L'intolleranza nella Chiesa
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L'intolleranza nella Chiesa

  1. 102 pagine
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L'intolleranza nella Chiesa

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Ho avuto occasione di leggere alcune opere tra le molte scritte da Juan María Laboa Gallego. Ho sempre apprezzato il suo stile scorrevole, gradevole, descrittivo e narrativo. Ogni pagina de "L'intolleranza nella Chiesa" illustra i diversi eventi storici e la gamma di situazioni da cui è spuntato, come un'erba infestante, il volto malefico dell'intransigenza, della sospettosità e dell'intimidazione assolutista, che presentano al nostro sguardo un panorama ininterrotto di contraddizioni e contraddittori, di lealtà e tradimenti, di guerre e trattati di pace. Ciò che è sempre mancato sono il reciproco rispetto, la capacità di ascolto, l'accettazione delle differenze, l'idea della novità come realtà da comprendere e non da condannare. In linea con quanto afferma e sostiene il professor Laboa in questo libro, il Santo Padre Francesco, il 21 dicembre 2019, nel suo consueto saluto natalizio rivolto alla Curia vaticana, ha indicato un elemento che può essere utile per riconoscere qualunque atteggiamento integralista e intollerante all'interno della Chiesa: «La rigidità che nasce dalla paura del cambiamento e finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune, facendolo diventare un campo minato di incomunicabilità e di odio». Prefazione di Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816802346

Capitolo 1
IL FONDAMENTALISMO NELLA STORIA DEL CRISTIANESIMO

Il fondamentalismo o integralismo ha rappresentato una tentazione assai frequente nella storia del cristianesimo, così come in quella delle altre religioni. Una tentazione in aperta contraddizione con l’esigenza evangelica di amare tutti gli esseri umani, poiché siamo tutti figli dello stesso Padre, e con la convinzione che l’atto di fede è necessariamente un atto libero, frutto della generosità divina. Di fatto i cristiani sono caduti sovente in questa tentazione, con le parole e con le azioni, e sempre con conseguenze nefaste per la convivenza tra i credenti e per l’interiorità dell’atto di fede.
Il fondamentalismo si potrebbe definire un’aspirazione alla purezza originaria e alla precisa demarcazione dei limiti istituzionali, accompagnata da un atteggiamento di sospetto – quando non di rifiuto – verso il mondo e la cultura esterni, considerati sempre pericolosi e peccaminosi, e da una tendenza a un atteggiamento millenarista e alla percezione che sia necessario accettare e attuare le Scritture in senso letterale, in funzione di un’oggettività ossessiva che rivendica la verità rivelata e infallibile, ma accoglie soltanto la tradizione avallata da un’interpretazione garantita dall’autorità legittima e competente. Si direbbe tuttavia che tale autorità non abbia il diritto di reinterpretare le interpretazioni delle tradizioni sviluppatesi in varie fasi della storia.
Il filosofo francese Maurice Blondel fornì nel 1910, durante la crisi modernista, un’acuta descrizione tanto dei sintomi quanto della diagnosi di questo male1. A suo avviso, al cristianesimo aperto appartiene «la coscienza dell’intrecciarsi di tutta la realtà storica e la necessità di introdursi al suo interno attraverso un’azione di aperta solidarietà, per sperimentare la realtà storica nel suo dinamismo terreno». Di fronte a questo atteggiamento, per Blondel la mentalità integralista ritiene che «si possa esaurire la realtà in concetti astratti, fissi e inalterabili, cosicché è sufficiente agire avendo davanti agli occhi idee rette, per muovere così il mondo con rettitudine».
Da un altro punto di vista, per il cristianesimo più aperto «anche grazia e natura sono intrecciate», e «vi sono sentieri in Dio che vanno anche dal basso verso l’alto e guidano gli uomini di buona volontà, anche se essi sono fuori dalla Chiesa». Per l’integralismo, invece, «la rivelazione è in primo luogo un sistema di concetti dottrinali, che per definizione non possono essere scoperti in anticipo in nessun luogo del mondo degli uomini. Da qui si ritiene che essa possa essere soltanto offerta ai fedeli, per essere accettata passivamente, da un’autorità ecclesiastica che agisce esclusivamente dall’alto verso il basso».
Da questa premessa dell’integralismo, Blondel conclude che in una società retta dall’integralismo possiamo trovare quanto segue: a) la riduzione del messaggio cristiano, che è legge d’amore che libera l’anima, a mera legge del timore e della coercizione; b) una sacralizzazione del potere incline a identificare chi riconosce tale potere con la verità rivelata, al fine di conseguire una teocrazia di taglio puramente umano; c) la convinzione di vivere in un perenne stato di assedio, situazione che esige una disciplina di guerra, cieca obbedienza e la soppressione di coloro che vengono considerati riottosi o eccessivamente autonomi…
Nella storia del cristianesimo è stata costante la presenza di questi due atteggiamenti psicologici, di queste due concezioni, che hanno segnato la storia delle persone e la storia delle istituzioni, anche in funzione delle circostanze storiche e del contesto politico-sociale in cui si trovava il cristianesimo in ciascuna epoca.
Tenendo presenti queste considerazioni e le riflessioni che si producono nel corso di questa impostazione, possiamo ripercorrere sommariamente alcune manifestazioni che durante i secoli hanno messo in evidenza e rafforzato questa mentalità nell’ambito del cristianesimo.

