Manzoni filosofo
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L'invenzione della parola. In dialogo con Antonio Rosmini

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Manzoni filosofo

L'invenzione della parola. In dialogo con Antonio Rosmini

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Quello tra l'autore dei Promessi Sposi e Antonio Rosmini è un dialogo temerario e "provvidenziale" che restituisce al lettore la radicalità del Manzoni filosofo, impegnato a sondare i temi capitali dell'origine del linguaggio, la nascita delle idee e della creazione artistica e la giustizia. Nel profluvio di studi e iniziative manzoniane, se non è passato completamente sotto silenzio il Manzoni filosofo, non si può dire che abbia avuto una considerazione adeguata. Si tratta di una mancanza non irrilevante, se si pensa al ruolo centrale, in quegli anni di svolte cruciali sia per la cultura «laica» sia per quella cattolica, del dibattito sul problema del linguaggio. Il libro mette a tema e cerca di ricostruire il dialogo, svoltosi per più di un decennio, tra Manzoni e Rosmini. Un dialogo filosofico, che pone il problema del rapporto di un soggetto con la verità di sé. Cosa facciamo quando pensiamo? Qual è il ruolo della parola? Qual è l'origine del linguaggio? Sono queste alcune delle domande che attraversano le discussioni, i dialoghi di questi due grandi uomini e che ci consegnano l'esperienza viva di una meditazione filosofica vera, testimonianza di una amicizia profonda, sincera, schietta, che si fa sempre più intensa, e che, mentre si approfondisce, approfondisce il rapporto dei due amici con la verità.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816800649

