Dizionario dei riti
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La parola ritu è di origine arcaica indoeuropea. Nell'antico testo in sanscrito del Rgveda significa l'ordine immanente del cosmo. È sinonimo di dharma, la fede fondamentale del mondo. Dal significato cosmico è derivato quello religioso di necessità, rettitudine, verità. Da qui deriva il senso di ritu, che indica i compiti da svolgere in ogni stagione, in relazione al dharma.
Il rito coinvolge la condizione umana e perciò si colloca all'incrocio tra l'uomo, la cultura, la società e la religione. Ben oltre a ciò, esso è legato al simbolo, al mito e al sacro. Nel significato moderno, il rito indica una pratica regolata: protocollo, società civile, società segreta, religione, liturgia, culto. Può essere privato o pubblico, individuale o collettivo, profano o religioso. Fa parte della condizione umana, è soggetto a regole precise e implica continuità.
Le voci che compongono questo volume sono state curate da esperti di etnologia, antropologia, sociologia, filosofia e teologia, dischiudendo al lettore un mondo di significati indispensabili anche per leggere i fenomeni contemporanei. Mircea Eliade, con Georges Dumézil, ha apportato con i suoi studi uno sguardo e un metodo nuovi alla scienza delle religioni, adeguandola allo spirito scientifico e alla ricerca antropologica del XXI secolo, che trova in quest'opera un valido supporto.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816800380

DIZIONARIO DEI RITI

A

ABLUZIONE

Le abluzioni sono lavaggi rituali, completi o parziali, del corpo umano oppure di oggetti che entrano in contatto col corpo stesso, come utensili di cucina o cibi, o, talvolta, di specifici oggetti sacri, come statue di divinità o di santi. Le abluzioni possono essere lavaggi con acqua, o immersioni, o aspersioni. In luogo dell’acqua pura possono usarsi acqua e sale, sterco di mucca, sabbia o urina. Occorre dire che si tratta di atti simbolici intesi non a produrre la pulizia fisica, ma a rimuovere l’impurità e la contaminazione rituale. [Vedi PURIFICAZIONE]. Atti che vanno perciò interpretati non come forme di credenza magica, manifestazioni di igiene primitiva o espressioni di psicologia incolta, ma soprattutto come ritualità compiuta allo scopo di creare l’ordine e di abolire il disordine nella realtà sociale.
Le abluzioni e i gesti rituali attinenti si eseguono in società caratterizzate da differenziazioni ben definite e chiaramente segnate fra le fasi della vita umana, dalla nascita fino alla morte, attraverso la pubertà e il matrimonio. Hanno riferimento sia coi differenti ruoli sociali dei sessi, sia coi vari possibili ruoli di un individuo nella società. Compiute nelle fasi di transizione, sono atti rituali e simbolici volti a scongiurare i pericoli insiti in quei particolari stadi di fluidità delle forme sociali. Le abluzioni segnano la transizione da una fase a un’altra, o da un’area sociale a un’altra. Esse appartengono perciò, almeno in parte, alla categoria dei riti di passaggio. [Vedi RITI DI PASSAGGIO].
Sono ben note le abluzioni che segnano la transizione da un settore profano della società ad uno sacro. Il gran sacerdote babilonese faceva abluzioni nell’acqua del Tigri o dell’Eufrate prima di celebrare le sue funzioni quotidiane. Per le abluzioni e le aspersioni rituali veniva costruito uno speciale edificio, il bitrimki («casa del lavaggio»), presso l’abitazione del sacerdote o presso il tempio. Qui l’acqua vitale di apsu (la sorgente primordiale delle acque dolci) veniva usata per ogni genere di abluzioni. L’acqua, elemento creativo per eccellenza, serviva per mettere ordine in qualunque luogo e momento tale ordine fosse, intenzionalmente o no, minacciato. Nella religione tradizionale cinese la preparazione di una cerimonia sacrificale occupava tre giorni e comportava il bagno e la vestizione con abiti puliti. Nell’antico Egitto, prima di partecipare a qualsiasi rito religioso, il faraone doveva purificare il proprio corpo aspergendolo con acqua e natron. L’acqua, chiamata «acqua della vita e della buona ventura», veniva portata dalla piscina sacra, annessa ad ogni tempio egizio. I sacerdoti d’Israele era soggetti a regole di purificazione rigorosissime (Lv 21,22) e non potevano cibarsi delle offerte sacre senza prima lavarsi tutto il corpo in acqua (Lv 22,6). Prima di entrare nel tempio e adempiere i loro compiti, dovevano lavarsi mani e piedi nel «bacile di rame… così che non muoiano» (Es 30,17ss.). Riti simili si osservano anche in altre religioni.
