Nel tempo dei mali comuni
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Nel tempo dei mali comuni

Per una pedagogia della sofferenza

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Nel tempo dei mali comuni

Per una pedagogia della sofferenza

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La riflessione di Orlando Franceschelli parte da due incontrovertibili dati di fatto: alle sofferenze che hanno sempre accompagnato la vita e la storia degli uomini si affiancano, oggi più che mai, mali comuni – dalla pandemia da Covid-19 alla crisi ecologica – dei quali siamo tutti, a un tempo, testimoni, protagonisti e vittime; a ciò si ricollega l'esigenza di definire e praticare comportamenti individuali e collettivi che effettivamente siano in grado di fronteggiare questi mali planetari che interessano ciascuno di noi. La «pedagogia della sofferenza» esorta appunto a impegnarci in questo compito: migliorare la consapevolezza del carico di sofferenze che gli odierni mali comuni fanno pagare a un numero sempre crescente di esseri viventi e valorizzare la nostra capacità di essere resilienti, solidali e cooperativi. «Apprendere attraverso il soffrire» è l'invito che all'umanità ha saputo rivolgere già l'antica cultura greca, e che si rivela drammaticamente attuale. Un simile impegno pedagogico, ossia di miglioramento di noi stessi per combattere le cause di infelicità che attanagliano tutti gli esseri viventi, è tutt'altro che agevole, ma è proprio ad esso che sono chiamati le cittadine e i cittadini – a cominciare dalle generazioni più giovani – che non guardano con egoistica indifferenza né alle attuali sofferenze né alle esigenze di giustizia e solidarietà non a caso proclamate anche dalla nostra Costituzione. Occorre, dunque, un'autentica pedagogia della sofferenza che, come afferma Telmo Pievani nella prefazione al volume, «ci richiama alle nostre responsabilità di costruttori di mondi, smonta gli alibi di chi non vede mai alternative, invoca la conoscenza di sé stessi e la volontà di migliorarsi».

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788855223201

I. Tra pensare e fare: il contributo della filosofia all’agire umano

Pensare e fare, fare e pensare.
Ecco la somma di ogni saggezza1.
Johann Wolfgang Goethe
La vera filosofia consiste non nel fare dei libri, ma degli uomini2.
Ludwig Feuerbach

