Prefazione
Quando le Leggende diventano Storia
Nel 1968 avevo 22 anni. Fui testimone e attore di un movimento sociale senza precedenti fino a quel momento nella storia universale, che segnò l’inizio del risveglio della prima generazione di mutanti di una umanità che cominciò a smettere di essere nazionalista per diventare planetaria. Fui uno delle centinaia di migliaia di giovani della mia età che simultaneamente, in Giappone, USA, Polonia, Brasile, Italia, Francia, Irlanda del Nord, Cecoslovacchia, Messico, Spagna, Germania, Ecuador, Cile, Yugoslavia e Inghilterra, si risvegliarono dal sogno di vivere in uno spazio di confort per via della nostra posizione privilegiata, essendo la maggior parte di noi studenti, liceali e universitari.
Rispondendo ad un sottile richiamo che sincronizzò con forza le nostre coscienze, scendemmo nelle strade e cominciammo a viaggiare in autostop in tutto il pianeta, per riscoprirlo e riscoprirci come protagonisti di una rivoluzione culturale i cui ambiziosi intenti collettivi erano abolire ogni tipo di frontiera, cambiare il mondo e noi stessi.
Nel ’68 non ero in Messico. Ero nel cuore del movimento controculturale del Nord America, affrontando la Matrix al fianco degli ispano-americani, degli attivisti afrodiscendenti che seguivano Martin Luther King e le Pantere Nere, degli studenti che occupavano le università di Berkeley e Columbia, dei pacifisti che si opponevano alla guerra del Vietnam e degli hippies che cominciavano a creare le proprie comunità ecologiche nelle città o nei boschi del nord della California.
Con un piccolo collettivo di messicani che a maggio lasciò la UNAM (Universidad Nacional Autónoma de México, NdT) prima che iniziassero gli scontri, diventammo testimoni, portavoce, corrispondenti, attivisti e articolatori delle lotte al di qua e al di là del Río Bravo, dando a conoscere nei mezzi di informazione alternativi tutto ciò che stavamo vivendo.
Quando le cose iniziarono a farsi difficili per noi con le forze dell’ordine statunitensi e quando fummo avvertiti che anche in Messico i loro sodali ci stavano aspettando, alcuni di noi si misero uno zaino in spalla e saltammo il fosso come potemmo per vedere cosa stava succedendo nel resto del mondo.
Vent’anni più tardi, dopo aver vissuto molte vite e percorso innumerevoli geografie, tornai in Messico e assistetti alla presentazione di un libro che raccontava una storia sul Movimento del ’68; in quell’occasione conobbi il suo autore, Antonio Velasco Piña. A partire da quel giorno nacque un’amicizia che oggi, a cinquant’anni dagli eventi che contribuirono al risveglio di questo Paese, è andata crescendo e maturando come il buon vino: poco a poco.
Quando iniziai a leggere per la prima volta Regina - 2 ottobre non si dimentica, ciascun capitolo del libro scatenava in me ogni tipo di emozioni – molte delle quali contraddittorie. Il racconto della giovane protagonista sembrava essere la continuazione dell’opera letteraria del controverso autore Lobsang Rampa, che avevo divorato avidamente in gioventù. Rampa trattava in forma romanzata argomenti come l’occultismo, gli insegnamenti tibetani, la reincarnazione, le iniziazioni, la chiaroveggenza e la predestinazione.
D’altra parte, nel libro di Velasco Piña, l’autore racconta la vita di Regina, una ragazza nata nella Aldea de los Reyes, ai piedi del Iztlaccíhuatl, cresciuta e riconosciuta come una Dakini in Tibet e in Cina, che al suo ritorno in Messico, seguendo il suo destino, ebbe la missione di tessere una rete di circoli di persone che contribuissero al risveglio della coscienza femminile nel mondo. L’autore descrive passo dopo passo il lavoro di Regina nel suo breve soggiorno nel suo Paese d’origine, intessuto in ciascuno degli episodi della cronologia più dettagliata che avessi mai letto fino a quel momento, unitamente alla critica più impietosa del sistema politico messicano – la causa degli eventi che culminarono nel massacro realizzato dal governo nella Plaza de las Tres Culturas di Tlatelolco, il 2 ottobre 1968.
Terminata la lettura, profondamente motivato, mi chiesi come poter tornare ad incontrare il “testimone” che narra questi fatti. Seguendo piste attraverso un gruppo di amici teatranti del Laboratorio Sperimentale Universitario – Nicolás Núñez, Ana Luisa Solís ed Helena Guardia – venni a conoscenza di un “rituale olmeco” a cui fui invitato a partecipare, precisamente nella piazza di Tlatelolco, il 2 ottobre 1988. Quel giorno segnò una svolta nelle mie attività, fino ad allora focalizzate da un lato nell’ambito politico-sociale, dall’altro nel teatrale, rituale e spirituale, per realizzare quella sintesi che l’opera di Velasco Piña propone e propizia, non solo in me ma in centinaia di migliaia di lettori che da allora stanno scrivendo le pagine di questo nuovo capitolo della Nostra Storia.
