Il professore e il patriarca
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Il professore e il patriarca

Umanesimo spirituale tra nazionalismi e globalizzazione

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Il professore e il patriarca

Umanesimo spirituale tra nazionalismi e globalizzazione

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Due persone molto diverse s'incontrarono nell'agosto 1968 ad Istanbul, crocevia di storie e mondi: il professore francese, Olivier Clément, quarantasette anni, e il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Athenagoras, ottantadue anni, vissuto tra l'Oriente ottomano e nazionalista, gli Stati Uniti e infine la Turchia. Il motivo era un'operazione editoriale. Ma fu un incontro da cui scaturì un messaggio che parla ancora oggi. Sullo sfondo la "rivoluzione" del '68. Nel colloquio affiorano molte domande sul futuro del mondo, sul cristianesimo in un tempo non più religioso o religioso in modo diverso. Oriente e Occidente si parlano. In queste pagine si ripercorrono anche le storie dei due personaggi. Dal loro intreccio, sgorga un messaggio di umanesimo spirituale. Quale futuro per il cristianesimo, l'Occidente e l'Oriente alle prese con l'Islam? Stupisce l'emergere, durante la guerra fredda, della percezione dell'aurora di un mondo globale. Per me, scrivere questo libro è stato immergermi in una vicenda personalmente rilevante. La mia esistenza di giovane (allora) e di credente è passata attraverso il '68, le sue discussioni e crisi. Nel clima del Vaticano n, ho sentito come il cristianesimo dovesse rivolgersi di più ad Oriente. Incontri, letture e l'attrazione verso figure e luoghi. Tra questi, Istanbul e Athenagoras, e poi l'amicizia con il suo "biografo", Clément, pensatore originale e cristiano profondo. C'è in queste pagine un'indicazione - quasi la mappa di un itinerario - per il cristianesimo, diviso, investito dalla secolarizzazione e poi dalla globalizzazione, bisognoso di un ressourcement alle radici. Non la fuga in un fortilizio della fede o dei valori tradizionali, ma l'assunzione delle fratture del nostro tempo. Oggi si comprendono meglio le idee e le indicazioni suggerite dalle storie dei due personaggi e dai lontani colloqui del 1968.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816800038

