Il Life Coaching
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Informazioni sul libro

Una nuova tecnica al servizio delle potenzialità e della creatività indivualeLo scopo del life coaching è quello di vivere secondo le nostre idee e i nostri ideali, ciò rende i nostri desideri degli obiettivi in armonia con la nostra identità più profonda.Questo libro tocca e analizza dettagliatamente i principali punti del life coaching: autosviluppo, autoefficacia, risultati, potenzialità, creatività, obiettivi, piani di azione, chiarezza di intenti. Il modello a cui il life coaching si ispira è l'essere umano che si realizza attraverso la piena espressione di tutte le sue potenzialità, la cui natura interiore si esprime liberamente.E' un libro che fornisce gli strumenti di base per poter chiarire che cosa vogliamo realmente fare nella vita e passare alla pratica, attraverso tappe intermedie, realizzando i nostri propositi, per passare dal dire al fare.Il Dr. Luca Stanchieri è un coach professionista da molti anni, vive e lavora a Roma, conduce seminari orientati particolarmente al life coaching, cioè quella branca del coaching che si occupa degli aspetti connessi alla vita e alla realizzazione dell'individuo.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788866230182
PARTE I . I presupposti del Life Coaching
L’AUTOGOVERNO INDIVIDUALE
Il coaching è una tecnica, le cui basi teoriche sono eclettiche. Spaziano dalla psicologia alla filosofia, dalla pedagogia all’antropologia. Il coaching serve a raggiungere i propri obiettivi, a trasformare i propri desideri in piani di azione. Nella conversazione di coaching si parte dal focus, inteso come problema da discutere, compito da svolgere, situazione da raggiungere e costruire, relazioni da modificare, sviluppare, ecc... Il focus può essere uno qualunque degli aspetti della vita quotidiana. I risultati si manifestano esternamente alla persona, non si tratta cioè di semplice consapevolezza delle proprie emozioni, di ristrutturazione cognitiva, di elaborazione filosofica della propria esistenza. Si tratta di trasformare tutto l’insieme in una quadro contestuale che stimoli il raggiungimento di risultati concreti, verificabili e misurabili all’esterno della persona. Questo è il grande punto di forza, ma è, paradossalmente, anche il grande punto di debolezza. L’effetto collaterale indesiderato è uno sforzo tremendo al fine di raggiungere e concretizzare desideri che, una volta ottenuti, non soddisfano. Nello straordinario film di Alan Parker, The Life of David Gale, il professore Gale, magistralmente interpretato da Kevin Spacey, dice ai suoi studenti: «Voglio che frughiate nelle vostre menti e diciate a me e a tutti noi su che cosa vertono le vostre fantasie. La pace nel mondo?» – silenzio. – «Lo sapevo – risate. – Forse sognate la fama a livello internazionale o magari sognate di vincere un giorno il premio Pulitzer o il premio Nobel per la pace o il Music Award di MTV o invece abbordare qualche bel camionista apparentemente rozzo ma segretamente fremente di nobile passione e desideroso di darvene prova tangibile» – «Io ne prendo due» – dice una studentessa – risate. «Hai compreso la teoria di Lacan. Le fantasie non devono essere mai realistiche. Poiché nel momento in cui otteniamo ciò che cerchiamo, non lo vogliamo. Non possiamo volerlo più. Per continuare ad esistere, il desiderio deve avere i suoi oggetti eternamente assenti. Non è quella cosa che noi vogliamo, ma la fantasia di quella cosa. Il desiderio non vi renderà mai felici. Per essere pienamente umani, bisogna cercare di vivere secondo le nostre idee ed i nostri ideali, non certo misurando la vita in base a quanto avete raggiunto dei vostri desideri, ma in base ai piccoli momenti di integrità, compassione, razionalità, a volte sacrificio. Poiché alla fine, se vogliamo veramente verificare il significato della nostra vita, dobbiamo dare valore alla vita degli altri.»
Il sapere di non sapere socratico torna di estrema attualità nella nostra epoca. Ripensando al vecchio filosofo ateniese, ci torna alla mente il contributo decisivo che ha dato alla vita di infinite generazioni future. Socrate ha messo al centro della riflessione sull’esistenza, individuale, di relazione e collettiva, la domanda. La domanda è il cuore della filosofia socratica, ed è il principale debito del coaching verso la filosofia. Come vogliamo vivere la nostra vita? Come vogliamo rapportarci agli altri? Che significa per noi integrità?
Un giorno, una mia cliente che aveva impostato la sua vita soprattutto su relazioni di potere/dipendenza, superiorità/inferiorità, mi disse che il suo obiettivo era cambiare queste relazioni. Avrebbe voluto relazioni paritarie e costruttive del bene comune. Cosa si intende per “bene”? Cosa dovrebbe accadere per rendere le relazioni costruttive del bene?
Il professor Gale ci dice: «Per continuare ad esistere, il desiderio deve avere i suoi oggetti eternamente assenti.» Ed allora che senso ha darsi obiettivi e fare di tutto per raggiungerli?