Capitolo terzo
DELL’INVENZIONE. LE GRANDI DOMANDE DEL DIALOGO

1. Le acque che congiungono. La ripresa del dialogo fra Manzoni e Rosmini

«E il lago ameno (dacchè le acque sempre congiungono meglio che disgiungere) doveva avvicinarli per buona stagione dell’anno, stringere più la loro famigliarità, e rendere i colloqui più ispirati nel cospetto di quella quieta natura, e più fecondi d’idee alla mente e di merito al cuore»1.
«Mi riverisca affettuosamente il nostro Rosmini, che desidero tanto rivedere, e di cui sto ora rivedendo il Saggio, col più grande interesse»2.
Abbiamo già accennato a questa lettera del Manzoni a Mellerio del 19 agosto del 1833. Possiamo sottolineare, in questo stralcio che abbiamo riportato, l’importanza di quel gerundio presente «rivedendo», possiamo anche sottolineare il prefisso iterativo di quel gerundio; possiamo inoltre soffermarci su quel sentimento di profonda curiosità e attenzione, su quel coinvolgimento attivo implicito nel sostantivo «interesse» per indicare che il silenzio epistolare di Manzoni non era stato privo di frutti. Manzoni studiava ancora il Nuovo saggio.
Fra le righe della lettera si legge pure un’accennata diponibilità a riprendere il dialogo con Rosmini, che desirava tanto «rivedere».
Il Roveretano, come sappiamo, non si era mai rassegnato al silenzio del Manzoni: «fate grazia di mandarmi a salutare il Manzoni ed il Litta» – aveva scritto il 29 novembre del 1831 a Mellerio – e chiedeva: «se potete conoscere dal primo che impressione gli fece la mia lettera lunga, e s’egli sta preparando un replica, n’avrei piacere»3. Nel gennaio del 1832 aveva portato a conoscenza di Tommaseo d’aver ricevuto da Manzoni due lettere: «tutte e due brevissime»4, dove si può rilevare l’amarezza di quel superlativo. Sempre a Tommaseo il 24 febbraio di quello stesso anno: «Cercherò che vi siano copiate le due lettere del Manzoni e la mia risposta che voi terrete sotterra; ma il Manzoni non fa che un cenno del suo pensiero, come vedrete»5.
Malgrado la rinnovata disponibilità manzoniana, bisogna aspettare il 1836 per ritrovare una regolarità nei rapporti fra i due grandi uomini. Scriveva Rosmini a Manzoni il 1° maggio del 1836:
Non voglio aspettare il mio ritorno a Milano a recarle il libretto delle Massime di Perfezione, ma darglielo subito tale e quale io l’ho. Le cose che vi si trovano aggiunte manoscritte mostrano, senza che io lo dica, che a Lei solo può essere affidato. Al mio ritorno se avrà potuto leggerlo, n’avrò, con molto mio contento, il Suo parere6.
E il 31 maggio sempre Rosmini:
L’indulgenza, la pazienza, e la benevolenza che io trovo nel mio carissimo e veneratissmo Don Alessandro mi fece promettere di mandarle il Panegirico di Pio VII, ed ora mi fa mandarglielo in adempimento alla promessa. Se Ella continuando ad essermi così paziente, indulgente e benevolo come per lo passato, il vorrà anche leggere, se vorrà dirmene l’impressione che Le farà, se di più vorrà aggiungermi qualche particolare osservazione, Ella farà un’opera da par suo, cioè un’opera buona, perché è un’opera buona il rallegrare, il confortare e l’istruire il prossimo7.
Dal 1836 in poi tutto il carteggio fra Rosmini e Manzoni è costellato da lettere di questo genere. Di questa ritrovata corrispondenza Rosmini è entusiasta: lo dice agli amici, ne parla spesso nella sua corrispondenza con altre persone8. Se mancano per qualche periodo delle lettere fra i due è perché o Rosmini si trovava altrove – magari a Milano – o Manzoni si trovava a Lesa nella villa di Stefano Stampa – di cui Manzoni parlava sempre «col miele in bocca», dice Teresa Borri9 – e i due potevano incontrarsi di persona.
Il Rev.mo Mons. Wiseman, che passa da Milano mi chiede una lettera pel Manzoni: inutilissima cosa per Monsignore, raccomandato da tanti suoi meriti; ma non inutile per me, che con questa occasione posso ricordare a Don Alessandro le sponde del Lago Maggiore, e Lesa che con lungo desiderio l’attende, e sopra tutto poi il suo Rosmini10.
Al desiderio di Rosmini di incontrare presto Manzoni, espresso in questa lettera del 26 del ’43 corrispondeva quello di Manzoni. Così scrive il poeta il 14 febbraio dello stesso anno:
Spero di poter passare qualche giorno a Lesa questa primavera; e non occorre dirle che i belli per me saranno quelli in cui mi sia dato di veder Rosmini, et veras audire et reddere voces11.
«Ed ascoltare e rispondere vere parole», questa citazione del primo libro dell’Eneide di Virgilio che Manzoni ripete è significativa. Più sopra, nella stessa lettera, aveva scritto:
con viva riconoscenza, e con ugual piacere, ho ricevuto la nuova parte delle Sue opere; ho letto gli Opuscoli filosofici che non conoscevo ancora; e ho ammirato, secondo il solito, codesta Sua dialettica così acuta nello scoprire gli errori dell’obiezioni, e, ciò che è più, ma molto più, così profonda nello scoprirci l’omissioni. Anzi non è soltanto più; è altro; e lì la dialettica non è che un’attenta, agile e robusta serva12.
Una decina di giorni dopo rispondeva Rosmini:
Ella mi dice d’aver voluto leggere i miei opuscoli morali e me ne parla in modo da farmi sentire il vero ed il bello di quel detto: philosophia paucis est contenta judicibus, ed anzi voleva dire di quell’altro: uni magis quam universis placere13.
