ACTO DOCE
El campeonato mundial de fútbol de la vergüenza
«Fifa dice dictadores argentinos en sus programas para el campeonato del mundo».
È il 24 marzo 1976.
Il giorno del golpe.
Mancano ancora due anni, ma l’organizzazione del mondiale di calcio del 1978 è già inserita nell’ordine del giorno della prima riunione della Junta militare.
Il generale Jorge Videla, poco informato di calcio, non sembra però intenzionato a investire grandi mezzi finanziari nei mondiali.
Ma l’ammiraglio Emilio Massera prende la parola ed evidenzia quanto sia importante sul piano politico e dell’immagine lo svolgimento regolare e ordinato dei campionati di calcio in Argentina.
Il 12 luglio 1976 viene creato l’Eam ’78 (Ente Autárquico Mundial ’78).
È l’organismo che coordina le attività collegate all’organizzazione dei mondiali.
Nel tempo sarà presieduto dai generali Omar Actis e Antonio Luis Merlo, sotto la direzione del tenente di vascello Carlos Lacoste.
Mentre il paese vira verso una deriva neoliberista, viene speso il quintuplo delle risorse impiegate nei successivi mondiali di Spagna 1982: dai 100 milioni di dollari inizialmente previsti, si raggiunge la cifra record di 520 milioni di dollari (secondo alcune fonti addirittura 700 milioni).
I lavori portati a termine per i campionati mondiali del 1978 offrono agli osservatori internazionali un falso prototipo di efficienza, ordine e tranquillità dell’Argentina sotto il regime militare.
Vengono ristrutturati gli stadi di Buenos Aires e Rosario, costruiti i nuovi stadi di Córdoba, Mar del Plata e Mendoza, rafforzate le strutture di accoglienza per tifoserie e turisti stranieri, abbattuto per motivi di immagine il quartiere degradato del Bajo Belgrano, attivate le telecomunicazioni via satellite, creata la nuova emittente televisiva Atc (Argentina Televisora Color).
La Fifa sostiene i dittatori argentini nei loro programmi per i campionati mondiali, prima con il benestare di Hermann Neuberger, poi con quello del presidente dell’organizzazione calcistica internazionale, il brasiliano João Havelange, strettamente legato al capitano di vascello Carlos Lacoste.
Così, alla fine, Havelange offre assicurazioni sulla conferma dell’assegnazione dei campionati all’Argentina, e per la Junta il gioco è fatto.
Dall’Argentina intanto escono notizie sempre più inquietanti sui crimini della Junta militare, e in varie parti di Europa emergono dubbi sulla partecipazione ai mondiali.
In Francia viene costituito da esuli argentini e da personalità di sinistra un comitato per il boicottaggio dell’evento sportivo: è il Coba (Comité pour le Boycott de l’Organisation par l’Argentine de la Coupe du Monde).
Viene diffusa e firmata da migliaia di persone la petizione di Georges Moustaki, Yves Montand, Roland Barthes, Jean-Paul Sartre e Louis Aragon.
In Olanda, lo Skan, un collettivo di solidarietà nei confronti degli esiliati argentini fondato da due umoristi, promuove e sollecita il boicottaggio totale.
In Svezia, si diffonde una campagna contro l’Argentina dei militari dopo la scomparsa a Buenos Aires, nel gennaio 1977, della cittadina svedese diciassettenne Dagmar Hagelin.
E in Italia?
In Italia il problema del regime argentino e della repressione a quel tempo quasi non esiste, e in uno dei prossimi capitoli capiremo anche il motivo.
A parte rarissimi casi, la stampa italiana si limita ad occuparsi del fatto sportivo e non approfondisce l’analisi della situazione politico-sociale del paese.
Le manifestazioni delle Madri di Plaza de Mayo, iniziate dal 1977, vengono spesso ignorate dai nostri mezzi di informazione.
L’atteggiamento è assai differente da quello adottato dalla nostra stampa nei giorni della finale di Coppa Davis tra la nazionale italiana e quella cilena, disputata nello stadio di Santiago del Cile, il 17 dicembre 1976.
Adriano Panatta, uno dei protagonisti di quella storica vittoria, anni dopo ricorda la sua sfida a Pinochet:
«Era la base dell’estrema sinistra la più agitata. Ascoltavo quelle urla e ci rimanevo male; non sono mai stato comunista, perché colpito dalle privazioni che subivano i miei colleghi dell’Est, ma sono sempre stato di sinistra, influenzato anche da mio nonno Luigi, che fu amico di Nenni. Quei giovani che mi insultavano non conoscevano nulla di me e intanto non si sapeva ancora se avremmo disputato la finale. Fu Ignazio Pirastu, al tempo responsabile della Commissione Sport del Pci, a farci arrivare l’inattesa notizia: per Berlinguer dovevamo andare in Cile. E voleva lo sapessimo. Per il segretario del Pci non sarebbe stato giusto che la Coppa finisse nelle mani del Cile del regime Pinochet piuttosto che nelle nostre. Da lì in poi la strada verso la partenza si fece in discesa. Fu come un libera tutti. Il governo Andreotti disse che lasciava libero il Coni di decidere, quest’ultimo lasciò libera la Federazione e di fatto ci ritrovammo a Santiago, liberi di vincere. Grazie a Berlinguer»1.