L’Islam, religione senza un vero clero, esige che ogni credente si lavi prima della preghiera (ṣalāt, da compiersi cinque volte al giorno con la faccia rivolta alla Mecca) secondo la prescrizione del Corano: «Credenti, quando venite per adempiere la preghiera, lavate il vostro viso e le mani, fino al gomito; pulite la vostra testa e i piedi, fino alle caviglie, e, se siete contaminati, allora purificatevi» (5,9). La sura 4,46 permette l’uso della sabbia in luogo dell’acqua: «Lavatevi, ma se siete ammalati, o in viaggio, o qualcuno di voi viene dalla latrina, o ha toccato una donna, e non trovate acqua, allora prendete terra pura e con quella pulite la vostra faccia e le vostre mani». Queste abluzioni rituali vengono compiute servendosi di un contenitore o di un serbatoio provvisti di una canna e situati dentro o presso il cortile di ogni moschea. L’acqua dev’essere pura: perciò si preferisce quella piovana, ma può andar bene anche acqua di altra origine. Il rito viene accuratamente descritto nello ḥad
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. Si tratta di un rito purificatore, che Maometto fa derivare, come altri elementi dell’Islam, da fonti ebraiche e cristiane. Nel Cristianesimo, l’uso dell’acqua a scopo purificatorio, in particolare per chi entra in chiesa e per il sacerdote, prima di iniziare la messa, è un altro esempio di abluzione parziale al passaggio da una zona profana a una zona sacra.
Come gli esseri umani si sottopongono a un’abluzione prima del contatto col sacro, anche gli dei talvolta si lavano prima di esporsi alla gente comune. Nel rituale quotidiano e accuratissimo di un tempio egizio, la statua sacra veniva purificata ogni mattina con acqua, natrón e incenso. Nel Giainismo indiano le statue degli dei si lavano ogni mattina, e non è ammesso adorare nel tempio senza aver fatto un bagno e indossato vesti pulite. Si purificano con acqua anche le offerte prima di presentarle agli dei (nell’antico Egitto, sulle offerte si versavano libazioni). Nelle Testimonianze del rituale e della musica del Tempio Sacro nel Confucianesimo cinese, la cui ultima edizione è del 1887, si forniscono norme precise per i riti purificatori nel cerimoniale confuciano. Quindici giorni prima della cerimonia sacrificale il custode del tempio e i suoi assistenti vanno nel parco dove si tengono gli animali e ne scelgono alcuni immacolati. Li lavano ritualmente con acqua calda ogni giorno fino al momento del sacrificio. In tutti gli esempi citati, l’abluzione non ha lo scopo di eliminare la sporcizia o l’impurità, ma è un atto simbolico compiuto dall’uomo per prepararsi e rendersi idoneo ad attraversare un confine socioculturale. Il passaggio fra due forme sociali è un avvenimento ambiguo, quindi impuro e bisognoso di purificazione.