Già sappiamo che nell’occasione di questo soggiorno Manzoni aveva dato da leggere a Rosmini il primo capitolo della quinta redazione Della lingua italiana, che questi gli restituì con una lettera del 14 ottobre, ben nota agli studiosi per le rilevanti considerazioni critiche del filosofo su quella questione che stava tanto a cuore all’autore dei Promessi sposi. Non ci soffermiamo qui su questo tema. Abbiamo già accennato all’apprezzamento di Rosmini del carattere squisitamente «filosofico» con cui l’«acume manzoniano» aveva condotto le sue argomentazioni sull’identificazione della lingua italiana, quando abbiamo sintetizzato proprio con le parole del Roveretano, i due principi, quello dell’integrità e quello dell’identità dei vocaboli, che stanno alla base del discorso di Manzoni.
Erano «giorni dolcissimi» quelli passati da Manzoni al «Lago» – scriveva Pestalozza a Rosmini nel dicembre del ’43 –. Quelle passeggiate, quelle lunghe discussioni, diventavano sempre di più un aiuto a vivere «al di sopra di ogni tempesta»14.
Ed era proprio una «tempesta» quella che si era abbattuta su Rosmini in quelli anni: già dai primi mesi del 1840, le sue accuse di lassismo, ma soprattutto alcune interpretazioni che, nel suo Trattato della Coscienza Morale, egli aveva proposto sulle nozioni di «peccato» e di «colpa», soffermandosi “di passaggio” sulla dottrina del peccato originale, avevano provocato una forte contestazione delle sue tesi soprattutto da parte dei Gesuiti.
A questa prima polemica il papa Gregorio XVI, il 1 marzo 1843 aveva posto termine, imponendo con un decreto – dopo aver sentito il parere di una Congregazione di sette cardinali – il silenzio ad entrambe le parti, vale a dire sia a Rosmini che ai suoi avversari15.
Se la polemica era sopita, la questione però non era risolta. E non passarono molti anni che, con la salita al soglio pontificio di Pio IX, la polemica contro Rosmini si sarebbe riaccesa, aggravata da motivazioni politico ecclesiastiche che si aggiunsero a quelle teologiche.
Rosmini, per conto del regno sabaudo, si era impegnato in una difficile missione diplomatica a Roma, presso lo Stato romano e il Pontefice Pio IX, tra l’agosto e l’ottobre 1848. Non è il caso di soffermarci qui su questa vicenda che aveva portato Rosmini a intrattenersi in complicate trattive per favorire il progetto di una Confederazione fra i diversi stati italiani sotto la presidenza, almeno onoraria, del Pontefice, per conto del Governo Piemontese e su suggerimento di Gioberti che allora ne faceva parte. L’esito dell’incarico, per le gravi circostanze che intervennero al di là di ogni previsione dei suoi mandanti, fu un tale insuccesso16 che allontanarono irrevocabilmente la nomina a cardinale, che pure il Papa gli aveva annunciato al loro primo incontro; mentre le «persecuzioni» del S. Uffizio lo seguirono prima a Gaeta e poi a Napoli, mettendo sotto accusa le idee coraggiose, espresse dal filosofo nelle operette morali. La S. Congregazione dell’Indice, radunatasi a Napoli nell’agosto del ’49, fece condannare e mise fra i libri proibiti La costituzione secondo la giustizia sociale, che era stata stampata a Milano nel ’48, e Delle cinque piaghe della santa Chiesa, uscito a Lugano sempre nel 1848. La condanna fu notificata al Rosmini il 13 agosto, ad Albano dove risiedeva17. Egli prontamente si sotto mise: «Coi sentimenti del figliolo più devoto ed ubbidiente». Nel comunicato che fece alla Santa Sede c’era anche l’atto di sottomissione: «io Le dichiaro di sottomettermi alla proibizione delle nominate operette puramente, semplicemente, e in ogni miglior modo possibile: pregandola di assicurare di ciò il Santissimo nostro Padre e la Sacra Congregazione»18. Da Albano, dove era ospite del Cardinal Tosti, Rosmini si mise in viaggio per Stresa, fermandosi oltre che a Roma e a Firenze, anche a Massarosa dove fece una sosta da Giorgini, il genero di Manzoni, lasciando un ricordo indelebile che Vittoria Manzoni ha annotato nel suo diario:
I dolori le delusioni di ogni genere non avevano tolto nulla alla serena dolcezza del suo sorriso, il quale, sotto quegli occhi profondi e penetranti, dava un carattere quasi sovraumano alla sua fisionomia. Del resto di tutto quello che era avvenuto in quel tristissimo ’49, egli aveva molto parlato con Bista [Giovanni Battista Giorgini], ma con noi non ne fece quasi parola. L’argomento era troppo delicato per un vero sacerdote quale egli era, e nessuno si permise allusioni: solo ad alcune parole del nonno rispose: Ringrazio Dio che non mi ha mai tolta la pace dell’animo19.
Lo stesso Giorgini ricordava a Pagani l’episodio di questa visita:
Il Manzoni tornava da Gaeta coll’attitudine di un capitano che ha perduto una battaglia, ma che sa di avere fatto il suo dovere e di aver difeso una buona causa: le parole che diceva del Papa erano piene di riverenza e di affetto; e i giudizi delle persone che allora prevalevano in Corte, temperati e benevoli. Tornava senza rancori, come l’uomo che nella mala riuscita d’un suo disegno adora la volontà di Dio, più che non accusi la malvagità degli uomini; tornava senza rammarico, come l’uomo che non avendo cercato nulla per sé, sapeva che in qualunque posizione il Signore ci metta, è sempre possibile di servirlo, e lo avrebbe così lietamente servito nella quiete del chiostro, come nelle agitazioni della pubblica vita20.
Prima di salire il 2 novembre al coll...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. INDICE
  6. Premessa
  7. Prologo: i luoghi del pensiero (sintesi topografica)
  8. Capitolo primo: L’ITINERARIO FILOSOFICO DI MANZONI
  9. Capitolo secondo: LA POLEMICA SULL’IDEA DELL’ESSERE FRA MANZONI E ROSMINI
  10. Capitolo terzo: DELL’INVENZIONE. LE GRANDI DOMANDE DEL DIALOGO
  11. Capitolo quarto: NEL NOME DELL’ARBITRIO. IDEA DELL’ESSERE E ATTO CREATIVO COME NECESSITÀ MORALE
  12. Capitolo quinto: IL PROBLEMA DELL’ORIGINE DEL LINGUAGGIO. RICADUTE MANZONIANE SUL PENSIERO DI ROSMINI
  13. Bibliografia