V. Tutto è in relazione
Uno sguardo contemplativo
«Uno sguardo contemplativo, attento e rispettoso sui fratelli e sulle sorelle, ma anche sulla natura – sul fratello albero, sul fratello fiore, sui fratelli uccelli, sui fratelli pesci, fino alle piccole sorelline, come le formiche, le larve, i funghi o gli insetti (cf. LS 233) – permette alle comunità amazzoniche di scoprire come tutto è connesso, di valorizzare ogni creatura, di vedere il mistero della bellezza di Dio che si rivela in tutte loro (cf. LS 84, 88) e di vivere insieme amichevolmente» (InL 20).
Per le popolazioni amazzoniche la «vita è caratterizzata dalla connessione e dall’armonia dei rapporti tra l’acqua, il territorio e la natura, la vita comunitaria e la cultura, Dio e le varie forze spirituali» (InL 13). È fondamentale per loro il «carattere relazionale-trascendente degli esseri umani e del creato» (ivi). Le stesse componenti materiali e spirituali non possono essere disgiunte. La concezione integrale della realtà pervade il loro stesso modo di organizzarsi: dalla famiglia alla comunità, fino all’uso dei beni.
Non solo Padre nostro
La terra per Francesco non è solo Madre, è anche sorella. In questo modo egli fa della Creazione una fraternità universale, di cui fa parte lo stesso essere umano. Anche nella stessa Laudato si’, infatti, il cantore delle creature viene presentato come “fratello universale”, per la ragione che vedeva in tutte le creature un fratello o una sorella (LS 11). Proprio facendo riferimento al testo della Lettera agli Efesini (4, 5-6), secondo la versione vulgata della Scrittura in uso durante il Medioevo, Francesco interpreta l’espressione Pater omnium come Padre di tutte le cose: una paternità non solo limitata agli esseri umani, dunque, bensì estesa a tutta la famiglia cosmica. Per lui, Dio è non solo Padre di tutti, ma di tutte le cose, cioè delle stesse creature: animali e piante, insieme a sole, vento e fuoco, congiunti in un’unica famiglia. Essendo perciò Padre delle creature, esse risultano per gli esseri umani fratelli e sorelle.
Anche altri testi biblici, come quello della Lettera agli Efesini (1,9.10) e quello della Lettera ai Colossesi (1,16), appoggiano questa interpretazione. Papa Francesco, in verità, accoglie solo in parte questa singolare visione del poeta del Cantico: non dice che Dio è Padre delle creature, ma che le creature sono state create dal medesimo Padre e che perciò risultano congiunte da un legame fraterno. È proprio la «convinzione che, essendo stati creati dallo stesso Padre, noi con tutti gli esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro» (LS 89).
Papa Francesco anche in altro luogo torna sul concetto della paternità di Dio verso tutte le creature: «Gesù invitava a riconoscere la relazione paterna che ha Dio con tutte le creature» (LS 96). Dal canto suo, lo stesso Aldo Leopold, padre degli ecologisti, già nella prima metà del XX secolo aveva concepito una idea simile di comunità cosmica, dove ciascuna entità, occupando un posto determinato, è chiamata a una precisa responsabilità etica nei confronti degli altri esseri.
Francesco realizza questa fraternità con tutte le creature mediante una relazione di tenerezza con le piante e gli animali, perché ritrova l’armonia infranta dal peccato, dalla prevaricazione originale, esito della sete di dominio. La riconciliazione e l’amicizia con tutte le creature, incluse perfino le bestie selvagge, è segno di santità (LS 66).
Semplicemente fratello
Nel segno del rovesciamento evangelico delle gerarchie sociali e perfino geografiche, Francesco, al ritorno dalla Terra Santa, concepisce l’idea di rifare Betlemme a Greccio, di considerare luogo dell’Incarnazione un borgo qualsiasi, chiamando sul palcoscenico contadini, animali e il fieno in rappresentanza dell’intera creazione. In modo analogo si sarebbero in seguito comportati i suoi seguaci, evangelizzatori del continente latinoamericano, i quali, mettendo in scena l’arrivo dei Re Magi, affidarono la parte dei Saggi orientali alle popolazioni locali, auspicio di una Chiesa nuova, fraterna, guidata dai poveri, da gente delle periferie.