Quando le forme sociali vengono intaccate si ha contaminazione e si rende quindi necessaria la purificazione, spesso sotto forma di abluzione. Perciò le abluzioni sono spesso un elemento ben preciso nei riti della pubertà, nei quali la transizione dall’infanzia all’età adulta viene attuata e segnata simbolicamente. Nelle isole Fiji, alla chiusura delle cerimonie di ingresso nell’età adulta, tutti gli iniziati scendevano al fiume e si ripulivano della tinta nera (colore della morte) con cui erano stati dipinti. Qui l’abluzione è il segno dell’entrata in una nuova fase della vita, una specie di rituale di morte e rinnovamento. Le usanze thonga del nubilato prescrivevano per le ragazze un periodo di ritiro alla comparsa delle mestruazioni. Affrontando questo passaggio, venivano ricoperte ogni mattina con un panno, condotte ad una pozza e quivi immerse fino al collo. Dopo di che venivano chiuse in una capanna, dove ricevevano istruzioni sul comportamento e i doveri di una donna adulta. Analogamente, i ragazzi thonga subivano un periodo di ritiro, durante il quale ricevevano istruzioni e venivano imbrattati con tinta bianca, o argilla bianca, simbolo dell’uscita dalle tenebre dell’infanzia. Terminato il periodo di segregazione, si distruggevano tutti gli utensili scolastici, i ragazzi erano condotti a un ruscello, dove si ripulivano della tinta bianca, si tagliavano i capelli e si rivestivano a nuovo.
Il rito d’iniziazione è un morire e rinnovarsi simbolico, sovente espresso con l’immersione in acqua. I proseliti dell’Ebraismo, per esempio, dovevano sottoporsi all’immersione prima di entrare nella nuova vita di credenti. Allo stesso modo, il battesimo cristiano è un rito d’iniziazione che comprende tutto il simbolismo della morte e della resurrezione, per marcare il passaggio dal mondo alla chiesa, dal peccato alla grazia, dalla terra impura al puro regno di Dio.
Il parto e la morte, ingresso e partenza dal mondo dei vivi, sono fasi di passaggio fondamentali e quindi pericolose. In molte culture, quello dopo il parto è un periodo di impurità per la donna, durante il quale può contaminare coloro, in particolare gli uomini, che vengono in contatto con lei. Perciò deve essere ritualmente purificata (per esempio, con abluzioni) prima di riprendere lo stato normale e tornare alle mansioni ordinarie. Presso gli Inuit (Eschimesi) una donna incinta deve allontanarsi dal marito, lasciando il luogo di residenza abituale, altrimenti potrebbe contaminare il cibo. Subito dopo il parto dovrà lavarsi dalla testa ai piedi e, dopo la prima notte seguente al parto, dovrà farsi nuovi indumenti. Solo così verrà riammessa nella società. Usanze analoghe vigevano nell’antico Egitto. Durante e dopo il parto la donna rimaneva chiusa in una casa speciale, detta «casa del parto» o «casa della purificazione», dove per quattordici giorni si purificava con abluzioni e fumigazioni d’incenso. Compiuta la purificazione, poteva riprendere i suoi doveri domestici. Anche l’Ebraismo ha norme rigorose per la purificazione della donna dopo il parto, regole illustrate nel Levitico 12,18. Il periodo di impurità varia secondo il sesso del neonato: se maschio, l’impurità dura quaranta giorni, se femmina, il doppio. Per tutto questo tempo «essa [la madre] non toccherà alcuna cosa ritenuta sacra, né entrerà nel santuario». Alla fine del periodo di impurità, deve offrire un agnello e un piccione o una tortora.
Anche il contatto con un cadavere richiede abluzioni purificatrici, in particolare per coloro che lo maneggiano, apprestano la tomba e si occupano della sepoltura. L’attività di costoro si pone nella zona intermedia fra la morte e la vita ed è perciò in special modo pericolosa e contaminante. Nell’America settentrionale, fra le tribù indiane della costa nordoccidentale il compito di sistemare la salma spetta ai necrofori (mai membri della famiglia), i quali perciò restano contaminati e, oltre alle particolari restrizioni riguardanti il cibo e i rapporti sessuali, debbono ricorrere alle abluzioni. Presso i Thonga, i necrofori – che, ripetiamo, non possono essere parenti del defunto – sono tenuti al rito dell’abluzione dopo la sepoltura e, unitamente alle proprie mogli, debbono anche purificarsi con bagni di vapore. Sia agli uni che alle altre è prescritto di usare per cinque giorni cucchiai speciali e di non mangiare dal piatto comune. La purificazione è estesa anche alla capanna in cui è avvenuta la morte. Gli Indiani Thompson, per esempio, usano lavarla con acqua.