Infanzia del cristianesimo

Potremmo iniziare dalla parabola di Gesù il cui protagonista manda i suoi figli per strade, sentieri e piazze a invitare i passanti al banchetto che ha organizzato. Si tratta di un invito universale, generalizzato, in linea con il successivo precetto del Signore: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Questo invito universale si scontrò in un primo momento con la mentalità dei giudeo-cristiani, che pretendevano di conservare alla lettera, nella nuova situazione creata dall’accettazione della dottrina di Gesù, le leggi proprie dell’Antico Testamento – un atteggiamento che suscitò l’immediato rifiuto di Paolo, il quale, avendo compreso la novità del cristianesimo, predicò una religione che non si limitava a un popolo o a una cultura, ma era destinata a tutti i popoli e a tutte le civiltà.
I temi più controversi erano la necessità della circoncisione per i nuovi cristiani e il mantenimento delle prescrizioni circa gli alimenti «puri» e «impuri». Ben presto si costituirono a Gerusalemme tre gruppi fortemente differenziati, non soltanto in rapporto alle pratiche e ai riti, che si scontrarono energicamente: coloro che si raggruppavano attorno a Giacomo, «fratello del Signore», il gruppo che si identificava con la teologia e lo spirito del quarto Vangelo e gli ellenizzanti2. Paolo riuscì infine a far accettare le sue idee dottrinali e morali dal cristianesimo nascente, ma non vanno dimenticati il fervore degli ebrei in difesa delle proprie idee e le difficoltà che l’atteggiamento dei giudeo-cristiani causarono in questo periodo iniziale.
Per tre secoli, i cristiani vissero in minoranza e in una condizione di debolezza.
Rispettavano l’autorità dello Stato, ma al tempo stesso conservavano coraggiosamente la propria identità. Quando infuriarono le persecuzioni contro i cristiani, essi reagirono con generosità e spirito di corpo. Ritenevano un grave peccato sacrificare agli dei pagani, ma in generale furono abbastanza comprensivi nei confronti dei lapsi, quelli che si piegavano per paura della sofferenza e del martirio. Non cercarono la persecuzione, ma quando vi furono costretti si mostrarono valorosi, e la maggioranza di loro confessò la propria fede con valore. Ciononostante, alcuni provocarono le autorità e non desistettero dai loro sforzi sino a quando non furono giustiziati. La Chiesa non approvò mai questo atteggiamento esibizionista di alcuni fedeli, e lo condannò esplicitamente. Un fenomeno simile apparve secoli dopo a Cordova, capitale del califfato arabo ispanico3. Anche la Chiesa mozarabica proibì ai suoi fedeli di cercare il martirio. Si doveva rendere testimonianza della propria fede, ma senza esibirla al fine di essere martirizzati.
Il tema della misericordia e della compassione contrapposte alla rigidezza e a un atteggiamento di radicale rigore si manifestò anche nell’evoluzione della penitenza. Contro coloro i quali non ammettevano un perdono successivo al battesimo, si andò sviluppando l’idea del sacramento della penitenza, che poteva essere ripetuta in alcune circostanze. Contro coloro che non tolleravano che i lapsi venissero riaccolti nella comunità dei fedeli, la Chiesa ritenne che la loro debolezza non andasse punita in maniera definitiva, ma che la penitenza potesse preludere alla loro riammissione.
Con l’aumentare del numero dei cristiani, la convivenza con i pagani si fece più difficile. Nessuno era esente da colpe, ma non v’è dubbio che la tendenza dei cristiani andava verso ciò che in seguito verrà definito Stato confessionale. Già il sinodo di Elvira, all’inizio del IV secolo, esortava i fedeli a liberarsi dagli idoli che contaminavano le loro terre. A metà del secolo i vescovi iniziarono a distruggere i templi per costruire chiese al loro posto, e un po’ più tardi vescovi e monaci rivaleggiarono nel loro fervore distruttivo ai danni di statue e templi pagani, forti della protezione delle autorità. Esisteva un vero e proprio rituale, che mirava a purificare il luogo da ogni presenza demoniaca prima di erigere un tempio.
Questi cristiani, dunque, manifestavano verso i pagani la stessa intolleranza di cui prima erano stati vittime i cristiani, e i mezzi utilizzati erano simili. Non ammettevano altra cultura, culto o religione diversa dal cristianesimo. D’altra parte, nella tarda antichità si intensificò il timore dei demoni e degli spiriti maligni in grado di impadronirsi dello spirito umano. Il demonio si trasformò in dominatore delle persone, delle istituzioni e dei tempi, in argomento ricorrente dei sermoni e delle conversazioni, in motivo di punizione. I posseduti dallo spirito del male potevano essere condannati e giustiziati. Il demonio e l’inferno costituiscono ancora oggi un elemento antropologico e teologico complesso, che in ogni caso non può essere trattato in questa sede, ma che senza dubbio costituì un’arma formidabile per il temperamento fondamentalista, a cui offriva uno strumento di terrore e di castigo a conferma delle sue tesi. Per secoli il demonio e l’inferno hanno rappresentato un contraltare nella formazione e nell’indottrinamento cristiano, e sovente un argomento che andava a sostituire l’amore e la comprensione di Dio.

