Capitolazioni di ‘Umar
Le condizioni religiose e socio-economiche dei cristiani in seno alla comunità musulmana subirono un considerevole assestamento in seguito alle prime grandi e imprevedibili conquiste islamiche. Quasi preconizzate e programmate dall’iniziativa che vide in Muḥammad il condottiero invisibile schierato contro i bizantini nella battaglia di Mu’tah (cittadina attualmente in Giordania, tra ‘Ammān e ‘Aqabah), avvenuta nell’ottavo anno dell’egira, le battaglie contro l’impero bizantino si proponevano di sradicare il carattere peculiare della Siria di allora «i cui abitanti erano tutti cristiani. Due anni prima il Profeta aveva mandato otto ambascerie a otto regnanti della terra perché abbracciassero l’islām accogliendo il Dio che lo aveva scelto qual suo profeta e suo inviato. Tra essi figurava anche Eraclio, il Cesare re di Bisanzio», come precisa al-Ṭabarī nella sua Storia delle Nazioni e dei Re. Il messaggio orale riferito dai messaggeri di Muḥammad adombrava già quella che sarebbe stata la costante e irrinunciabile pretesa da imporre ai conquistati: «Uomini, io sono l’apostolo di Dio, inviato a tutti voi da colui che possiede i cieli e la terra. Non c’è Dio all’infuori di Lui che dà la vita e la morte». L’alternativa offerta ai vinti era inequivocabile: si trattava di scegliere tra la vita e la morte. La vita, arrendendosi e assoggettandosi alle condizioni volute dal conquistatore o convertendosi all’islām, oppure la morte, rifiutando qualsiasi patteggiamento o conversione. Muḥammad non tralasciava nemmeno una proiezione futura a quello che imponeva. La maniera con la quale terminava il messaggio era oltremodo chiara: «La pace celeste a colui che segue la diritta via. Mettiti al riparo dal castigo di Dio, nel giorno della resurrezione, e otterrai il paradiso. Ma sta’ attento! Se non lo farai, io ti ho inviato questo messaggio». Fu questo stesso spirito a ispirare la successiva politica del califfo ‘Umar quando si trattava di stipulare la pace o una qualsiasi forma di tregua con le popolazioni cristiane che venivano a mano a mano assoggettate all’egida dell’islām. Al-Ṭabarī ci ha trasmesso che «Eraclio, re di Bisanzio, si convertì e, nella lettera di risposta che inviò al Profeta, proclamò l’islām». Questo leggiamo in alcuni testi tradotti in francese e in italiano da un’opera che viene genericamente chiamata Chronique de Tabari. Histoire des Prophètes et des Rois. Più ricca di particolari e di rivisitazioni storiche è invece il testo arabo dello stesso al-Ṭabarī meglio conosciuto sotto il titolo di Tārīḫ al-umam wa-al-mulūk, dove la narrazione si arricchisce delle molteplici testimonianze ricorrenti nelle tradizioni musulmane, alcune delle quali insistono sul fatto che Eraclio non solo accolse di buon grado il messaggio che gli aveva recato a nome di Muḥammad il messaggero di costui Diḥyah Ibn Ḫalīfah al-Kalbī, ma professò apertamente, stringendo al cuore il testo che gli era stato consegnato, che Muḥammad «era il profeta del quale si era in attesa e del quale si parla nelle nostre Scritture. Orsù dunque, seguiamolo e riteniamolo veritiero, poiché se ciò faremo avremo la vita in questo e nell’altro mondo!».
La persuasione di Eraclio circa la veridicità della missione di Muḥammad sarebbe stata avvalorata persino dall’aperto riconoscimento che di essa fece il vescovo della città, alla cui deliberazione si era affidato Eraclio stesso dietro le resistenze della corte e degli ufficiali che si rifiutavano di assoggettarsi a un popolo di arabi insignificanti e reietti, appellandosi al fatto di essere «la gente più illustre quanto a impero, di più numerose schiere e di più onorato Paese». Ma Eraclio non desistette dalla sua determinazione e, precorrendo quello che si sarebbe verificato più tardi in un sorprendente e inarrestabile susseguirsi di vittorie musulmane, si assoggettò a versare la ǧizyah e a cedere ai musulmani, in virtù di quanto Muḥammad esigeva, l’intero territorio della Siria, Sūriyyah, comprendente «la terra di Palestina, del Giordano, di Damasco, di Ḥomṣ», tenendo per sé la restante parte di quello che allora costituiva il territorio dello Šām. Prima ancora di entrare a Costantinopoli in sella a un mulo, si arrestò e, volgendo lo sguardo alla Siria che abbandonava nelle mani degli arabi, esclamò: «A te, terra di Siria, rivolgo il saluto d’addio», e così dicendo riprese il cammino.
Nella narrazione di al-Ṭabarī prevale sempre il principio della continuità storica. La volontà di Muḥammad è sempre, comunque, riverbero della volontà e dei disegni di Allāh. Quando il primo musulmano saliva o s’apriva una breccia sulle mura di una città espugnata gridava sempre Allāhu akbar, a sottolineare che, come preconizzato dal Corano, ogni vittoria e sostegno provenivano da Dio. Ciò che seguiva alla conquista doveva, di conseguenza, essere conforme alla parola di Allāh e a quello che il Profeta aveva fatto e detto. Al-Ṭabarī non fa altro che accentuare questo sacrosanto principio della tradizioni islamica. E come lui avrebbero fatto altri nelle successive fasi delle conquiste, come possiamo evidenziare da una comune coscienza storica trasfusa in un’operetta che andò sempre più imponendosi sotto...