Spesso vedovi e vedove partecipano dell’impurità causata dalla morte del coniuge. Nelle varie tribù dei Dene e dei Salish, la vedova è considerata particolarmente impura: deve ritirarsi nelle foreste per un anno, compiere riti purificatori, bagnarsi nei ruscelli, fare bagni di vapore e di sudore. A coloro che partecipano al culto degli antenati si richiede spesso di sottoporsi ai riti di purificazione, presumendo che possano aver avuto contatti particolari col defunto. In Cina, il coniuge del defunto è tenuto a vegliarlo, ad osservare le regole del digiuno e a lavarsi il capo e il corpo prima di offrire un sacrificio agli avi. Nell’antico Egitto, frequenti abluzioni facevano parte del rituale in onore dei morti o degli dei, per un buon ingresso nella nuova vita. Nel «luogo della purificazione» (cioè nel laboratorio dell’imbalsamatore) il cadavere veniva lavato con acqua e altri liquidi per conservarne l’integrità durante lo stato intermedio fra la vecchia e la nuova vita. Le ampie e complesse norme purificatone dell’antico Israele includevano l’obbligo che «chiunque, del vostro paese o straniero, abbia mangiato di un animale trovato morto o sbranato, si laverà e laverà le proprie vesti e sarà impuro fino alla sera» (Lv 17,15).
Fra gli Amba dell’Africa orientale, i funerali si celebrano quasi sempre il giorno stesso della morte e vengono esclusi dal rito i parenti stretti del defunto. La prima cerimonia dopo la morte è il rito funebre più importante. All’alba del quarto giorno dalla morte, tutti gli uomini e le donne della comunità fanno un bagno e quindi si radono il capo. Dopo di ciò incomincia una lunga cerimonia funebre. Bagno e rasatura sono necessari per annullare i pericoli e l’impurità insiti nella sfera fra la vita e la morte.
Il matrimonio è un altro rito di passaggio, quindi le abluzioni fanno spesso parte dei suoi preliminari. In Attica, nella Grecia classica, la sposa veniva purificata con acqua di sorgente sacra, in preparazione della cerimonia nuziale. Nella parte meridionale di Celebes, lo sposo si bagna in acqua sacra, mentre la sposa viene suffumigata. In tutti i paesi musulmani la purificazione della sposa con acqua e la truccatura con henné sono i preliminari più importanti del rito nuziale. Il bagno ha luogo un giorno o due prima che la sposa parta per la casa dello sposo.
Ampie abluzioni fanno ancora parte essenziale della vita, fortemente ritualistica, dei Mandei, setta gnostica risalente all’antichità, i cui attuali aderenti vivono a Bagdad e in alcune regioni dell’Iraq meridionale. Con le abluzioni, i Mandei cancellano l’impurità che essi vedono in varie situazioni marginali della loro vita sociale. Come tutti i poteri che fanno parte di un certo sistema sociale, lo esprimono, così anche i poteri contaminanti sono espressione della struttura delle idee. Per capire la funzione delle abluzioni in tali società, è necessario definire che cos’è l’impurità. Essa è una punizione, o «una rottura simbolica di ciò che dovrebbe essere congiunto, oppure la congiunzione di ciò che dovrebbe essere separato» (Douglas, 1966, p. 113). Il concetto di impurità e di rito di abluzione ricorre perciò solo nelle culture in cui le strutture sociali e cosmiche sono chiaramente definite e rigorosamente mantenute.
