Montagne sacre
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Montagne sacre

Storia, mistero e leggenda

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Montagne sacre

Storia, mistero e leggenda

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Tutte le culture hanno sacralizzato le vette: la storia delle religioni, la teologia, l'arte, la letteratura e anche la psicologia hanno proposto le loro tesi per provare a spiegarci le motivazioni dell'atteggiamento dell'uomo nei confronti dei rilievi. Ogni tesi ha una sua verità, una propria chiave di lettura per dare un senso alle istanze che possono aver spinto gli uomini ad assegnare, ad alcune montagne in particolare, una caratura sacra, avvolta dal soprannaturale.In questo libro l'autore ci introduce al rapporto tra la montagna e le religioni, dagli Indiani d'America agli Aborigeni australiani, dalle società preistoriche all'antichità greco-romana, dai culti orientali alle tradizioni monoteistiche, per poi raccontare la storia delle principali montagne dell'Antico e del Nuovo Testamento che sono state teatro di eventi storici, spirituali e leggendari: Ararat, Moriah, Carmelo, Nebo, Armageddon, Masada, Tabor, Golgota e gli altri monti della Bibbia.Questa è la storia dei luoghi dove l'uomo ha cercato (e sfiorato) il Cielo.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788862405447

Seconda parte

Il luogo dell’Arca di Noè

E nel settimo mese, il decimosettimo giorno del mese,
l’arca si fermò sulle montagne di Ararat…
Genesi 8,4
Poche montagne come l’Ararat hanno trovato così ampia eco al di fuori degli ambiti di scienze specializzate, come la teologia e la storia delle religioni. Complice di tanto successo il legame di questo rilievo con l’Arca di Noè, che ha stimolato la fantasia dell’uomo della strada – al di là della sua fede religiosa – ma anche di scienziati ed esploratori, tra i quali alcuni ardimentosi emuli di Indiana Jones, che hanno provato a ricercare i resti di quell’enorme imbarcazione, trasformatasi in un mito collettivo, ancora oggi ben vivo nell’immaginario di popolazioni anche molto diverse per cultura e credo religioso.
La descrizione dell’Ararat necessita di maggiore spazio di quanto ne richiedano altre montagne, poiché il suo vissuto è caratterizzato da un intersecarsi di vicende che probabilmente il lettore non specialista gradirà conoscere.
Dunque, stiamo parlando della montagna sacra per gli armeni, che la chiamano Massis, per i turchi è Agrī-Dāgh, mentre gli iraniani la definiscono Kōh-i Nūḥ (cioè monte di Mosè): il legame con i tre Paesi è determinato dalla collocazione dell’Ararat che, pur trovandosi in territorio turco, confina appunto con l’Armenia e l’Iran. I geografi e i vulcanologi indicano due Ararat, il Grande (5.165 m s.l.m.) e il Piccolo (3.915 m s.l.m.): denominazioni determinate dall’altitudine dei singoli rilievi. Il Grande e il Piccolo sono separati dalla sella di Sardar Bulag (2.540 m): il primo è costituito da roccia magmatica detta “lava trachitica” ed è coperto da nevi permanenti fino a 4.100 m, mentre alcune lingue dei ghiacciai scivolano verso il basso giungendo a circa 2.400 m. Il secondo, morfologicamente caratterizzato da lave rossastre, è segnato da ghiacciai che scendono a 3.100 m. Non sono state segnalate attività vulcaniche dal 1840, anno dell’ultima eruzione: il Grande è ritenuto quiescente, mentre il Piccolo spento. Comunque, l’aridità e il clima fanno dell’Ararat un ambiente poco idoneo all’antropizzazione e agli stanziamenti temporanei. È importante rilevare che nel Libro della Genesi è detto che l’Arca si arenò «sulle montagne di Ararat»: il plurale è significativo se consideriamo che gli ebrei indicavano con Ararat il territorio dell’Urartu, un regno che nell’VIII secolo a.C. comprendeva una parte rilevante dell’attuale Turchia occidentale. Quindi un toponimo per indicare il Paese degli armeni:
Essi stessi scamparono nel paese di Ararat (Is 37,38).
Issate una bandiera sulla terra! Sonate la tromba fra le nazioni! Preparate le nazioni contro di lei, chiamate a raccolta contro di lei i regni d’Ararat, di Minni e d’Ashkenaz! Costituite contro di lei de’ generali! Fate avanzare i cavalli come locuste dalle ali ritte (Ger 51,27).
Ma è principalmente nel Libro della Genesi che il monte Ararat riveste il ruolo di protagonista nel processo di salvataggio di Noè, della sua famiglia e delle specie animali: un estremo intervento necessario per la continuazione della vita sulla Terra. Per meglio collocare la vicenda, in primis dal punto di vista religioso, rileggiamo una pagina del primo libro della Bibbia che ricostruisce come fu che la grande nave di Noè finì sull’Ararat:
Noè fu uomo giusto, integro, ai suoi tempi; Noè camminò con Dio. E Noè generò tre figli: Sem, Cam e Jafet. Or la terra era corrotta davanti a Dio; la terra era ripiena di violenza. (…) E Dio disse a Noè: «Nei miei decreti, la fine d’ogni carne è giunta; poiché la terra, per opera degli uomini, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò, insieme con la terra. Fatti un’arca di legno resinoso; falla a stanze, e spalmala di pece, di dentro e di fuori. Ed ecco come la dovrai fare: la lunghezza dell’arca sarà di trecento cubiti; la larghezza, di cinquanta cubiti, e l’altezza, di trenta cubiti. Farai all’arca una finestra, in alto, e le darai la dimensione d’un cubito; metterai la porta da un lato, e farai l’arca a tre piani: uno da basso, un secondo e un terzo piano. Ed ecco, io sto per far venire il diluvio delle acque sulla terra, per distruggere di sotto i cieli ogni carne in cui è alito di vita; tutto quello ch’è sopra la terra, morrà. Ma io stabilirò il mio patto con te; e tu entrerai nell’arca: tu e i tuoi figli, la tua moglie e le mogli dei tuoi figli con te. E di tutto ciò che vive, d’ogni carne, fanne entrare nell’arca due d’ogni specie, per conservarli in vita con te; e siano maschio e femmina. Degli uccelli secondo le loro specie del bestiame secondo le sue specie, e di tutti i rettili della terra secondo le loro specie, due d’ogni specie verranno a te, perché tu li conservi in vita. E tu prenditi d’ogni cibo che si mangia, e fattene provvista, perché serva di nutrimento a te e a loro».
E Noè fece tutto quello che Dio gli aveva comandato.
(…) Noè aveva seicento anni, quando il diluvio delle acque inondò la terra. (…) L’anno seicentesimo della vita di Noè, il secondo mese, il diciassettesimo giorno del mese, in quel giorno, tutte le fonti del grande abisso scoppiarono e le cateratte del cielo s’aprirono. (…) E tutti gli esseri ch’erano sulla faccia della terra furono sterminati: dall’uomo fino al bestiame, ai rettili e agli uccelli del cielo; furono sterminati di sulla terra; non scampò che Noè con quelli che si trovavano con lui nell’arca.
E le acque rimasero alte sopra la terra per centocinquanta giorni.
(…) E nel settimo mese, il decimosettimo giorno del mese, l’arca si fermò sulle montagne di Ararat.
E le acque andarono scemando fino al decimo mese. Nel decimo mese, il primo giorno del mese, apparvero le vette dei monti. E in capo a quaranta giorni, Noè aprì la finestra che aveva fatta nell’arca, e mandò fuori il corvo, il quale uscì, andando e tornando, finché le acque furono asciugate sulla terra. Poi mandò fuori la colomba, per vedere se le acque fossero diminuite sulla superficie della terra. Ma la colomba non trovò dove posare la pianta del suo piede, e tornò a lui nell’arca, perché vi erano delle acque sulla superficie di tutta la terra; ed egli stese la mano, la prese, e la portò con sé dentro l’arca. E aspettò altri sette giorni, poi mandò di nuovo la colomba fuori dell’arca. E la colomba tornò a lui, verso sera; ed ecco, essa aveva nel becco una foglia fresca d’ulivo; onde Noè capì che le acque erano scemate sopra la terra. E aspettò altri sette giorni, poi mandò fuori la colomba; ma essa non tornò più a lui. L’anno secentesimoprimo di Noè, il primo mese, il primo giorno del mese, le acque erano asciugate sulla terra; e Noè scoperchiò l’arca, guardò, ed ecco che la superficie del suolo era asciutta. E il secondo mese, il ventisettesimo giorno del mese, la terra era asciutta (Gn 6; 7; 8).
Non dobbiamo dimenticare che l’acqua è contrassegnata da un’articolata valenza rituale: infatti la ritroviamo praticamente in tutte le religioni, svolgendo un ruolo conteso tra il principio creativo e quello distruttivo. È in ogni caso ierofania a cui si riconosce la fondamentale proprietà di rigenerare, di riportare alla purezza anche attraverso la totale cancellazione di ogni elemento vivente: il caso del diluvio universale è emblematico. Chiariamo che “universale” è un aggettivo particolarmente idoneo, infatti il topos del diluvio è presente in religioni e in Paesi anche molto lontani, sia geograficamente che culturalmente. Se proviamo a osservare in panoramica le religioni e le mitologie di numerosi Paesi del mondo, constatiamo un fatto a prima vista sorprendente: molti di questi Paesi conservano memoria di un antico diluvio che, illo tempore, travolse quelle terre con effetti apocalittici devastanti. In genere incontriamo riferimenti a catastrofi cosmiche di origine acquatica, verificatisi in un’epoca lontana, quasi sempre al “principio del tempo”, destinate a determinare la distruzione del genere umano, o di una sua parte rilevante.
In genere il “post-diluvio” determina l’inizio di un nuovo periodo storico, dopo la distruzione di un passato spesso dominato dal peccato e dal disprezzo, da parte degli uomini, delle leggi divine. Pur non essendo ovviamente universale, come si intende dal senso semantico dell’aggettivo, la mitologia del diluvio è molto diffusa ed è praticamente presente in tutti i continenti.
In Africa troviamo questo mito tra i Kosi e i Bambara, che fanno risalire le cause di un diluvio distruttivo alla mancanza di pietà degli uomini, di conseguenza puniti dal cielo.
In area indonesiana, tra gli Ifugao, il diluvio sarebbe giunto dalla divinità perché la popolazione era troppo numerosa.
In Australia, tra le diverse versioni, troviamo quella che attribuisce l...

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  1. Prima parte
  2. Seconda parte
  3. Appendice