III
CONVERSAZIONI SUL BOSFORO

Un libro di successo
Nell’estate 1968, Olivier Clément si recò a Istanbul per realizzare il libro intervista con il patriarca Athenagoras. Gli era stato richiesto dalle Edizioni Fayard, impressionate dal successo del libro di conversazioni di Paolo VI con Jean Guitton, pubblicato nel 1967. Così avevano pensato a un’operazione analoga con Athenagoras. L’uomo giusto per condurre a buon fine una simile impresa era Clément, voce ortodossa nel dibattito religioso in Francia. Il patriarca era entrato nelle cronache del mondo occidentale dopo il suo incontro con Paolo VI a Gerusalemme nel 1964 e per aver ricevuto – altro fatto inedito – la visita del papa a Istanbul nel luglio 1967. Insomma non si trattava di una figura sconosciuta in Occidente: rappresentava l’«altra parte» del cristianesimo.
Il libro delle conversazioni tra il patriarca e il professore era destinato a divenire un testo rilevante della spiritualità della seconda metà del Novecento. Dialogues avec le patriarche Athénagoras è pubblicato in prima edizione nel 1969 e poi in seconda edizione nel 1976 con una lunga postfazione, in cui si narra la morte del patriarca nel 1972, raccontata dal metropolita Melitone, il più stretto collaboratore del defunto. L’opera rappresenta in modo efficace, anche dal punto di vista letterario, il dialogo tra due mondi: l’Oriente e l’Occidente. Del resto Clément è un passeur: «un traghettatore tra i mondi cristiani d’Oriente e d’Occidente. Un traghettatore è un rivelatore di unità, di relazione»1.
Athenagoras era noto in Occidente, soprattutto negli ambienti cattolici, per l’incontro a Gerusalemme con Paolo VI, fatto unico nella bimillenaria storia del cristianesimo2. Era stato un evento voluto tenacemente dal patriarca e che si doveva in larga parte alla sua coraggiosa iniziativa: appena appresa la notizia del viaggio di Paolo VI in Terra Santa, questi aveva proposto una riunione di tutti i primati delle Chiese con il papa a Gerusalemme, ma Roma non aveva colto il significato della proposta (erano iniziative che interessavano poco il Vaticano di allora). Athenagoras «era stato colpito dall’idea che un papa di Roma lasci Roma»3. Per lui, il viaggio del papa era il segno che il papato usciva dalla sua autoreferenzialità, mentre la visita a Gerusalemme assumeva un valore simbolico: il ritorno alle origini cristiane. Quindi il patriarca pensò di recarsi nella città santa per incontrare Paolo VI.
L’incontro fu un evento sorprendente per l’opinione pubblica e per gli stessi protagonisti. Papa Montini, dopo aver parlato con il patriarca, tornò a Roma con la sensazione che non solo erano archiviati i secoli dello scisma, ma che si apriva una stagione di rapidi avvicinamenti. Forse l’unità non era lontana. Era una sensazione diffusa anche tra i cattolici che, per la prima volta nella storia, guardavano con rispetto a un gerarca ortodosso, considerato fino allora uno scismatico da evitare. La popolarità di Athenagoras tra i cattolici era un fatto nuovo, che giustificò l’interesse dell’editore Fayard. Questi intendeva presentare al pubblico francese un cristianesimo sconosciuto attraverso l’intervista al patriarca.
La popolarità del patriarca rappresentava anche una realtà di grande portata teologica. Un patriarca ortodosso (fino a poco prima la stampa cattolica scriveva «pseudo-ortodosso») poteva diventare una figura di riferimento per i fedeli della Chiesa di Roma? Poteva essere una figura cui i cattolici si rivolgevano con devozione? Da allora l’attenzione del popolo cattolico al patriarca di Costantinopoli è continuata, in parte con il suo successore Dimitrios (meno noto in Occidente e che non parlava alcuna lingua straniera), ma soprattutto con Bartolomeo, alla guida del patriarcato dal novembre 1991. È un fatto «teologico» poco esplorato, ma rilevante ed espressivo dei nuovi rapporti tra cristiani dagli anni Sessanta: la devozione cattolica a un leader di un’altra Chiesa. Tanto che, prima del conclave del 2005, il francese card. Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, arditamente propose di eleggere il patriarca Bartolomeo al papato per creare l’unità con gli ortodossi, trovando diffuse perplessità tra gli altri cardinali4.
Il viaggio di Clément a Istanbul avvenne dopo «l’abbraccio di Gerusalemme» tra il papa e il patriarca, ma anche dopo l’iniziativa montiniana di recarsi – nel luglio 1967 – a Istanbul senza aspettare la visita del patriarca a Roma (come sarebbe dovuto avvenire per il fatto che Roma era la prima sede del mondo cristiano, riconosciuta come tale anche dall’Oriente). Mai un papa era stato nella capitale dell’ex impero ottomano, antica sede dell’impero bizantino, divenuta la maggiore città della Turchia laica e kemalista. L’ambasciatore italiano ad Ankara testimonia con quale attenzione le autorità turche ricevettero il papa, dislocandosi all’aeroporto di Istanbul, accanto – fatto inedito in un paese laico – agli esponenti delle religioni, tra cui il patriarca ecumenico5. Paolo VI, con la sua visita, tra l’altro aveva sostenuto il patriarca che aveva rapporti difficili con il governo laico e nazionalista di Ankara, e a cui fu concesso, dopo la visita del papa a Istanbul, di ricambiarla recandosi a Roma. Così Athenagoras, dopo aver visitato le Chiese ortodosse di Jugoslavia, Bulgaria e Romania, giunse a Roma il 26 ottobre 1967.
