Perché gli alberi non rispondono
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Perché gli alberi non rispondono

Lo spazio urbano e i destini dell'abitare

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Perché gli alberi non rispondono

Lo spazio urbano e i destini dell'abitare

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Vivere insieme nella città non è una scelta ma un destino, che da qualche tempo coinvolge la maggior parte degli abitanti del pianeta. Legato agli sviluppi della globalizzazione economica e tecnologica, questo fatto pone problemi nuovi agli urbanisti e a tutti noi. Come vivere insieme nella attuale città plurale, nelle grandi città-mondo che mescolano il sublime e il kitsch, la bellezza e l'orrore? Come fronteggiare la crescita inarrestabile delle disuguaglianze tra la città dei ricchi e la città dei poveri? Come favorire aggregazioni compossibili e risolvere questioni ambientali ed ecologiche di proporzioni mai conosciute? Domande ineludibili e problemi urgenti: la questione urbanistica è oggi la questione stessa del sapere.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816801721
PERCHÉ GLI ALBERI
NON RISPONDONO
LO SPAZIO URBANO
E I DESTINI DELL’ABITARE
Sini: Vorrei cominciare questo dialogo ricordando un libro di Jacques Cauvin che la Jaca Book ha tradotto nel 2010 e che ha questo bel titolo: Nascita della divinità, nascita dell’agricoltura. La rivoluzione dei simboli nel Neolitico. Quello che mi importa di questo libro è che esso propone una tesi nel complesso nuova, frutto di una scoperta recente: il fatto, cioè, che i villaggi, i primi villaggi della storia, non sono la conseguenza dell’affermarsi e del diffondersi, al tempo del Neolitico, dell’agricoltura e dell’allevamento; essi invece, cosa per noi sorprendente, hanno una nascita autonoma, che precede, forse di qualche secolo, forse di millenni, la rivoluzione economica del Neolitico. Sembra un invito a leggere la situazione con gli occhi della teoria evoluzionistica dei nostri giorni: prima l’organo, che nasce per spontanea variazione accidentale, poi la funzione che lo avvalora e lo rende efficace e indispensabile. Prima i villaggi, poi la rivoluzione dell’agricoltura che assegna loro una nuova funzione necessaria e imprescindibile. Cauvin documenta il passaggio per tappe dalle comunità preistoriche di cacciatori e raccoglitori ai primi contadini, ai primi allevatori, e, 100 mila anni fa, le prime sepolture. Parliamo di un periodo che va dal 12000 al 6300 a.C. e 12000 anni fa accadde appunto quella grande rivoluzione che illustrò fra i primi Gordon Childe nel suo famoso libro del 1936 (La rivoluzione neolitica). Gli studi e le analisi di Cauvin si riferiscono in particolare alla zona più a est del Vicino Oriente. Nel 1955 si è scoperta, nella valle del Giordano, una serie di villaggi di cacciatori e di raccoglitori che sono anteriori addirittura di 2 millenni a ogni agricoltura. Leggo in proposito un passo molto interessante di p. 36: «Il miglioramento climatico apre ampiamente, come si è visto, l’insieme del Vicino Oriente a questa nuova cultura presente dall’Eufrate al Sinai, dal Mediterraneo alle oasi del deserto. I suoi insediamenti divengono rari in grotte e assai numerosi all’aria aperta, ove suggeriscono l’esistenza di gruppi più consistenti e meno mobili che in precedenza». E ancora: «Dei campi base raggiungono in alcuni casi i 2000 metri quadrati» (uno spazio davvero considerevole) «con delle specializzazioni nell’uso dello spazio abitato che presuppongono una relativa stabilità. Si è a conoscenza perfino di diversi esempi di costruzione di abitati circolari in fossa, in particolar modo a Kharaneh, in Giordania, e sul Sinai. Finora queste case rotonde erano state incontrate nel Kebariano propriamente detto una sola volta, a Ein Guev, in Israele e nella grotta di Jiita nel Libano. Esse non sono ancora abbastanza numerose da formare dei villaggi, ma prefigurano i villaggi natufiani che seguiranno. Allo stesso modo delle suppellettili per la macinatura (mortai), a lungo considerate come una novità del Natufiano, fanno una prima apparizione nel Kebariano geometrico. Tutto ciò rende testimonianza di una maturazione culturale progressiva». Ecco, questo mi sembra interessante: la nascita dei villaggi e dell’abitazione stanziale non è dovuta solo a fattori strettamente e direttamente economici, ma è anche frutto di una maturazione “simbolica”, come dice Cauvin, una maturazione che prende avvio dalla evoluzione di segni e valori ideali; essi peraltro caratterizzano in ogni tempo a noi noto l’essere umano. Quindi una evoluzione culturale in senso lato, innescata da rappresentazioni e configurazioni simboliche, come la nascita di nuove divinità: l’abitare stanziale ne sarebbe appunto una prima conseguenza.
