Il dodicesimo libro dei Ritratti di santi
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Il dodicesimo libro dei Ritratti di santi

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Il dodicesimo libro dei Ritratti di santi

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La serie dei Ritratti di santi ha origine dalle conferenze di Quaresima che padre Sicari tiene da molti anni. Il presente volume raccoglie quelle del 2010 e del 2011. Come sempre, ogni conferenza riguarda un santo che è stato scelto perché la Chiesa lo ha recentemente indicato, o perché i fedeli stessi lo hanno suggerito in base all'affetto e alla devozione. Talvolta l'autore ha dovuto assecondare richieste insistenti e più volte ripetute, come è avvenuto, ad esempio, per il ritratto di san Giuseppe, che sembra giungere piuttosto tardi, ma è stato lungamente meditato e perciò anche atteso. Il volume permette anche alcuni accostamenti significativi, pur se occasionali. Il lettore non faticherà ad accostare la figura di sant'Anselmo d'Aosta a quella di John Henry Newman, ambedue luminose per la «carità dell'intelligenza»; sentirà vicine l'esperienza del martirio di Oscar Romero e quella di Jerzy Popie?uszko, che seppero testimoniare congiuntamente l'amore alla Chiesa, al proprio sacerdozio e alla propria terra; si commuoverà per la fantasia caritatevole di san Martino de Porres – un fraticello peruviano del Cinquecento – che ben s'accorda all'umile genialità di Vincenza Cerosa e di Bartolomea Capitanio, due ragazze bresciane dell'Ottocento; e potrà restare stupito sia per il «candore» di una ragazza siciliana affascinata dall'Eucaristia (anche se splendente in una clausura) che per la «chiarità» di una moderna ragazza ligure che ha saputo rendere luminosa perfino la sofferenza, imparando dalla grande Chiara Lubich a fare compagnia a «Gesù Abbandonato».

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2021
ISBN
9788816801691
Argomento
History
Categoria
World History

BEATO JOHN HENRY NEWMAN
(1801-1890)

Il 19 settembre 2010, durante il suo viaggio in Inghilterra – la prima visita di un Papa dopo lo scisma di Enrico VIII1 – Benedetto XVI ha proclamato beato John Henry Newman, un anglicano convertito al cattolicesimo.
La sua lunga esistenza coprì quasi tutto il secolo XIX ed è divisa, in due tempi quasi uguali, dalla conversione avvenuta nel 1845.
E fu tutta un’appassionata ricerca della Verità: una ricerca così totale – della mente, del cuore e perfino del corpo (dato che vi spese tutte le forze, senza nulla risparmiare) – che egli la poté realizzare soltanto santificandosi, giorno per giorno.
Se ne accorgevano bene gli amici, anche se lui si schermiva con quell’umorismo che gli era così congeniale: «Io non sono portato a fare il santo, è brutto dirlo. I santi non sono letterati, essi non amano i classici, non scrivono romanzi. Io sono forse, alla mia maniera, abbastanza buono, ma questo non è alto profilo… Mi basta lucidare le scarpe ai santi. Se san Filippo, in cielo, avesse bisogno di lucido da scarpe…».
Si riferiva a san Filippo Neri, il Santo della gioia cristiana e cattolica, che l’aveva affascinato al tempo della conversione, e al cui carisma aveva subito aderito.
Ma l’espressione di Newman non è solo segno della sua umiltà. Essa ci avverte anche che tracciare il «ritratto della sua santità» non sarà una cosa facile.
Di solito noi siamo attratti da quei Santi che si muovono immersi nella carità sociale, coinvolti nei drammi del loro tempo e coinvolgenti per le opere compiute e per gli esempi o gli insegnamenti lasciati in eredità.
E rischia di sembrarci meno interessante, perché più difficile, la vicenda di quei Santi che si sono immersi nella carità dell’intelligenza, e hanno combattuto – anche per noi – battaglie decisive per salvare l’identità cristiana dei popoli e delle nazioni.
Il Beato J.H. Newman è uno di questi Santi, aggiungendo poi il fatto che è anche lo scrittore inglese più brillante ed elegante dell’intero secolo XIX, il teologo più profondo del suo tempo, un poeta raffinato e uno scrittore di drammi e romanzi di rara bellezza e profondità.