L’impero cristiano

Poco dopo, questa intolleranza trovò conferma in una frase di sant’Agostino, destinata a esercitare grande influenza nel corso dei secoli: «compelle intrare», interpretata generalmente come legittimazione del diritto di perseguire le eresie obbligandone i seguaci a entrare nella Chiesa, e compiendo tutti gli sforzi necessari per salvarli. Questa interpretazione verrà in seguito utilizzata per giustificare la coercizione nei confronti degli eretici.
Nell’anno 385, a Treviri, fu giustiziato Priscilliano, vescovo ispanico di Avila, accusato di eresia da alcuni altri vescovi. Si trattò della prima esecuzione messa in atto dal potere politico per motivi religiosi, in una società già in maggioranza cristiana. Alcuni vescovi gallici – come san Martino di Tours – e italici protestarono scandalizzati, ma il passo era ormai compiuto e creò un precedente.
Esempi analoghi non sono mancati nel corso dei secoli. Ricordiamo il caso del sacerdote Jan Hus, eroe del popolo ceco, che fu arso sul rogo dal concilio di Costanza, nonostante si fosse presentato di fronte all’assemblea con un salvacondotto imperiale4.
Naturalmente, giunti a questo punto, dobbiamo chiederci che cosa sia l’ortodossia. «Ciò che è stato creduto sempre, in ogni luogo, da parte di tutti», rispondeva Vincenzo di Lérins. Nei primi secoli risultava più semplice individuare ciò che si collocava al difuori del deposito della fede. A partire da Nicea si fa sempre più determinante il ruolo dei teologi, della speculazione, della riflessione – ma proprio in virtù di questo diviene più facile sbagliare, aumenta il rischio di valutazioni soggettive e si fa ancor più necessaria un’autorità superiore in grado di pronunciare l’ultima parola. Il problema, sin dal principio, stava nell’accertare che cosa significasse pronunciare l’ultima parola, in quali circostanze si dovesse pronunciarla e quali conseguenze avrebbe dovuto subire chi aveva sbagliato.
D’altro canto, questo chiarimento dottrinale non comportava l’uniformità dei riti – e spesso neppure quella delle tradizioni.
Apparivano più che mai necessari, per un maggiore e migliore chiarimento, l’esposizione e il confronto di idee e orientamenti di pensiero diversi. Ma non è sempre stato così. Sovente, chi aveva l’ultima parola ha disprezzato e condannato altri modi di pensare, dando vita così un pensiero unico – e spesso depauperante.