Comunque, prima dei mondiali di calcio in Argentina c’è chi alza la voce.
Il 3 aprile 1978 Amnesty International invia ai calciatori della nazionale italiana una lettera per sensibilizzarli sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse dal regime argentino:
«Non le chiediamo l’adesione ad un attacco al governo argentino, le chiediamo di aderire ad un appello dimostrando pubblicamente che la sua partecipazione ai mondiali sarà pienamente consapevole e che non significherà un appoggio implicito ad un regime che tortura, ma un invito al rispetto dei fondamentali diritti dell’uomo»2.
Amnesty International trasmette anche petizioni a papa Paolo VI e al presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
Invita il Papa a dare ascolto alla sofferenza dei familiari dei desaparecidos e di sollecitare il governo argentino a restituire i corpi alle loro famiglie.
Chiede ad Andreotti pressioni diplomatiche sul governo argentino.
Ma le azioni di boicottaggio non ottengono purtroppo i risultati sperati.
Intanto la Junta argentina sviluppa un complesso e moderno programma pubblicitario, attivato dalla società specializzata statunitense Burson Marsteller di New York.
Gli esperti di comunicazione lavorano attentamente sulle parole e sui simbolismi.
Gli esuli e i contestatori si trasformano in “antiargentini”.
I giornalisti argentini descrivono il paese come “tranquillo, ordinato, pulito”, finalmente libero dagli eccessi dei “sovversivi”.
Noti personaggi dello sport argentino vengono mobilitati per pubblicizzare i mondiali del regime.
Così, nell’estate 1978, tutti vanno in Argentina, tutti celebrano Videla, tutti fanno finta di non sapere nulla, ma qualcuno come Marco Tardelli qualche domanda se la pone:
«In Argentina, i Mondiali dovevano immortalare l’immagine di un popolo felice e ordinato e di un’organizzazione efficiente. Insomma, erano uno spot per la dittatura militare di Jorge Rafael Videla. Noi vivevamo in una bolla, in una gabbia dorata ben separata dalla realtà. Poi, un giorno, mentre andavo all’allenamento, ho incrociato lo sguardo di un uomo con un bambino sulle spalle, forse erano padre e figlio: la folla intorno a loro si sbracciava per salutarci, per avere un autografo. Loro, invece, erano fermi, composti. Non ho mai dimenticato la tristezza di quegli occhi. È stata quella l’unica volta che in Argentina ho percepito il dolore della gente»3.
E qualcun altro sceglie di non diventare complice degli aguzzini.
Gianni Minà, inviato al campionato mondiale di calcio 1978, viene ammonito e poi espulso dall’Argentina con l’accusa di aver rivolto domande sui desaparecidos al capitano di vascello Carlos Lacoste (capo dell’ente per l’organizzazione del mondiale) durante una conferenza stampa, e aver cercato poi di raccogliere informazioni.
«La dittatura Argentina cercò di utilizzare il mondiale del ’78 per coprire i misfatti terribili che stava commettendo. Ci riuscì per poco tempo. Poi, invece, tutto si ritorse contro la dittatura. Spariva un’umanità, la migliore, mentre si giocava quel mondiale. Dico la migliore perché i perseguitati erano tutti coloro che avrebbero assicurato un domani migliore all’Argentina. Erano molti studenti, intellettuali, professori cioè tutti quegli esseri pensanti che si negavano alla repressione voluta dagli Stati Uniti con “l’Operación Condor” che istituzionalizzò la dittatura in tutto il Sudamerica. Fu uno sterminio che ora quasi tutti hanno dimenticato. Non credo che il neocapitalismo possa arrivare a usare lo sport come fece la dittatura argentina nel ’78, in fondo non ne ha bisogno. Non si può tuttavia negare il fatto che è in atto un tentativo su scala mondiale di condizionare le coscienze e il cervello delle persone proponendo loro il calcio ogni tre giorni come una specie di oppio che si assume per non capire quello che succede intorno»4.
E poi c’è la dignità mostrata da Jorge Carrascosa, capitano della nazionale argentina.
Soprannominato “el lobo”, il lupo, lui è il capo carismatico della Selección, esterno destro di classe dell’Huracán.
Si ritira pochi mesi prima del mondiale, appena trentenne.
Da quel giorno non ha più parlato, chiuso nel suo silenzio consapevole.
Il mondiale entra nel vivo e si iniziare a giocare davvero.
All’inizio si iscrivono 106 squadre nazionali.
Il torneo finale prevede la partecipazione di sedici squadre.
All’Argentina spetta un posto come paese organizzatore dei mondiali.
La Germania Ovest, campione in carica, ci va di diritto acquisito.
Restano disponibili solo quattordici posti, assegnati alle selezioni nazionali vincitrici dei vari raggruppamenti di qualificazione.
Alla fase finale manca l’Inghilterra: inserita nel gruppo 2 con l’Italia, finisce a pari punti, ma con una peggior differenza reti.
Si qualificano subito Olanda e Svezia.
Oltre al gruppo di Italia e Inghilterra, sono invece combattuti i gironi che promuovono Francia, Polonia, Spagna, Austria e Scozia.
L’Ungheria affronta uno spareggio inte...