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Riti e miti social

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Le nostre identità digitali sono composte da sentimenti e informazioni sempre più strettamente intrecciati tra loro. Quando condividiamo via web ci sentiamo al contempo più gratificati e più informati. Sempre presenti e al contempo proiettati in un altrove, siamo come anime elettriche in estasi permanente. Perché nella ribalta mediatica dei servizi gratuiti, dove ci esercitiamo nella disciplina della pornografia emotiva, si disegna una diversa unità tra mente e corpo. Ci troviamo in uno spazio continuo di sollecitazioni e senza accorgerci siamo alla mercé di un potere dopante e manipolatorio. Ma la partita è tutta da giocare. Con uno sguardo antiproibizionista Ippolita fa un nuovo giro dietro le quinte della società del controllo, alla ricerca di vie di fuga e strategie di autodifesa.

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Informazioni

Editore
Jaca Book
Anno
2020
ISBN
9788816801806
Categoria
Sociologia

PORNOGRAFIA 2.0

Gli incorporei si rispecchiano nei corpi
e i corpi a loro volta negli incorporei
Corpus hermeticum

Pornografia emotiva

Pornografia etimologicamente significa «scrivere, disegnare prostitute» dal greco porne, «prostituta» (dal verbo pernemi, «vendere»), e grafia, «scrittura». Riguarda il godimento di qualcosa che è visibilmente esplicito, che si guarda o si legge. Diffusa dalla notte dei tempi in ogni strato sociale, al contempo la pornografia è invisa al tradizionale moralismo e va tenuta nascosta.
La società occidentale ha fatto dell’occhio la condizione e la garanzia del sapere: oida in greco significa allo stesso tempo «ho visto» e «so, conosco». Poiché per vedere occorre luce, la luce è la metafora più usata e abusata per esprimere l’accesso alla conoscenza e alla verità. L’ambito della pornografia si amplia, nell’era della riproducibilità tecnica, dalla rappresentazione della prostituzione a tutto ciò che può essere esposto, quindi colpito dalla luce, visto e conosciuto.
Nelle nostra requisitoria contro i media commerciali utilizziamo spesso l’espressione pornografia emotiva. Si tratta di una trasposizione del fenomeno nel campo della vulnerabilità personale. L’esempio di pornografia emotiva più conosciuto al pubblico è senz’altro quello inaugurato dallo show televisivo internazionale de «Il Grande Fratello» in cui i partecipati, costretti a interagire in condizioni di clausura, sono portati a esibire la precarietà del proprio controllo emotivo. Più si costeggia l’umiliazione, maggiore sarà l’audience. Questo genere di esposizione può essere definito pornografico perché si tratta della resa pubblica di aspetti intimi di fragilità che giudicheremmo sconveniente esibire. Invece, grazie alle luci della ribalta, l’imbarazzante diventa eccitante.
Quello che ci eccita segretamente è lo sconfinamento dell’imbarazzo per una pratica impudica, nella sua visibilità sociale. L’intimo privato viene normalizzato in pubblico, diventa accessibile. Non si tratta di un oggetto ma di un movimento: portare allo scoperto ciò che è nascosto. È questa penetrazione forzata della luce rivelatrice, dello sguardo indagatore, a generare eccitazione. La costrizione ci obbliga a un momento di verità. Un momento cioè in cui l’individuo non può mentire perché è obbligato al punto da dover esibire la profondità del proprio animo. L’emozione si muove verso l’esterno e prorompe nell’esibizione spettacolare. Come vedremo nei prossimi capitoli si tratta di una ricerca della verità molto antica: nel cristianesimo delle origini il peccatore era costretto a rivelare la verità su di sé attraverso la pubblica umiliazione.
La penetrazione dello sguardo può essere violenta, ma la violenza può essere esercitata anche sotto forma di tortura classica per far emergere la verità nascosta del corpo di fronte alla folla radunata. Lo splendore dei supplizi nella Francia del XVII secolo, così nominato da Michel Foucault, indica proprio la macchina scenografica con cui il potere teatralizza la tortura ai fini della comunicazione politica1.
Attualmente ci troviamo in una fase di transizione storica in cui l’ethos tecnologico della trasparenza radicale mira a farla finita non solo con la privacy, ma anche con l’intimità tout court, associando automaticamente la mancata esibizione con una presunta manchevolezza da nascondere.
