiede non nella ragione, ma soltanto nell’essere che viene opinato dal cuore, dalla presunzio...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Epigrafe
  6. INDICE
  7. La negazione nuova. Preambolo
  8. Capitolo primo: DIS-LOCAZIONI DELL’IO
  9. Capitolo secondo: HEGEL E LA GENERAZIONE DEL SIGNIFICATO
  10. Capitolo terzo: IL MOVIMENTO DELLA VERITÀ
  11. Capitolo quarto: L’INCONSCIO DELL’ANIMA. HEGEL E LA SCIENZA DELL’ORIGINE
  12. Capitolo quinto: IL DOLORE DELLA STORIA
  13. Capitolo sesto: IL DIO DEI VIVI
  14. Capitolo settimo: HEGEL CON GIOACCHINO
  15. APPENDICI
  16. Nota