Il rischio concreto è un’eterna insoddisfazione. Si trasformerebbe la propria vita in un treadmill (i nastri da palestra), dove si percorrono chilometri, si suda come pazzi, ma si rimane sempre allo stesso punto. A meno che...
A meno che gli obiettivi esterni non siano armonici con i valori, l’integrità, la filosofia di vita interni. È qui che si gioca la vera partita, qui sta la verifica pratica. “Cercare di vivere secondo le nostre idee ed i nostri ideali”, è questo il punto, il quadro all’interno del quale il life coaching può operare al meglio. Perché le nostre idee e i nostri ideali rendono i desideri obiettivi armonici con la nostra identità più profonda, divengono fini armonici ai mezzi usati per raggiungerli. Quelli del professor Gale sono desideri alienanti, estranei alla propria personalità, soluzioni fittizie attraverso le quali cerchiamo di compensare le nostre insoddisfazioni. Cercare di essere integri: questo è l’obiettivo massimo, il nostro obiettivo da sogno, che ispira tutti gli obiettivi concreti.
Il coaching è una professione molto giovane. Si è affermata negli Stati Uniti all’inizio degli anni novanta ed è in continua crescita. Eppure le sue origini sono rintracciabili molto tempo addietro.
Il coaching ha un debito forte con la psicologia generale (non con la psicoterapia, come vedremo). Secondo Williams e Davis (Williams e Davis, Therapist as life Coach, New York, 2002), possiamo rintracciare elementi del coaching nell’opera di Alfred Adler, medico e psicologo austriaco, che si distaccò dal movimento freudiano agli inizi del novecento. Per Adler, ogni individuo sviluppa un approccio unico alla vita, in cui cerca di superare permanentemente i propri limiti. “Adler vedeva ogni persona come creatore e artista della sua stessa vita e frequentemente coinvolgeva i suoi clienti nello stabilire obiettivi, pianificare la vita, inventare il loro futuro.” (Williams e Davis, op cit., p. 11). Adler fondò la psicologia individuale, pensando che l’intervento psicologico e pedagogico, nei confronti dei meno abbienti, avrebbe permesso loro di avere le risorse per cambiare la società ed eliminare le ingiustizie sociali.
Altri psicologi, molto pochi purtroppo, hanno incentrato le loro teorie sui processi di sviluppo e cambiamento, piuttosto che su quelli di cura e malattia. Il più rappresentativo della prima metà del secolo scorso è sicuramente Jung, il quale fondava gran parte dei suoi interventi sul concetto di individuazione del sé, incoraggiando i propri “pazienti” a vivere coscientemente le loro vite attraverso i loro talenti naturali e le loro predisposizioni.
Su questa scia uno dei contributi più interessanti è stato quello di Abraham H. Maslow.
A differenza di Freud e di altri autori psicoanalitici, oggetto di studio di Maslow non sono le nevrosi o le psicosi, ma le persone sane, quelle che tendono verso lo sviluppo e l’accrescimento di sé. Come ha suggerito Maslow, l’intervento di coaching non si fonda sulla cura di patologie, ma sullo sviluppo e l’autorealizzazione di persone che già vivono in salute. Il modello a cui Maslow aspira è l’essere umano che si realizza attraverso la piena espressione di tutte le sue potenzialità, è l’essere umano la cui natura interiore si esprime liberamente, anziché essere deformata, repressa o negata.
A differenza della psicoterapia che, di norma, investiga il passato alla ricerca delle cause di conflitti o mancanze, il coaching, seguendo gli insegnamenti di Maslow, si occupa del senso del futuro. Lo sviluppo, il divenire, la potenzialità poggiano su desideri, sogni, obiettivi e piani da attuare nel futuro per raggiungerli. L’apprensione, la paura, il rischio si possono porre come potenziali ostacoli per impedire nel presente che le potenzialità e le speranze abbiamo legittima cittadinanza. Questo tempo futuro vive in modo dinamico nel presente. L’autorealizzazione è infatti priva di significato se si riferisce ad un futuro di là da venire. Il futuro è attivo in ogni momento del presente e nella seduta di coaching lo è al massimo grado, in quanto questa prefigura ciò che può accadere, attraverso la discussione e l’individuazione di ideali, speranze, doveri, compiti, progetti e finalità.
Ogni desiderio e obiettivo è individuale, irripetibile e imparagonabile. Il nostro è un intervento idiografico. Il concetto di fondo è che ogni essere umano è unico. Al contempo ogni essere umano, in quanto umano, è appartenente alla sua specie. Come tale, ha degli istinti fondati biologicamente, che poi persegue, coltiva, costruisce individualmente. Uno di questi istinti fondamentali è la tensione all’autorealizzazione. Ogni intervento di coaching, per quanto peculiare e irripetibile, è un passo verso l’autorealizzazione individuale, per come la percepisce, crea e costruisce il cliente.
L’autorealizzazione è una fase in cui i poteri della persona si raccolgono in modo particolarmente efficiente e intensamente godibile e sui quali la persona è integrata, aperta all’esperienza, più specificatamente individuale, più pienamente espressiva, spontanea, e pienamente funzionante, più creativa, più ricca di umorismo e più facile a trascendere il suo Io. Un mio cliente, in una fase di autorealizzazione, si è definito come un “vulcano liberato”.