I Mandei sono portatori di una cultura di questo genere, che essi, come gruppo di minoranza, cercano in tutti i modi di conservare intatta. Poiché il corpo umano funziona come simbolo della società, i limiti del corpo fisico simboleggiano quelli del corpo sociale. I rituali, specialmente fra le minoranze, sono espressione di profonda ansietà circa il rifiuto del corpo; ciò rappresenta la preoccupazione di proteggere l’unità del gruppo e i suoi ben definiti confini. Lo stesso fenomeno è riscontrabile in molte regole purificatone degli antichi Israeliti, altra minoranza religiosa. I Mandei seguono un sistema elaborato di abluzioni, in particolare per la nascita, il matrimonio, i rapporti sessuali e per la morte, aspetti, cioè, della vita umana in cui gli orifizi del corpo sono decisamente importanti, o in cui i confini del corpo vengono violati. Nascita, morte, matrimonio, coito, contaminano quanti vi sono coinvolti; costoro vengono dunque separati dagli altri fintanto che non si purificheranno con l’abluzione (in questo caso mediante l’immersione in acqua viva). All’approssimarsi del parto, la donna si lava e appresta un luogo appartato dalla famiglia. Come il bimbo viene alla luce, la levatrice lo lava e la puerpera deve immergersi tre volte nel fiume e rimanere appartata per un certo tempo. Anche alle stoviglie che essa usa va fatta un’abluzione rituale. Madre e figlio debbono sottoporsi a numerose abluzioni e immersioni prima di poter rientrare nella vita normale. Se durante questi riti, che si svolgono all’aperto e nell’acqua spesso fredda del fiume, il bimbo sporca o bagna la veste del sacerdote officiante, questi prosegue la cerimonia come se niente fosse accaduto, ma deve poi farsi fare un’abluzione completa da un altro sacerdote. Succede spesso, poi, che nel corso di una prova così severa il neonato muoia. La cerimonia prosegue allora sostituendo al bimbo morto un pupazzo di pasta, allo scopo di assicurare alla sua anima un felice viaggio verso il regno della luce. Il sacerdote, però, resta contaminato dal contatto con la morte e deve subire una triplice immersione e provvedersi di nuove vesti e di nuovi utensili sacerdotali prima di poter riprendere le sue mansioni. Tutto questo dimostra il potere contaminante della morte. Un uomo non può morire con indumenti profani: approssimandosi la morte, viene portata acqua di fiume, il morente viene svestito, quindi asperso tre volte da capo a piedi. Poi viene sollevato, posto su di un giaciglio pulito rivolto verso la stella polare e infine rivestito con nuove vesti rituali. In questo modo viene assegnato al morente un posto nell’ordine cosmico ed egli può attraversare il confine fra la vita e la morte. Superfluo aggiungere che il funerale vero e proprio è accompagnato da un’accurata abluzione dei presenti e degli oggetti cultuali.
Al matrimonio, gli sposi si sottopongono a due immersioni in acqua nella capanna del culto rituale, o mandi; poi si danno loro nuove vesti rituali. La cerimonia nuziale ha un chiaro simbolismo cosmico, in cui l’ordine sociale è riferito all’ordine cosmico. Immersioni e abluzioni sono elementi di pratica quotidiana fra i Mandei e procurano protezione e longevità, dal momento che l’acqua è il fluido vitale per eccellenza. Hanno, inoltre, effetto purificatorio, cancellando la contaminazione in situazioni marginali. I Mandei hanno tre forme di abluzione rituale. La prima è compiuta da ciascuno di loro individualmente e quotidianamente, poco prima del levar del sole, ossia al limite fra le tenebre e la luce. La seconda è la triplice immersione nel fiume (per le donne) dopo la mestruazione e dopo il parto, (per tutti) dopo il contatto con un cadavere, dopo il coito, dopo una polluzione notturna o dopo il contatto con persone contaminate, visto che l’impurità è contagiosa. La terza abluzione, detta masbuta («battesimo»), è fatta da un sacerdote e deve aver luogo ogni sabato dopo gravi contaminazioni. Non solo il corpo umano e i suoi meati hanno bisogno di abluzioni, ma anche gli ortaggi e il cibo, che vengono perciò immersi tre volt...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Il rito e l’uomo
  6. DIZIONARIO DEI RITI
  7. Elenco delle voci