Il medioevo

Durante il medioevo, la tolleranza non costituiva certo una virtù dominante all’interno della società, anche in conseguenza della commistione e della confusione tra l’aspetto religioso e quello politico. La cristianità non ammetteva l’eterodossia, l’indifferenza o la conversione ad altre religioni. Carlo Magno rappresenta un esempio significativo di questo atteggiamento. Il suo assoggettamento di vari popoli europei portò con sé la conversione forzata al cristianesimo, spesso con metodi violenti che non lasciavano spazio ad alternative. Secoli dopo, in Spagna, l’espulsione degli ebrei e dei musulmani espresse il rifiuto ad ammettere nello stesso Stato la presenza di cittadini di fedi diverse. Ben note sono in Europa la persecuzione degli ebrei, la loro libertà vigilata, le limitazioni imposte alla loro vita nelle società cristiane. Tutti perseguivano la conversione dei diversi, senza tener conto delle drammatiche coercizioni a cui erano soggetti. Spesso, peraltro, queste conversioni forzate diedero adito a processi dell’Inquisizione contro coloro che vivevano apparentemente come cristiani ma mantenevano nelle loro case usi e costumi della loro religione precedente. Nelle società europee fu stabilita, di fatto e di diritto, l’esistenza di cittadini di prima e di seconda classe; una parte di questi ultimi era tale in quanto non apparteneva alla Chiesa ufficiale o, peggio ancora, perché i vecchi cristiani non si fidavano dei neoconvertiti. Questa sconcertante situazione provocò in Spagna casi di flagrante ingiustizia verso cristiani convinti, la cui unica colpa consisteva nell’essersi convertiti5.
In seguito alla scoperta dell’America, alcuni professori dell’Università di Salamanca e altri intellettuali europei discussero sulla liceità della conquista e dell’imposizione della cultura ispanica e del cristianesimo. Nel dibattito di Valladolid, organizzato da Carlo V per esaminare gli aspetti etici della conquista, si distinsero Juan Ginés de Sepúlveda e Bartolomé de las Casas. Il primo, prestigioso per la sua erudizione e i suoi scritti, riteneva che tutte le culture fossero inferiori alla Cristianità. Fare loro guerra e imporre loro il domino spagnolo era considerato conforme alla legge naturale – e perfino un beneficio per le vittime.
Più difficile può risultare definire e valutare il significato delle crociate e l’atteggiamento dei crociati. L’Asia e l’Africa cristiane, così come la Spagna cristiana, erano state conquistate e occupate dagli arabi, di modo che la crociata poteva essere considerata come un atto dovuto di riconquista e liberazione di terre che erano state cristiane. Nessuno, nei regni iberici, dubitava del proprio diritto di recuperare le terre dei propri antenati e di espellere chi le aveva conquistate con la violenza; in Oriente, tuttavia, lo spirito religioso originario si mescolò troppo spesso alla brama di potere e di assoggettamento. Il caso più significativo per la nostra discussione fu la crociata del 1204, durante la quale i crociati rasero al suolo Costantinopoli e imposero un patriarca latino al posto di quello ortodosso, evidenziando un problema che esisteva fin dall’antichità – la feroce animosità tra i cristiani occidentali e quelli orientali. Entrambe le Chiese consideravano l’altra eterodossa e peccaminosa. Il 1204 evidenziò un assoluto disprezzo nei confronti delle altre tradizioni, comprese quelle più vicine. Le differenze dottrinali tra Oriente e Occidente erano pressoché inesistenti, ma il disprezzo reciproco e l’identificazione delle differenze di tradizione e di storia con l’eterodossia contribuiscono a spiegare come sia difficile accettare le differenze quando si esalta al massimo la propria identità. L’accettazione dell’accaduto da parte del Papa, e soprattutto la nomina di un Patriarca latino in una delle sedi più venerate d’Oriente, mettono in evidenza l’astio degli occidentali per la storia di una parte dei cristiani.
All’inizio del XIII secolo si sviluppò nella Francia meridionale un movimento eretico di carattere dualista, che acquisì una forza inaspettata. Si trattava dei cosiddetti albigesi, nome derivante dal fatto che il centro del movimento – appoggiato da Alfonso di Tolosa – fu Albi, in Provenza. Tutto ciò si trasformò in un problema religioso, ma anche sociale e politico. Innocenzo III indisse una crociata che distrusse la regione e la setta. Vi fu un tentativo di conversione mediante la predicazione da parte della nuova congregazione dei Padri Predicatori (domenicani) nei villaggi interessati, ma lo strumento più efficace – come è sovente avvenuto nella storia – fu la più brutale repressione.
Fu in questo contesto che nacque il tribunale della Santa Inquisizione, espressione ufficiale dell’intolleranza religiosa. Da legge dell’amore che libera l’anima, il messaggio cristiano diviene legge della paura e della coercizione. Nel nome del Signore si applica un rigore che Egli non utilizzerebbe mai. Per questa ragione, il cieco conformismo richiesto ai sudditi si trasforma nella più radicale perversione del cristianesimo che si possa concepire. Al di là delle distinzioni e delle spiegazioni logiche, legate al contesto come ai tempi, che è possibile formulare riguardo all’Inquisizione, non v’è dubbio che essa sia difficile da spiegare Vangelo alla mano.
L’intolleranza e l’imposizione della religione a popoli di tradizioni diverse erano tipiche dell’epoca. Ricordiamo le parole di Lutero: «Non perdano tempo con gli eretici, che possono essere condannati senza essere ascoltati». Il lungo scontro tra cattolic...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Prefazione
  6. Introduzione
  7. Capitolo 1: IL FONDAMENTALISMO NELLA STORIA DEL CRISTIANESIMO
  8. Capitolo 2: L’INTEGRALISMO E LA CRISI MODERNISTA
  9. Capitolo 3: PACE, AMORE E INTOLLERANZA
  10. Capitolo 4: RIFLESSIONI FINALI SULL’INTOLLERANZA E SUI FONDAMENTALISMI