La famiglia in cui nacque, primo di sei figli, apparteneva alla buona borghesia londinese: il papà aveva fondato una piccola banca nella City e la mamma era di origine francese e di religione calvinista.
In casa si amava il bel vivere e la buona musica e si rispettavano le tradizioni anglicane, anche se il papà si accontentava di predicare l’onestà, da bravo massone. La mamma compensava l’ambiente con la sua religiosità piuttosto rigida.
Il piccolo John Henry era di indole timida, portato allo studio, propenso alla solitudine, non bello, ma di un fascino particolare; lettore appassionato di opere classiche e di romanzi, traeva grande piacere dalla lettura della Bibbia e sapeva a perfezione il catechismo, anche se le sue convinzioni religiose non erano molto solide.
Il fanciullo era anche molto fantasioso: «Mi veniva fatto di desiderare che i racconti delle Mille e una notte fossero realtà… Pensavo che la vita potesse essere un sogno, oppure che io ero un angelo». Era anche un po’ superstizioso.
Non conosceva quasi nulla del mondo cattolico-romano, anche se da adulto – riguardando i quaderni d’infanzia – resterà sorpreso nello scoprire che vi aveva una volta disegnato una grande croce e un piccola coroncina del rosario, simboli religiosi cattolici, inusuali tra gli anglicani di allora.
La tentazione dell’incredulità gli venne a quattordici anni: lesse un testo di Hume contro la possibilità stessa dei miracoli e alcuni versi di Voltaire che negavano l’immortalità dell’anima e ne restò affascinato: «Quanto è terribile, ma quanto è verosimile!», annotò diligentemente sui margini del libro. E cominciò «ad atteggiarsi in maniera sprezzante verso le cose sante».
Gli sembrava allora che bastasse coltivare un generico ideale di bontà, accontentandosi di essere un gentleman: credere in Dio gli pareva inutile, e non capiva cosa significasse il doverlo amare.
Poi la sofferenza (una sua grave malattia e il fallimento economico del papà) e la lettura di alcuni buoni libri gli riaprirono le porte della fede, le cui verità fondamentali gli si impressero nell’anima in maniera indelebile.
A segnarlo profondamente fu un’esperienza in parte discutibile, anche se decisiva in quegli anni giovanili: «Mi ancorai al pensiero di due, e solo due, esseri assoluti, di un’intrinseca e luminosa evidenza: me stesso e il mio Creatore» (Apologia, pp. 137-138): era la presa di coscienza del proprio radicamento originario in Dio.
La preoccupazione per gli altri e per il loro destino non entrava ancora nei suoi interessi, ma almeno dentro di lui si erano radicati un senso profondo della propria dignità e una fame di approfondire e vivere le verità della fede.
Imparò a studiare e a pregare: «O Dio, sono peccatore, ma finché ti sarò fedele, tu mi sarai fedele sino alla fine e sovrabbondantemente. Io posso riposarmi tra le tue braccia; posso addormentarmi sul tuo seno. Dammi solo ed aumenta in me quella sincera lealtà verso di te, che è il vincolo dell’alleanza tra me e te, ed il pegno nel mio cuore e nella mia coscienza, che Tu, il Dio supremo, non mi abbandonerai».
Sentiva di dover appartenere a Dio totalmente.
Entrò nel Trinity College a Oxford, «la città santa dell’anglicanesimo», consacrandosi allo studio della teologia e poi all’insegnamento e alla formazione degli studenti.
Nel 1824 si fece ordinare Diacono e nel suo diario scrisse: «Ora sono responsabile per le anime fino al giorno della mia morte».
L’anno dopo ricevette l’ordinazione sacerdotale, alternando il lavoro accademico a quello pastorale in una povera parrocchia.
A ventisette anni divenne parroco della chiesa universitaria di St. Mary, dove per quindici anni svolse un’intensa attività pastorale, soprattutto mediante la predicazione, che riscuoteva molti consensi perché egli sapeva parlare ai fedeli come se parlasse a ciascuno di essi, con la tenerezza dovuta ad ognuno.