L’autorealizzazione è parte del processo di autoaccrescimento, nel quale la persona affronta una serie infinita di libere scelte, superando le angosce della paura del cambiamento per i piaceri dell’accrescimento e dello sviluppo. Secondo gli studi di Maslow, la persona che persegue il proprio autoaccrescimento e autorealizzazione si denota per il gusto della vita, per serenità, gioia, calma e responsabilità. Non è vero che la persona autorealizzata non ha problemi o dolori, anche angoscianti. I problemi ed il dolore fanno parte della dimensione umana. Ma, in più, la persona autorealizzata ha fiducia nelle proprie capacità e quindi ha più forza. Una forza serena, gentile e costruttiva che gli permette di affrontare con spirito saldo i propri problemi, preoccupazioni e difficoltà. Invece, la persona che rinuncia ad autorealizzarsi e vive in base al timore del cambiamento e dello sviluppo, prova sentimenti quali angoscia, disperazione, senso di colpa e di vergogna intrinseci, senso di vuoto e carenze nella propria identità.
Questo perché l’autorealizzazione è una spinta istintiva innata che preme per esprimersi. Le capacità individuali non sono solo potenzialità, sono anche bisogni da soddisfare. “Le persone intelligenti dovranno usare la propria intelligenza, le persone dotate di occhi dovranno impiegarli, le persone dotate di capacità di amare avranno l’impulso di amare e la necessità di amare, per sentirsi sane. Le attitudini pretendono di essere sfruttate e cessano di protestare soltanto quando vengono adoperate in misura sufficiente. Vale a dire, le capacità sono bisogni, e pertanto sono pure valori intrinseci.” (Maslow, Verso una psicologia dell’essere, Milano, 1971, pag. 154).
La persona che tende verso l’autorealizzazione esprime un forte grado di accettazione di sé, non ha paura dell’altro né dei propri impulsi, emozioni e pensieri. I dubbi, le incertezze, la sospensione dell’azione non sono traumi, ma sfide piacevolmente stimolanti. La mancanze di censure e repressioni interiori si accompagna alla mancanza di paura verso l’ignoto, il misterioso e lo sconcertante. Questa globalità e integrazione di sé permette le migliori condizioni per la creatività, i cui risultati non sono altro che epifenomeni della tendenza ad autorealizzarsi.
La creatività, la personalità e l’autenticità, la sollecitudine per gli altri, l’essere capaci di amare, l’anelito verso la verità, sono potenzialità embrionali che derivano nell’essere umano dall’essere membro della sua specie, almeno quanto gli deriva l’avere braccia, gambe, cervello e occhi. Sono tendenze proprie della natura umana. Sono istinti, che chiedono di essere coltivati, curati, espressi in forma creativa e costruttiva.
Questi istinti prettamente umani, a differenza degli istinti animali, sono però deboli, esili e delicati e si lasciano soffocare con estrema facilità dall’ambiente, dal timore, dalla paura della disapprovazione e così via. Perciò il problema della scelta e della responsabilità è di gran lunga più acuto negli esseri umani che nelle altre specie.
Ma anche se debole e fragile, questa nostra natura raramente scompare e muore. Persiste sotterranea e possiede una forza dinamica che preme per un’espressione aperta. Questa forza è un aspetto fondamentale dell’urgenza di accrescimento, della spinta ad autorealizzarsi, della ricerca della propria identità.
Così come il debito del coaching verso la psicologia generale (ma anche verso la storia, la filosofia, l’arte, ecc...) è enorme, altrettanto grande però è la distanza che lo separa dalla psicoterapia (anche se essere differenti non significa essere incompatibili). La tabella che segue delinea le principali differenze. Non ha la pretesa di esaustività, perché psicoterapia e coaching sono oggetto di continui cambiamenti. Nel campo della psicoterapia abbiamo cercato di tener conto delle concezioni più comuni, nel campo del coaching abbiamo preso ciò che più caratterizza il nostro intervento.
In prima approssimazione possiamo dire che il coaching, a differenza di altre professioni (come la formazione o alcune branche della filosofia, della metafisica, ecc...), non insegna a un essere umano come poterlo essere al meglio. Il suo ruolo è consentire al cliente di realizzare le sue potenzialità, di fornirgli un ambiente in cui possa rintracciare la sua ricchezza e forza interiore. Il coaching non fornisce capacità o potenzialità, è il cliente ad averle in forma embrionale, esattamente come ha avuto il suo corpo. Il coaching serve a tirar fuori i...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. IL LIFE COACHING
  3. INTRODUZIONE
  4. PARTE I . I presupposti del Life Coaching
  5. PARTE SECONDA . Il contesto di Life Coaching
  6. PARTE TERZA . Applicare il Coaching con creatività
  7. CONCLUSIONI
  8. Bibliografia essenziale
  9. Verdechiaro Edizioni
  10. Colophon