D’altra parte, mostrare in pubblico ciò che «non si può» o «non si deve» o «non sta bene» può essere liberatorio, come confermano le pratiche trasgressive. Tuttavia, vale per la pornografia ciò che vale per la risata: se si rivolge contro il perbenismo dispotico e ipocrita apre uno spazio di libertà; se invece si rivolge contro chi vive uno stato di subalternità o emarginazione per dileggiarlo, aumenta il conformismo generale ed è una tecnica di oppressione2. Infatti nella maggior parte dei casi, non si tratta di sbeffeggiare la borghesia come accade nei film di Buñuel, ma viceversa di accusare di moralismo chiunque non voglia esporre le proprie viscere sul mercato bio-politico del web. Nei dispositivi commerciali il potenziale trasformativo insito nel desiderio di liberarsi dal bigottismo, anche attraverso gesti emotivamente radicali, viene abilmente ricondotto a una mentalità di esposizione automatica delle viscere. Diventa cioè pericolosamente normalizzante.
La pornografia è una tecnica3 e come tale non è affatto neutrale, ma ha un suo preciso obiettivo: stimolare un riflesso incondizionato, un automatismo. E non importa se positivo o negativo (piacere o senso di colpa). Si caratterizza per la sua penetrante velocità e questa rapidità non può che far gola all’inclinazione turbo-capitalistica. Curiosità insoddisfatta. Eccitazione, culmine, rilassamento e immediata ricerca di nuova eccitazione: questo schema di normalizzazione, che regola l’emotività come un circuito di input-output, può essere usato praticamente in qualsiasi campo cognitivo. La strategia della gamificazione, come vedremo più avanti, è una delle più potenti normalizzazioni dell’esperienza cognitiva.
Anche la politica può essere pornografica, ad esempio quando esibisce la propria corruzione. Anche in questo caso si tratta di sfidare il senso comune palesando con arroganza un momento di verità. L’obiettivo è portarci a godere di questo coraggio, quasi come fosse un momento parresiastico, di intima verità. Anche l’ambito medico può diventare pornografico. Si pensi a tutte le serie televisive in cui si esibiscono le emergenze ospedaliere. Viene esplicitata la tensione emotiva e la corruzione corporea provocata dal trauma e dalla malattia; stati di debolezza e sofferenza che fino a poco tempo fa godevano del silenzio e della riservatezza propria solo dei luoghi di culto. Il pornografico dunque può diventare un utile strumento di domesticazione politica, di pubblico addestramento.
La pornografia patriarcale riguarda il carattere di oscenità che attribuiamo a una pratica o a un’immagine. Lo spettacolo pornografico è una semplificazione studiata per essere al contempo riduttiva e ipertrofica, dove i tratti descrittivi che caratterizzano la scena sono esigui e per questo resi in modo grossolano.
L’osceno a essa collegato ha una doppia filiazione: morale e fisica. La prima afferisce a ciò che riteniamo illecito o licenzioso, la seconda alla materia vischiosa e rapidamente deteriorabile delle secrezioni corporee, i segreti del corpo. La categoria del pornografico implica sempre una certa domanda di oscenità.
Nella logica del sé come prodotto da vendere (self branding) propria dei social commerciali, distinguersi significa dosare sapientemente momenti di fraterno conformismo a brevi picchi di estro individuale. Certo, un utente può scegliere di caratterizzare il proprio profilo attraverso i versi di un raffinato quanto oscuro poeta, o una galleria di immagini di tetti imbiancati dalla neve; ma se voglio ricevere una serie di risposte gratificanti dovrò dare qualcosa di più intimo, raccontare la mia vita reale nel particolare, non un paesaggio interiore o un moto lirico dell’anima. Per esempio, fotografare i lividi sul corpo dovuti all’uso spericolato della mia BMX: postare primi piani delle mie ferite di guerra è senza dubbio più eccitante, radicale, diretto che una poesia crepuscolare. Agglutina consenso e quindi restituisce gratificazione.
La pornografia emotiva diventa un nuovo stile di consumismo che, dai talent-show alle serie televisive, ci modifica spingendoci a praticare un certo grado di indifferenza e sarcasmo che ci fa sentire incredibilmente postmoderni, al di là della realtà stessa. Sappiamo bene che con l’avvento dei social network commerciali non siamo più solo utenti passivi, diventiamo anche produttori. Dunque il mantenimento di queste protesi emotive ultra-sensibili diventa un vero e proprio impiego, un lavoro impegnativo per quanto non retribuito.
La pornografia afferisce al mondo della vista, ma si tratta di un occhio tattile, un occhio aptico, che concretamente «tocca» corde sensibili; in questo senso pornografia «tradizionale» e pornografia emotiva si muovono nello stesso territorio. Per toccare, l’occhio ha bisogno di portare allo scoperto, di muoversi in un territorio chiaro, trasparente, privo di zone d’ombra. Occorre dunque un’architettura che aiuti a mettere in rilievo e sia anche porosa, in grado di assorbire la luce e sensibile alle emozioni.