Spiegava loro:
«Dio ti osserva individualmente, chiunque tu sia. Egli ti chiama con il tuo nome (cfr. Is 43,1). Egli ti vede, ti comprende perché ti ha creato. Egli sa quello che passa dentro di te, conosce tutti i tuoi sentimenti e pensieri, le tue inclinazioni e le cose che ti piacciono, la tua forza e la tua debolezza. Egli ti osserva nei giorni della gioia come pure nei giorni del dolore. Egli ti è vicino nelle tue speranze come nelle tue tentazioni. Egli s’interessa a tutte le tue preoccupazioni, a tutti i tuoi ricordi tristi o lieti, agli alti e bassi del tuo umore. Egli ha contato tutti i capelli della tua testa e i centimetri della tua statura. Egli ti avvolge completamente e ti porta nelle sue braccia. Egli ti raccoglie da terra e ti depone giù. Egli nota sul tuo volto la gioia o il dolore, quando godi ottima salute come quando sei malato… Tu non sei soltanto la sua creatura (…), tu sei un uomo redento e santificato, il suo figlio adottivo (…), privilegiato» (Parochial and Plain Sermons, vol. III, pp. 124-125).
Quando poi voleva approfondire la dottrina, allora si dedicava con passione a rievocare la fede e la storia dei primi cristiani e gli insegnamenti dei grandi Padri della Chiesa.
Purtroppo l’università era impregnata di razionalismo e in teologia s’indulgeva sempre più al liberalismo.
Newman diceva allora, non senza sofferenza, che la fede di molti anglicani sembrava ormai pronta ad accettare come ideale questa specie di preghiera: «O Dio, se esisti, salva la mia anima, se io ho una anima!».
Perciò, dopo qualche iniziale entusiasmo, si sentì disgustato dal­l’ambiente accademico, dove svolgeva il compito di tutor occupandosi della formazione culturale degli universitari, e l’ambiente cominciò ad emarginarlo, finché gli tolsero gli studenti.
Ne approfittò per studiare più sistematicamente e con crescente affezione gli antichi Padri della Chiesa («Sono loro che mi hanno fatto diventare cattolico», dirà in seguito) e si appassionò soprattutto alle vicende del IV secolo, quando era sembrato che l’eresia ariana potesse sommergere la cristianità, e tuttavia la Chiesa aveva mostrato di saper reagire e ritrovare il giusto cammino. Cercava di trarne criteri per identificare le caratteristiche della vera Chiesa.
Per sua fortuna incontrò anche degli amici che lo aiutarono a equilibrare i suoi giudizi sulla storia ecclesiastica: certo egli restava assolutamente persuaso della centralità della Chiesa anglicana, ma cominciò a giudicare più severamente la Chiesa riformata (protestante) e più positivamente (con una certa ammirazione) la Chiesa romana (che Newman fino ad allora aveva considerato quasi anticristiana).
E certi aspetti tipicamente cattolico-romani (come la devozione alla Vergine Santa e la presenza reale del corpo e sangue di Cristo nell’Eucaristia) cominciarono ad affascinarlo.
Rimasto senza studenti, intraprese con alcuni amici un viaggio nell’Europa meridionale, per visitare le varie coste del Mediterraneo. Toccò Cadice, Gibilterra, Algeri, Malta, Corfù e infine la Sicilia. Patì come tutti il mal di mare e scrisse, con tipico umorismo inglese, che il peggio di questo male sta nel fatto che lo soffrono anche gli oggetti a bordo: tavoli, sedie, bicchieri, posate. Soffre perfino la porta della cuccetta che non riesci a chiudere e ti schiaccia le dita…
Come libri di lettura si era portato l’Odissea e l’Eneide, oltre alle Storie di Tucidide. Ma compiuto il viaggio, s’intestardì a voler tornare un’altra volta, da solo, in Sicilia.
A Napoli assoldò un certo Gennaro come cameriere (un personaggio pittoresco), comprò due muli, ingaggiò anche un mulattiere e si rimbarcarono tutti per Messina. Restò incantato da Taormina: «Non ho mai visto niente di più meraviglioso. Non sapevo che potesse esistere tanta bellezza!».
Visitò Catania e Siracusa, e tornò verso il centro dell’isola. Gli pareva d’essere in paradiso: «Colline alla rinfusa da tutte le parti, ricoperte da un grano verdeggiante, in tutte le varietà di gradazione, in risalto contro la pietra chiara delle colline di un crudo giallo-siena. Tutto il giorno il panorama mi pareva il giardino dell’Eden di un bello più che squisito, quantunque di tanto in tanto variasse. Profonde vallate a lato e molti alberi e monti col paese in cima…».