1. Homo sapiens in azione.

«In principio era il Verbo (Logos)» recita il celebre incipit del Vangelo di Giovanni. Ma Verbo, fa domandare Goethe a Faust nella prima parte dell’omonima tragedia, è veramente la traduzione corretta di Logos? Dopo anni passati a studiare filosofia, giurisprudenza, medicina e… teologia, Faust ancora si chiede se effettivamente il principio di ogni cosa possa essere identificato col solo Verbo (parola, discorso). Anche forza (Kraft) e pensiero (Sinn) non lo convincono: «È il pensiero che foggia e crea ogni cosa?». Si sente amareggiato e inquieto. Quando d’un tratto riesce finalmente a vederci chiaro e traduce con sicurezza: «In principio era l’azione (Tat3.
Sullo sfondo di questa traduzione traspare sicuramente anche una certa polemica di Goethe con la convinzione di Lutero che la salvezza eterna dell’anima sia assicurata dalla grazia di Dio più che dalle opere degli uomini. Ma il punto che qui interessa è la relazione tra pensare e fare – tra teoria e prassi – che essa ha contribuito a stabilire e a cui si sono interessati anche pensatori di indubbia rilevanza e attualità, tra i quali Ludwig Wittgenstein e Bernard Williams, per limitarci a qualche esempio più recente. Wittgenstein ha ritrovato in Goethe la conferma che anche ogni nostro gioco linguistico nasce dall’agire pratico ed è condizionato «prima di tutto dall’azione» che l’accompagna. Williams invece ha richiamato l’attenzione su quella che a suo parere è la «verità fondamentale» e più propriamente goethiana consegnataci dalla traduzione proposta da Faust: l’invito a non separare la valutazione critica di una teoria filosofica dall’«aggregazione opaca di azioni e forze» che ne condizionano la definizione4.
Ebbene, è noto che l’analisi del rapporto tra vita teoretica (bios theoretikos) e vita pratica (bios praktikos) ha percorso tutta la filosofia occidentale, come vedremo meglio tra breve. Ma proprio la conclusione a cui è pervenuto Goethe analizzando la relazione tra pensare e fare ci introduce nel modo forse più efficace alla visione filosofica dell’agire umano proposta nelle pagine seguenti. Questa conclusione infatti coincide con la seguente «verità fondamentale»: la fonte di ogni umana saggezza è costituita dall’imparare a tenere insieme «pensare e fare, fare e pensare». Agli occhi di Goethe queste due componenti del nostro agire finirono per apparire collegate «come l’inspirazione e l’espirazione». E la saggezza di noi esseri umani finì per risiedere nel saperle valorizzare entrambe e in sinergia. Solo mediante una simile valorizzazione gli sembrava possibile non ridurre il pensare a contemplazione di entità metafisiche e l’agire all’attivismo incondizionato che, «di qualunque tipo sia, finisce per rovinare chi lo intraprende»5. E solo l’aver evitato queste riduzioni, giova ricordare, ha consentito a Faust di non perdere la partita che si è giocata con Mefistofele: col suo demone-tentatore. Convinto non a torto che per avere Faust completamente in suo potere sarebbe bastato indurlo a contrapporre azione e pensiero, portandolo così anche a disprezzare «la ragione e la scienza che sono la suprema forza dell’uomo»6.
Certo, Goethe è rimasto sempre fedele a concezioni sostanzialmente panteistiche. E della forza creatrice e distruttrice «nascosta nell’immensità della natura»7 ha avuto una visione alquanto complessa da un punto di vista sia scientifico che filosofico8. Perciò non sorprende che per lui anche la capacità di coltivare la saggia sinergia tra «pensare e fare, fare e pensare» costituisse il dono più prezioso concesso a noi esseri umani «dall’alto dalle potenze creatrici»9: da quel Dio-Natura che aveva imparato ad apprezzare grazie a Spinoza, alla cui grandezza umana e filosofica ha saputo dedicare «considerazioni davvero di ampio respiro»10.
Oggi – e tanto più se si avverte che anche il riproporre il Dio-Natura e il paganesimo cristiano di Goethe ci rende «sospetti a noi stessi»11 – coltiviamo una visione evoluzionistica delle capacità di pensare e fare (agentività) di Homo sapiens, inclusa quella di associare l’accadimento di un evento alle nostre azioni (senso di agentività). Ci sentiamo insomma impegnati a indagare i processi naturali mediante i quali le capacità umane (linguaggio, pensiero riflessivo, senso morale ed estetico, comportamenti solidali, ricerca di significato) sono emerse e sono state selezionate lungo il tempo profondo della storia evolutiva della nostra specie.
Ovviamente ricerche empiriche e discussioni sono in pieno svolgimento12. Esse però, da un lato, rendono sempre più plausibile spiegare senza ricorrere a doni concessi dall’alto i vari passaggi evolutivi che hanno reso possibile «arrivare dal mondo prebiotico e dai batteri a dove siamo oggi»; e, dall’altro lato, suggeriscono sempre più di concepire Homo sapiens come il risultato di «un processo di co-evoluzione, in parte culturale e in parte genetica»13. Detto altrimenti: suggeriscono di ricercare «il vero nucleo della natura umana» non nei soli geni o nei soli comportamenti condivisi in varie società (universali culturali), bensì nella regolarità con cui i geni prescrivono lo «sviluppo mentale comune alla nostra specie». Da questo sviluppo geneticamente regolato della nostra struttura mentale dipende la stessa capacità di produrre gli universali culturali presenti nelle diverse società. Anche quella che comunemente definiamo natura umana, lungi dall’essere una tabula rasa, risiede in buona parte proprio in queste regole di sviluppo mentale, che si sono formate grazie all’interazione fra evoluzione genetica ed evoluzione culturale durante la lunga storia ancestrale della specie e sono ereditate da ogni sapiens come predisposizione ad apprendere comportamenti diversi dai meri riflessi innati14. Semplicemente, come si dice con una formula tanto sintetica quanto efficace: noi esseri umani siamo culturali per natura e naturali per cultura15. Senza che ci sia alcuna necessità di interpretare «come una traccia della volontà divina» questa peculiare plasticità e creatività storico-culturale costitutiva della nostra natura «forgiata nell’arena dell’istinto e della ragione»16.
Ebbene, se alle capacità-potenzialità di pensare e fare tipiche di noi esseri umani guardiamo a partire da quanto effettivamente ci dice anche l’odierna antropologia evoluzionistica, sembra difficile non riconoscere la centralità della sinergia tra «pensare e fare, fare e pensare» tanto apprezzata da Goethe. A ben vedere infatti, per dirlo con le parole usate da Gramsci non a caso in accordo con Goethe, proprio il saper unire «nello stesso tempo» al fare anche il riflettere17 ha contribuito non poco a modellare la nostra agentività. A cominciare dalla capacità tipicamente umana di addurre ragioni a sostegno dei propri comportamenti e di sviluppare «forme di azione e di pensiero» – questo è il punto – destinate a cambiare
non solo il modo in cui gli esseri umani pensano gli altri, ma anche il modo in cui essi, in collaborazione con gli altri, concettualizzano e pensano il mondo intero e il posto che vi occupano18.
Vale a dire: «forme di azione e di pensiero» che ci hanno reso capaci – e in definitiva bisognosi e desiderosi – di analizzare criticamente e dialogicamente ogni aspetto e ogni conseguenza dei rapporti materiali, sociali, culturali intrattenuti con la realtà naturale e con gli altri esseri viventi. E quindi anche capaci di problematizzare e discutere filosoficamente il senso del nostro essere al mondo. Fino a raggiungere lo stadio più alto di cultura morale a cui possiamo elevarci proprio quando «capiamo di poter controllare i nostri pensieri»19. È grazie a queste forme di azione, cognizione e socialità che gli esseri umani hanno potuto «partecipare in maniera efficace» alle creazioni storico-culturali che, a partire dai primi passi compiuti dai loro più lontani antenati, li hanno portati fino ai nostri giorni20. Li hanno educati a praticare – come non mancano di ricordarci autorevoli neuroscienziati e genetisti – anche quella formidabile alleanza di analisi razionali ed emozioni, di «pensare e sentire» che permette di affrontare i problemi della vita in modo altruistico21: di imparare a lottare contro i demoni dell’egoismo insiti nella nostra biologia e a coltivare quei «comportamenti nobili di cui siamo capaci soltanto noi umani come specie e che […] dovrebbero indurci a comport...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione. di Telmo Pievani
  6. Introduzione. Le sfide del presente e il «capolavoro» della vita
  7. I. Tra pensare e fare: il contributo della filosofia all’agire umano
  8. II. Antropocene: tra eco-appartenenza e sofferenze planetarie
  9. III. Redenzioni e interazione col tragico
  10. IV. Possibilità (e inquietudine) di una pedagogia della sofferenza
  11. Bibliografia