I giorni del patriarca a Roma furono un grande evento, pubblicizzato dai media cattolici e occidentali con dovizia di particolari: «Chi ha vissuto personalmente – scrive il card. Bea, responsabile vaticano dell’ecumenismo – quelle veramente indimenticabili giornate del soggiorno romano del patriarca di Costantinopoli e in particolare le accoglienze che gli furono tributate in S. Pietro… stenta a ricordare un’altra festa simile, talmente densa di applausi, così spontanei ed entusiastici, fragorosi e quasi incontenibili»6. Il cardinale era un anziano prelato tedesco, un gesuita non proclive alle emozioni. Il padre Duprey, coinvolto nella preparazione degli incontri del papa e del patriarca, mi ha raccontato anche l’emozione dell’anziano Eugène Tisserant, orientalista e decano del Sacro Collegio dei cardinali, che aveva accompagnato Athenagoras durante i giorni romani: era commosso al momento dei saluti finali, esprimendo la coscienza di aver vissuto un grande evento7.
Varrà come ulteriore esempio la vicenda degli studenti di un Liceo classico romano, il «Virgilio», che si erano già recati a Istanbul nell’aprile 1961 con il loro preside, una personalità di particolare sensibilità, Giuseppe Dall’Olio, accompagnati da un prete studioso di patristica, Emilio Gandolfo. Di fronte al gruppo di studenti, il patriarca si era lasciato andare a un discorso impegnativo sull’unità, trasmesso dal preside alle autorità vaticane: «Venite da una Chiesa con la quale abbiamo tutto in comune, lo stesso Signore, lo stesso Vangelo, la stessa fede, gli stessi martiri del Colosseo. Se ci sono differenze non bisogna dimenticare che al di sopra e al di la di esse vi è lo spirito di carità».
Il metropolita Damaskinos Papandreu, uno dei figli spirituali di Athenagoras, interpretava il clima d’interesse per il patriarca come una sete di unità, diffusa tra i cristiani. Ma era anche il frutto di scelte del papa e del patriarca: «anteporre il dialogo della carità al dialogo teologico era un atto… dettato dall’incapacità dei teologi… di evitare l’introversione confessionale e polemica…»8. Il pensiero teologico si era cristallizzato e ideologizzato, tanto che l’avrebbero rimesso in movimento solo gesti capaci di toccare i sentimenti dei fedeli e di promuovere una nuova e più larga coscienza. L’incontro nel 1964 e le visite del papa e del patriarca nel 1967 rappresentarono bene la stagione di «dialogo della carità» tra Roma e Costantinopoli: non erano solo eventi di vertice ma coinvolgevano anche i fedeli. Nel 1968, era una stagione di grandi speranze ecumeniche: sembrava che la distanza tra cattolici e ortodossi si fosse rapidamente accorciata e l’unità non fosse lontana. Subito dopo la visita di Paolo VI a Istanbul, il patriarca così diceva all’ambasciatore d’Italia: «Io, differenze non ne vedo, quindi per me l’unione esiste già»9.
Il professore francese e il vecchio orientale
Clément arrivò a Istanbul scosso dalle vicende della contestazione. Aveva creduto nella comunicazione facile tra generazioni (vissuta fin allora con entusiasmo nell’insegnamento), ma anche nel valore della cultura, con quella forma mentis ereditata dalla formazione universitaria e classica. C’erano ancora davvero una cultura e una tradizione da trasmettere? I giovani avevano bisogno di questo? Perché lo rifiutavano in modo così improvviso e radicale?
Infatti, la trasmissione della cultura e della fede appariva messa in discussione in maniera aprioristica e globale dalla generazione del ’68. Non era uno scambio critico e dialogico tra punti di vista diversi. Nella «liturgia» delle manifestazioni studentesche per le vie di Parigi, come nella rivoluzione dei comportamenti sessuali e dei rapporti familiari, ma anche nei rapporti personali a scuola e in famiglia, Clément aveva colto come «il padre sia messo a morte». Con la rottura tra i giovani e la generazione dei genitori e degli insegnanti (per così dire), si manifestava la morte del padre: con il padre moriva ogni autorità e si arrivava – in un modo paradossale – alla stessa «morte di Dio». Non si trattava tanto della «teologia della morte di Dio», sostenuta da alcuni teologi anglosassoni o delle intuizioni di Dietrich Bonhoeffer, quanto del rifiuto radicale della fede da parte della generazione del ’68. Così scriveva Clément:
Le forme tradizionali di paternità – lo si è visto bene durante la crisi di maggio – sprofondano definitivamente. Nella simbolica religiosa fino nelle forme della vita politica e sociale, nell’innalzamento dei poveri, dei colonizzati, delle donne, degli adolescenti – ma anche laici contro «casta sacerdotale» –: ogni autorità paterna è percepita… come una relazione padrone-schiavo10.
In una condizione inquieta, il professore, sconcertato dal rifiuto totale di dialogo, andò a incontrare per la prima volta il patriarca d’Oriente. C’era un libro da scrivere, ma anche un mondo da conoscere. Quel viaggio a Istanbul, da un punto di vista esistenziale, acquistò un significato profondo. Sui muri della Sorbona erano scritte le espressioni contraddittorie del movimento sessantottino. Una, in particolare, sottolineata da Clément, diceva: «la vita è altrove».
Clément andò alla ricerca di un «altrove» rispetto alla vita di Parigi e al ’68. L’«altrove» era nell’antica Costantinopoli. Andò da Athenagoras, anziano ottantaduenne: era nato il 25 marzo del 1886 a Tsaraplana, nell’Epiro ottomano, ora località del Nord della Grecia al confine con l’Albania. Il patriarca aveva vissuto da trentenne la prima guerra mondiale. Clément, nato nel 1920, aveva invece vissuto da ventenne la seconda guerra mondiale. Appartenevano a due generazioni diverse: il patriarca a quella della prima guerra mondiale, che aveva segnato la fine degli imperi, tra cui quello ottomano; il professore a quella della seconda guerra mond...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Introduzione
  6. I: LA ROTTURA DEL ’68 E IL PROFESSORE
  7. II: SENSO DELLA VITA E SENSO DELLA STORIA
  8. III: CONVERSAZIONI SUL BOSFORO
  9. IV: LA STORIA DI UN ORIENTALE
  10. V: VISIONE DEL MONDO
  11. VI: CHIESE SORELLE, POPOLI FRATELLI
  12. VII: TRA PARIGI E ISTANBUL
  13. VIII: LA MORTE E L’EREDITÀ DEL PATRIARCA