Pasqui: Negli studi di storia urbana l’abitare stanziale viene sempre considerato parte integrante di un più complesso processo demografico, economico-sociale, culturale e simbolico. Quando pensiamo la città, la sua origine lontana e la sua evoluzione attuale, dobbiamo sempre avere in mente questo intreccio: non ci sono mai sequenze lineari, ma piuttosto coevoluzioni plurali di pratiche di vita. Ciò accade anche nei processi di urbanizzazione in atto a livello planetario, dei quali credo torneremo a parlare tra poco.
S: L’importanza storica di queste nuove scoperte, osserva Cauvin, è la tendenza umana (che dai villaggi passerà poi alle città) «a riunirsi in gruppi sempre più numerosi»: ecco un tema di grandissimo interesse per il nostro dialogo. In questo modo, continua Cauvin, «si verificano cambiamenti profondi dello psichismo collettivo». Qualcosa del genere aveva notato anche Leroi-Gourhan. Nell’esempio suggerito dal nostro Esordio, ecco il cittadino Socrate che rifiuta il pensiero e la logica del mito; che dice: non me ne importa nulla di Borea e di Orizia, non so che farmene di queste storie immaginarie. Quindi che rifiuta il mondo sacrale, il mondo del sangue e dello sperma, il mondo dell’origine leggendaria e dell’arché patronimica: là dove l’identità umana si ripeteva a partire dalla origine simbolizzata dai sacri lombi del progenitore, o dei progenitori: sono questi sacri lombi che generano le successioni e che assegnano le identità personali. In questo senso Socrate è effettivamente colpevole di asebeia, di empietà, e pagherà con la morte la sua predicazione per la nascita di una nuova identità umana, fondata sulla nozione di “anima”: «Prendetevi cura della vostra anima» disse agli amici e ai discepoli prima di bere la cicuta. Era il concentrato della sua grande e, per quei tempi inaudita, eredità, nella quale siamo tutti coinvolti in Occidente. Sempre in questo senso, si può dire che Socrate era un grande democratico (e niente affatto un uomo all’antica, come talora si equivoca). Era la democrazia ateniese che si era corrotta, ma lo spirito che avrebbe dovuto animarla era esattamente interpretato dalla ricerca socratica dell’anima. Permettimi di ricordare, molto sinteticamente, la grande, l’incredibile rivoluzione di Clistene ad Atene: dalla mattina alla sera, preso il potere, lui che era un nobile, che era della grande famiglia degli Alcmeonidi, distrugge, azzera completamente, cancella la memoria della nobiltà. Nel 508 a.C. stabilisce infatti che, d’ora innanzi, i cittadini non avranno più nome e identità sociale a partire dai loro antenati, ma semplicemente dalla loro collocazione nelle dieci nuove tribù, allora appositamente e “geometricamente” stabilite sul territorio della città. In base a questo nuovo ordine parteciperanno a turno al governo e si organizzeranno per la guerra. Così ha inizio la democrazia. Ovviamente noi leggiamo queste cose pensando alla nostra democrazia, alle sue origini moderne, però è innegabile, mi pare, che con Clistene accada una svolta decisiva. Essa cancella quella che era la visione della città arcaica, della città protostorica, forse si potrebbe dire. Ninive, Babilonia, Tebe, le grandi capitali dell’Egitto basate sulla tradizione di sangue del sovrano. La famiglia regale come modello per tutte le famiglie dei sudditi, donde l’organizzazione sociale, economica e militare della città. Bene, tutto questo è cancellato da Clistene con un colpo di spugna.
P: Con un tratto di penna.
S: Con un tratto di penna è ancora più giusto… perché per la prima volta si organizza il vivere insieme, appunto l’essere in molti nello stesso spazio, sulla base semplicemente del territorio (stiamo appunto parlando di urbanistica), letteralmente “trascritto” geo-graficamente in dieci tribù: tu non hai più il nome di tuo padre, cioè della stirpe di sangue cui appartenesti per generazioni, hai il nome del tuo territorio, punto e basta. Sei uno di lì e su quella base manderai i tuoi rappresentanti all’assemblea popolare democratica. Non solo, ma su questa base si riforma tutto il calendario della amministrazione pubblica, sicché lo spazio e il tempo sono completamente trasformati. Non hanno più niente a che vedere con la memoria mitica. Sono l’equivalente di una geo-metria. Lo si può dire proprio in senso letterale, perché il bello è che la geometria, come noi la intendiamo, comincia proprio qui, con i contemporanei pensieri di Anassimandro che la tradizione ci ha conservato.