Sei anni più tardi, dopo aver condiviso innumerevoli avventure insieme, ormai amici fraterni, in una delle nostre periodiche riunioni in qualche ristorante di Città del Messico, Toño mi rivolse una frase che mi lasciò letteralmente paralizzato: “È giunto il momento in cui devo passare la staffetta di Regina a un altro ‘testimone’, e credo che tu sia la persona più indicata per riceverla…”. Qualche mese più tardi, dopo essermi concesso un tempo sufficiente per assimilare e comprendere la responsabilità di questo incarico, in una indimenticabile cerimonia ricevetti dalle mani del mio compadre il suddetto bastone, all’ombra dell’amante sacro, guardiano ancestrale della nostra piccola comunità di Huehuecóyotl, situata nelle montagne che circondano la magica valle di Tepoztlán.
In quell’occasione eravamo in compagnia di un eterogeneo gruppo di testimoni provenienti da diversi movimenti con i quali eravamo uniti da decenni nell’intento, apparentemente utopico, di “politicizzare i processi spirituali e spiritualizzare i processi politico-sociali”, aspirando a seguire le orme del Mahatma Gandhi, nostro comune maestro, considerato da molti come “un santo tra i politici e un politico tra i santi”.
Da allora, con il mio compadre Toño, abbiamo viaggiato in tre continenti, condiviso avventure, conosciuto personaggi leggendari, celebrato in molti luoghi, realizzando attività molto diverse – conferenze, interventi in forum, marce silenziose, inaugurazioni di centri cerimoniali, presentazioni di libri, pellegrinaggi, festival, e anche lavorando insieme nella Dirección de Cultura de la Delegación Coyoacán, al fianco della nostra cara comadre Laura Esquivel, scrittrice di fama e donna eccezionale.
La presenza simbolica di Regina ci ha accompagnato sempre in questi molteplici episodi di quella che mi piace definire una vera “cosmonovela”.
Questo personaggio è diventato, col passare dei decenni, l’archetipo delle guerriere-sacerdotesse che troviamo come protagoniste, con nomi diversi, nella maggior parte delle novelle storiche pubblicate da Don Antonio – come lo chiamano in molti; lui però li corregge sempre, con la sua proverbiale semplicità – una delle sue più grandi qualità umane – e gli dice: “Sono solamente Toño”.
Nella vasta letteratura di Toño, Regina simboleggia la primadonna della nazione: la signora Itzaccíhuatl, suprema guardiana di Anáhuac; la Madonna Nera Guadalupe del Tepeyac; Marta e Maria Maddalena, le prime apostole compagne di Gesù; Giovanna d’Arco, eroina, guerriera, santa, che guidò l’esercito francese nella cacciata degli inglesi; e Citlalmina, per il suo ruolo fondamentale nella costruzione dell’impero azteco.
Regine furono le madri e le fidanzate, come Ana María González, che infusero coraggio nei Niños Héroes (Bambini Eroi, NdT) nella loro difesa del Castello di Chapultepec; due donne eccezionali, Catalina González e Donna Josefa Ortiz de Domínguez, Corregidora di Querétaro – che la storia ufficiale ha cercato sempre di cancellare – che contribuirono in maniera determinante al trionfo dell’indipendenza del Messico; la mistica poetessa Suor Juana Inés de la Cruz; Donna Mariana, guardiana del sacro bosco di Chapultepec, e la “Regina del Messico” che i quattro supremi guardiani della tradizione tolteca, maya, zapoteca e olmeca riconobbero come successore dell’imperatore Cuauhtémoc.
Regina è anche Pilar, personaggio che ispirò Ayocuán ne El despertar de la mujer dormida (Il risveglio della dormiente); è la giovane e bella hostess delle olimpiadi del 1968, che come molte altre giovani persero la vita a Tlatelolco, cercando di rompere l’incantesimo della Luna: donne ignorate, sminuite, che nell’arco di secoli di lotta hanno affrontato le diverse forme di una società patriarcale che ha ignorato in maniera sistematica il ruolo del femminile sacro.
Regina fu Nanita Jiménez Sanabria, capitana generale delle danze sacre del Messico; anche lei dovette combattere perché fosse riconosciuto il suo rango, e il ruolo importante che ebbe dirigendo la presa della Cattedrale di Santiago de Compostela nel 1992, a capo di migliaia di guerrieri arcobaleno del ponte di Wirikuta, per iniziare il ciclo della riconquista spirituale della Spagna e dell’Europa.
Regine sono Donna Soledad Ruiz, direttrice di scena, attrice cinematografica, sciamana, danzatrice conchera e guaritrice; Mariana, la vedova olmeca, sopravvissuta al massacro di Tlatelolco; Paty Ríos, capitana delle danze della pace di Jalisco; Irene Goikolea, fondatrice di Amalurra, la prima comunità reginista nei Paesi Baschi; Virginia Sánchez Navarro, fondatrice del collettivo femminista Cuarto Creciente; la poetessa rivoluzionaria Gaby Brimmer; Donna Arcadia, custode della tradizione olmeca; l’anziana Tonalmitl, erede della danza della luna che riunisce ogni anno centinaia di donne da tutto il mondo in una veglia iniziatica di quattro notti.
Regine sono le comandanti maya zapatiste Ramona, la prima donna indigena a redigere la Legge Rivoluzionaria delle Donne, ed Esther, prima donna indigena a po...