Nei social network il framework, la matrice di lavoro condivisa, è in grado di far reagire il corpo psichico come se fosse un corpo fisico. Rende cioè palese l’unità psico-somatica dell’individuo. Il corpo digitale, il profilo che utilizziamo quando siamo loggati sulla piattaforma, è in grado di reagire trasduttivamente sia come sensazione (fisica) che come percezione (elaborazione psichica di senso): il like ricevuto va a toccare (come una carezza) e a significare (come un complimento).
Carezza e complimento sono «travestite» da informazioni, nel senso che hanno in effetti anche lo statuto di informazioni. In questo modo possiamo formalmente immagazzinare molte «informazioni» con la sensazione di aver ricevuto molte carezze ed elogi. Dunque ci sentiamo al contempo più apprezzati e più «informati». Atto estremo di formazione che il dispositivo compie sull’utente, addestrandolo progressivamente a una sempre più efficiente performatività funzionale.
Per ottenere questo tipo di disciplina bisogna usare sapientemente quella che Foucault chiamava l’arte oscura della luce: essa deve essere come uno sguardo senza volto che trasforma tutto il corpo sociale in un campo di percezione4.
In effetti l’insieme umano del social media può, in alcuni casi, muoversi come un corpo sociale unico, cioè reagire agli stimoli proiettandone gli effetti virali su tutte le zone di sensibilità che riesce a trovare. I dati sensibili si chiamano «sensibili» perché riguardano la vulnerabilità delle persone. La stimolazione vigorosa di un’emozione genera sempre una reazione, a prescindere che l’emozione stessa sia più o meno repressa, giudicata giusta o sbagliata. Se la stimolazione è automatica, irriflessa e inconsapevole, a lungo andare può dar luogo a una certa assuefazione. Un tipo particolare di disciplina che lavora sull’intelligenza emotiva.
Il rischio è che i nostri muscoli culturali perdano la capacità di reagire a uno schiaffo perché hanno bruciato la capacità di sentirlo. Ma anche di reagire a una carezza non mediata dal digitale.
È una dinamica che possiamo osservare in quegli utenti esposti da tempo al dispositivo, soggetti molto attivi che hanno già donato una mole impressionante di dati e intrattenuto relazioni di ogni tipo. Cosa succede in questi casi? Se l’utente è come una fonte, un pozzo petrolifero o un filone aurifero, accade che, presto o tardi, si esaurisce. In questi casi o si scava più a fondo oppure si cercano nuove vie per estrarre petrolio, ossia informazioni, emozioni, dati. A questo serve la proliferazione di stimoli, notifiche e servizi aggiuntivi. Il tossico va sempre tenuto in regime di dipendenza, l’assuefazione deve essere controllata e resa funzionale al mantenimento di un consumo massiccio di sostanze, in questo caso le interazioni sui social. Gli stupefacenti possono cambiare, ma non si deve mai e per nessun motivo smettere di far uso della sostanza, ossia di fornire la propria materia prima al social network.
Accade tuttavia che l’esposizione prolungata esaurisca l’utente. La stella che fino a ieri irradiava calore ed energia spontaneamente, in forza delle continue fusioni nucleari che avvengono nella sfera psico-emotiva, si esaurisce e diventa come una gigante rossa, una stella nella sua fase terminale. Ha già dato tutto quello che poteva, la massa di dati donata è immensa ma ormai si sta raffreddando, le interazioni diventano minime, la sua vita sui social cambia di stato. Continua a essere un utente attivo, ma muta l’intensità del proprio essere social.
Questa dinamica è però reversibile. Può capitare che torni a essere iper-attivo se un evento riesce a scuoterlo, a raggiungerlo: un disastro ambientale in Sud America o in Cina, un terremoto, un attentato terroristico, nuove elezioni. Comunque sia, l’obiettivo della trasparenza radicale è addestrare soggetti che siano il più possibile machine readable, cioè intellegibili all’apparato delle macchine. La pornografia emotiva è una tecnica rapida, di facile sistematizzazione, strettamente legata al piacere e al senso di vulnerabilità. Ben si inserisce dunque nel contesto strutturalmente ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. HORS-D’ŒUVRE
  6. PORNOGRAFIA 2.0
  7. METAMORFOSI
  8. CONFESSIONE
  9. GENIUS
  10. ALGOCRAZIE
  11. GOVERNANCE
  12. CONCLUSIONE
  13. RINGRAZIAMENTI
  14. PARTES CONSTRUENTES, INIZIO 2016