P: Geo-metria, geo-grafia e scrittura (che è anche scrittura del mondo, della terra che viene divisa e suddivisa, sulla base del lavoro degli agrimensori) contribuiscono non solo a delineare i saperi della città, come Aristotele mostra con riferimento a Ippodamo e alla sua griglia ortogonale, ma anche a con-formare le pratiche politiche che organizzano lo spazio urbano, come ambito nel quale vigono principi di inclusione e di esclusione. Uno dei miei maestri, Luigi Mazza, ha lavorato profondamente su questo tema, mostrando il nesso tra pratiche di suddivisione della terra (per mezzo del solco che insieme separa e unisce) e forme di cittadinanza (Spazio e cittadinanza, Donzelli 2015). Uno dei suoi allievi, Luca Gaeta, ha dedicato a questo tema un bellissimo libro che si propone di costruire una sorta di archeologia delle pratiche urbanistiche (Il seme di Locke. Interpretazioni del mercato immobiliare, FrancoAngeli 2006). In queste riflessioni, in ambito urbanistico, emerge con forza la relazione tra misura e divisione della terra, laicizzazione del potere urbano e costituzione della cittadinanza politica, con i suoi specifici principi di inclusione ed esclusione proposti da Aristotele all’inizio della Politica. In questo senso, l’urbanistica, che come sapere istituzionalizzato è piuttosto giovane, affonda le sue radici molto indietro nel tempo, fin dentro la scaturigine greca dei saperi dell’Occidente.
S: In effetti in Grecia accadono tutta una serie di cose, tra le quali, fondamentale, il diffondersi della scrittura alfabetica. Così arriviamo a Socrate che dice: «Non mi importa della campagna, io sto in città» (come cantava il protagonista, un po’ nevrotico, di una canzonetta di anni fa). Sto in città perché è lì che posso davvero discutere con gli esseri umani. Così è il dialogo, il logos, che prende il sopravvento su quella che era la narrazione mitica e la storia simbolica. Non so se su questa premessa vorresti dire qualcosa.
P: Direi subito due cose. La prima è che trovo molto suggestivo questo richiamo al fatto che la costituzione dei primi villaggi, cioè delle prime forme insediative nelle quali c’è una certa stabilizzazione dell’abitare, non sia strettamente ed esclusivamente connessa alla rivoluzione agricola. È in parte antecedente e in parte riguarda aree geografiche nelle quali le attività agricole non erano così rilevanti. Questa scoperta mostra che le relazioni tra diverse dimensioni dell’abitare la terra, ivi comprese quelle che oggi chiameremmo “simboliche”, ma che in effetti altro non sono che l’orizzonte di senso di pratiche dell’abitare che hanno caratteri per noi oggi largamente incomprensibili e inattingibili, sono cruciali per interrogare la scaturigine dell’urbano e il suo senso. A partire dai processi descritti da Cauvin c’è una storia lunga e complessa. Per preparami a questo colloquio ho letto un libro straordinario, che mi ha suggerito il mio collega Arturo Lanzani e che è stato scritto da Mario Liverani, uno storico della Mesopotamia e in particolare della civiltà Sumera. Il libro si chiama Uruk, la prima città (Laterza, 1998). È un libro molto bello nel quale l’autore prova a ricostruire lo sviluppo urbano della bassa Mesopotamia intorno al V millennio a.C e mostra come quello che noi consideriamo il primo sviluppo urbano significativo sia in questo caso connesso allo sviluppo delle tecniche agricole. Tuttavia, Liverani riconosce che non c’è un nesso causale fra sviluppo dell’agricoltura, aggregazione delle persone, costruzione dei primi insediamenti densi di una certa importanza, costruzione del Palazzo che è insieme esibizione del potere politico e del potere religioso. La vicenda è molto più complessa. Uruk nella fase del suo massimo sviluppo è un grande insediamento (parliamo di 100 ettari!), organizzato intorno al Palazzo centrale e strutturato secondo principi che oggi definiremmo “funzionali”. Le tecniche agricole costituiscono certamente un fattore esplicativo importante per dar conto della struttura urbana, ma il loro ruolo di principio organizzatore si intreccia e si intrama a quello di molti altri saperi, necessari a governare questa organizzazione complessa. Le tecniche di calcolo, per esempio sono fondamentali, perché definiscono la misura degli spazi e delle loro relazioni, del rapporto tra edifici e spazi aperti. Inoltre, insieme ai saperi che oggi definiremmo tecnici, Uruk è fondata su una sapienza più lontana e profonda, su una dimensione simbolica molto potente. Il Palazzo centrale è inizialmente tanto luogo religioso quanto luogo civile: è il luogo nel quale si determina un asse verticale tra il cielo e la terra, è l’Axis mundi di cui hanno parlato tantissimi studiosi, da René Guénon a Mircea Eliade. Si tratta del luogo nel quale si esibisce la sacralizzazione dell’urbano, quella sacralizzazione di cui ha parlato Giovanni Ferraro nel meraviglioso Libro dei luoghi (Jaca Book, 2001). Per comprendere Uruk, ma in fondo anche per pensare le nostre città contemporanee apparentemente del tutto desacralizzate, dobbiamo dunque osservare insieme le tecniche di scrittura e i processi di tipo economico, culturale e simbolico. L’insieme di questi processi, di questi saperi, di queste pratiche di vita determinano a Uruk una crescita che a sua volta definisce le...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Esordio
  6. PERCHÉ GLI ALBERI NON RISPONDONO: Lo spazio urbano e i destini dell’abitare