Il Dio di Francesco non è un aristocratico, come evidenzia la preghiera da lui composta sulla Verna, Le lodi di Dio altissimo, nella quale stupisce la mescolanza di aggettivi improntati ai requisiti della bellezza medievale, e di altri del tutto estranei ai medesimi canoni e perciò esclusi dagli ambienti nobiliari: “dolcezza”, “mansuetudine”, “quiete”, “letizia”. A termini eleganti si alternano termini dialettali, feriali. La mescolanza dei linguaggi usati nella preghiera alvernina per indicare le qualità di Dio trova poi corrispondenza in un’analoga mescolanza sociale nella esortazione inserita nella prima Regola.
«E tutti coloro che vogliono servire al Signore Iddio nella santa Chiesa cattolica e apostolica, e tutti i seguenti ordini: sacerdoti, diaconi, suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori, ostiari, e tutti i chierici, e tutti i religiosi e le religiose, tutti i conversi e i fanciulli, i poveri e i miseri, i re e i principi, i lavoratori e i contadini, i servi e i padroni, tutte le vergini e le continenti e le maritate, i laici, uomini e donne, tutti i bambini, gli adolescenti, i giovani e i vecchi, i sani e gli ammalati, tutti i piccoli e i grandi e tutti i popoli, genti, razze e lingue, tutte le nazioni e tutti gli uomini d’ogni parte della terra, che sono e saranno, noi tutti frati minori, servi inutili, umilmente preghiamo e supplichiamo perché perseveriamo nella vera fede e nella penitenza, poiché nessuno può salvarsi in altro modo» (FF 68).
Sono i legami fraterni a rendere bello e prezioso ciascuno, e non il valore delle qualità individuali. La bellezza delle raffigurazioni come la musicalità di voci e suoni è sempre armonia di relazioni e non narcisismo solipsistico. Anche l’assolo necessita un accompagnamento, che dà rilievo alla stessa originalità. È l’incontro, perciò, e non le qualità individuali a rendere unica la persona. L’unicità è tale solo in rapporto all’alterità; la sua misura è data dalla relazione.
Francesco ignora ogni forma di gerarchizzazione e di competizione anche quando elimina prefissi linguistici che indicano superiorità, come magis, prae o super, preferendo i lemmi del servizio, quali minor, servus, inferior, diminutivi oppure vezzeggiativi. Alla competizione sostituisce la compassione e l’empatia delle relazioni fraterne.
E quando scrive il Saluto alle virtù, parlando dell’obbedienza reciproca che i frati devono osservare gli uni nei confronti degli altri, afferma che l’essere umano nella famiglia cosmica deve collocarsi all’ultimo posto, servo non solo di tutti gli uomini, bensì di “tutte le cose”, come vero figlio del “Pater omnium”, inclusi perfino gli animali e le bestie feroci:
«La santa obbedienza confonde tutte le volontà [egoistiche e individualistiche] e tiene il suo corpo mortificato in obbedienza allo spirito e in obbedienza al proprio fratello, e rende l’uomo soggetto a tutti gli uomini che sono nel mondo, e non soltanto ai soli uomini, ma anche a tutte le bestie e alle fiere, così che possano fare di lui quello che vogliono per quanto sarà loro concesso dall’alto dal Signore» (FF 258).
Diverso dal panteismo
Questo non significa mettere tutti sullo stesso piano o addirittura privilegiare la relazione con le creature a quella con gli esseri umani. Per evitare il rischio di panteismo o di divinizzazione della Natura-Gaia, lo stesso papa Francesco fa ricorso proprio al Cantico dell’assisiate, che dopo la lode per le creature celebra il perdono che ...