Ciò non gli impediva di vedere le storture sociali: «È una Sicilia che giace desolata sotto un brutto governo», diceva riferendosi ai Borboni. «Quante creature miserabili ho visto in Sicilia! Non ho mai visto tanta sofferenza umana: ci sono bambini e ragazzi che sembrano non aver mai goduto dell’aria fresca nella loro vita».
Si ammalò di febbre tifoidea, rischiando di morire. Dovette fermarsi tre settimane ad Enna (allora Castrogiovanni), accolto affettuosamente dalla gente del luogo, anche se quasi nessuno lo capiva. Spesso si ritrovava a piangere seduto sul letto, mentre mormorava: «Non morirò, non morirò. Non ho peccato contro la luce!». Ma lui stesso non sapeva che cosa volesse dire con queste parole. E l’ultimo giorno della sua permanenza nella locanda, all’infermiere ripeté: «Non posso morire. Ho un lavoro da fare in Inghilterra!». Sentiva di avere una missione da compiere.
Quando poté riprendere la strada tra Enna e Palermo, il panorama primaverile tornò ad affascinarlo: «Non avevo mai visto una campagna simile: la primavera era nel suo rigoglio. Ogni sorta di alberi strani, colline ripidissime e altissime lungo le quali si svolgeva la strada, in lontananza le montagne [monti Erei e Madonie]. Lungo la strada una profusione di aloe. Colori così luminosi, tutti intonati alla mia vita che rifioriva».
A Palermo dovette aspettare per tre settimane che un battello carico di arance (erano diventate la sua passione!) partisse per Marsiglia, e le trascorse visitando le chiese gremite di gente, osservando stupito funzioni religiose e devozioni di cui non capiva il senso. «Non sapevo nulla della Presenza del Santissimo Sacramento», spiegherà poi.
Alle Bocche di Bonifacio la nave restò ferma una settimana per mancanza di venti e Newman passò il tempo a comporre poesie.
Una di esse è diventata celebre ed esprime bene lo stato d’animo di quei giorni in cui sentiva l’urgenza di seguire Dio (la sua luce) con maggiore umiltà e decisione di quanto non avesse fatto fino ad allora.
S’intitola Lead Kindly Light (Guidami, luce gentile) e, più che una poesia, è una preghiera e la promessa di un nuovo stile di vita:
Guidami, luce gentile, tra le tenebre, guidami tu!
Nera è la notte, lontana la casa – guidami tu!
Reggi i miei passi;
non voglio vedere cose lontane,
un solo passo mi basta!
Così non fui mai; né ti pregai così, per la tua guida.
Amavo scegliere io la mia strada; ma ora guidami tu!
Amavo il giorno chiaro, l’orgoglio mi guidava,
disprezzavo la paura: non ricordare quegli anni.
La tua potenza che sempre mi benedisse, ancor oggi mi guiderà
per paludi e brughiere, per monti e torrenti,
finché svanisca la notte
e mi sorridano all’alba i volti degli angeli
amati a lungo, e ora perduti.
Riepilogando, in una lettera alla madre, la sua avventura siciliana, le scriverà con rara potenza espressiva di sapore agostiniano: «Ovunque sia, Dio è Dio e io sono io», per spiegarle che si era trovato solo, in un mistico faccia a faccia che lo aveva segnato per sempre, togliendo al suo io ogni presunzione; l’io gli era apparso in tutta la sua nudità spirituale, ma «davanti a Dio, giudice misericordioso».
Tornò in Inghilterra giusto in tempo per ascoltare il discorso programmatico del suo più caro amico, che segnò una svolta nella sua vita.
Il tema era di sconcertante gravità: L’apostasia nazionale. Era un grido di protesta, perché da tempo la Chiesa inglese si lasciava domina...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. SAN GIUSEPPE, SPOSO DI MARIA
  6. SANT’ANSELMO D’AOSTA (1033-1109)
  7. SAN MARTINO DE PORRES (1579-1639)
  8. SANTA VINCENZA GEROSA (1784-1847) e SANTA BARTOLOMEA CAPITANIO (1807-1833)
  9. BEATO JOHN HENRY NEWMAN (1801-1890)
  10. BEATA MARIA CANDIDA DELL’EUCARISTIA (1884-1949)
  11. SERVO DI DIO OSCAR ROMERO (1917-1980)
  12. BEATO JERZY POPIEŁUSZKO (1947-1984)
  13. BEATA CHIARA LUCE BADANO (1971-1990)