Verso l’alto
Ecco come raggiunsi il cielo.
Mi ero attaccato tutto intorno una quantità di fiale piene di rugiada, sulle quali il sole dardeggiava i suoi raggi con tanta veemenza che il calore che le attirava, avendo generato nuvole grandissime, mi trascinò così in alto che alla fine mi trovai al di sopra della regione media. Ma siccome questa attrazione mi faceva salire con eccessiva velocità e, invece di avvicinarmi alla luna, come pretendevo, essa mi sembrava più lontana di quanto lo fosse alla mia partenza, ruppi molte di quelle fiale, fino a quando sentii che il mio peso superava l’attrazione e che ridiscendevo verso la terra. La mia opinione non sbagliava, dato che poco dopo vi ricaddi: considerata l’ora della mia partenza, doveva essere mezzanotte.
Tuttavia vidi che il sole era, in quel momento, al punto più alto dell’orizzonte e pertanto era mezzogiorno. Vi lascio immaginare quanto fossi stupito: certo lo fui in tale misura che, non sapendo a che cosa attribuire questo miracolo, ebbi l’insolenza di immaginare che Dio, per favorire il mio ardimento, avesse ancora una volta inchiodato il sole nei cieli, con lo scopo di illuminare un’impresa così magnanima.
Cyrano de Bergerac, Histoire comique des États
et Empires de la Lune (1657)
Astolfo e san Giovanni sulla Luna
Quattro destrier via più che fiamma rossi
al giogo il santo evangelista aggiunse;
e poi che con Astolfo rassettossi,
e prese il freno, inverso il ciel li punse.
Ruotando il carro, per l’aria levossi,
e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;
che ’l vecchio fe’ miracolosamente,
che, mentre lo passar, non era ardente.
Tutta la sfera varcano del fuoco,
et indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la più parte esser quel loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano uguale, o minor poco
di ciò ch’in questo globo si raguna,
in questo ultimo globo de la terra,
mettendo il mar che la circonda e serra.
Quivi ebbe Astolfo doppia maraviglia:
che quel paese appresso era sì grande,
il quale a un picciol tondo rassimiglia
a noi che lo miriam da queste bande;
e ch’aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s’indi la terra e ’l mar ch’intorno spande,
discerner vuol; che non avendo luce,
l’imagin lor poco alta si conduce.
Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, Canto XXXIV, 69-71 (1516)
La città sulle nubi
Dopo aver marciato sette giorni attraverso boscaglie, chi va a Bauci non riesce a vederla ed è arrivato. I sottili trampoli che s’alzano dal suolo a gran distanza l’uno dall’altro e si perdono sopra le nubi sostengono la città. Ci si sale con scalette. A terra gli abitanti si mostrano di rado: hanno già tutto l’occorrente lassù e preferiscono non scendere.
Nulla delle città tocca il suolo tranne quelle lunghe gambe da fenicottero a cui si appoggia e, nelle giornate luminose, un’ombra traforata e angolosa che si disegna sul fogliame.
Tre ipotesi si danno sugli abitanti di Bauci: che odino la Terra; che la rispettino al punto d’evitare ogni contatto; che la amino com’era prima di loro e con cannocchiali e telescopi puntati in giù non si stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza.
Italo Calvino, Le città invisibili (1972)
Lontano dalla realtà
Mentre discendevo i Fiumi impassibili,
non mi sentii più guidato dai bardotti:
pellirossa urlanti li avevano bersagliati
inchiodandoli nudi ai pali variopinti.
Ero indifferente a tutto l’equipaggio,
portavo grano fiammingo o cotone inglese.
Quando coi miei bardotti finirono i clamori,
mi lasciarono libero di discendere i Fiumi.
Nello sciabordio furioso delle maree,
io l’inverno scorso, più sordo del cervello d’un bambino,
correvo! E le Penisole andate
non subirono mai sconquassi più trionfanti.
La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli.
Più leggero di un sughero ho danzato sui flutti
che si dicono eterni avvolgitori di vittime,
dieci notti, senza rimpiangere l’occhio insulso dei fari!
Arthur Rimbaud, Le bateau ivre (1871)
Un mondo preistorico
Mio zio Lidenbrock si avventurò in questo gigantesco bosco. Io lo seguivo, non senza una certa apprensione. Essendosi la natura qui prodigata a produrre vegetali, perché non vi sarebbero stati anche temibili mammiferi? Nelle vaste radure che gli alberi crollati e corrosi dal tempo formavano, riconoscevo leguminose, aceracee, rubiacee e mille arbusti commestibili, di cui sono ghiotti i ruminanti di qualsiasi periodo. E, confusi e frammisti, apparivano gli alberi delle contrade più disparate della superficie terrestre: la quercia cresceva accanto alla palma, l’eucalipto australiano era accanto al pino norvegese, la betulla del Nord mescolava i suoi rami con quelli del kauris zelandese. C’era di che confondere la ragione dei più abili classificatori della botanica terrestre.
D’un tratto, mi fermai, e trattenni mio zio con una mano. La luce diffusa permetteva di scorgere ogni minimo particolare, nella profondità del bosco. Avevo creduto di vedere… No, in realtà vedevo con i miei occhi immense sagome muoversi sotto gli alberi! In effetti, si trattava di animali giganteschi, un intero branco di mastodonti, non più fossili, ma vivi, e simili a quelli di cui nel 1801 erano stati scoperti i resti nelle paludi dell’Ohio. Ravvisavo questi grandi elefanti, le proboscidi dei quali brulicavano sotto gli alberi come una legione di serpenti. Sentivo il rumore delle loro lunghe zanne d’avorio, che tormentavano i vecchi tronchi. I rami scricchiolavano, e le grandi masse di foglie strappate scomparivano, inghiottite dalle larghe fauci di questi mostri.
Ecco che il sogno in cui avevo visto rinascere tutto il mondo dei tempi preistorici, delle ere terziaria e quaternaria, si realizzava finalmente. E noi eravamo lì, soli, nelle viscere della terra, in balia di questi selvaggi abitatori!
Lo zio osservava.
«Andiamo» disse d’un tratto, afferrandomi per un braccio. «Su, andiamo avanti!»
«No» protestai io, «no! Non abbiamo armi. Che cosa faremmo in mezzo a quel branco di giganteschi quadrupedi? Vieni via, zio, vieni. Nessuna creatura umana potrebbe sfidare impunemente la collera di questi mostri».
«Nessuna creatura umana!» rispose lo zio, abba...