Perché la politica non ha più bisogno dei cattolici
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La democrazia dopo il Covid-19

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Quanto contano oggi i cattolici in politica? Ma soprattutto, quanto conta la politica per i cattolici?Tra cattolici e politica non è mai stata luna di miele. Eppure oggi, più che in passato, il mondo cattolico sembra essere diventato terreno fertile per le scorribande di uomini di potere pronti a strumentalizzarlo trascinandolo su posizioni lontane dal Vangelo.Dall'ostentazione dei simboli cristiani per catturare consenso alla fine dell'unità politica dei cattolici, dalla politica razionale alla politica emozionale, dalla volatilità del voto all'astensionismo, nulla sembra far presagire il ritorno del «moriremo democristiani ». E questo è certamente un bene per Fabio Pizzul, che in pagine ricche di spunti e sollecitazioni si chiede: quanto contano oggi i cattolici in politica? Ma soprattutto: quanto conta la politica per i cattolici?Se i cosiddetti "atei devoti" si fanno paladini di valori non negoziabili, il rischio per i cosiddetti "cattolici democratici" è di ridursi a una minoranza inattuale, conservatrice e non più comprensibile, che insiste sui soliti temi, barcamenandosi fra un Family Day, un Vaffa Day e un ritrovo delle Sardine.L'ormai innegabile marginalità dei credenti nei rapporti tra cattolicesimo e politica apre per l'autore prospettive nuove, tutte da esplorare. La crisi di rappresentanza non è infatti esclusivamente legata ai recenti e repentini stravolgimenti politici, che la pandemia ha accelerato ulteriormente, ma viene da lontano. E la questione, tornata recentemente alla ribalta, continuerà a infiammare il dibattito: dai mass media ai social, dai partiti ai movimenti, dalle parrocchie alle più alte gerarchie.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788862407830
Atei devoti paladini
di “valori non negoziabili”
L’elezione di papa Benedetto XVI aprì una nuova fase nel dibattito su cattolici e politica, con un forte accento sui valori irrinunciabili o, come vennero poi più spesso definiti, non negoziabili.
Nel suo discorso al Convegno Ecclesiale di Verona del 2006, papa Ratzinger tornava sul tema dell’impegno politico dei cattolici: «Il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è dunque della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo»1.
Erano gli anni dei cosiddetti “atei devoti”, ovvero di intellettuali dichiaratamente non cristiani che, in nome della difesa dei valori occidentali, prendevano esplicitamente le parti della cultura cattolica in un dibattito politico caratterizzato da temi ad alto contenuto etico, come la regolamentazione delle convivenze o la fecondazione assistita. Un modo per fare pressione sui governi di centrodestra perché non legiferassero contro i già citati valori non negoziabili. In questo contesto, a conclusione della sua prolusione nella serata inaugurale del Convegno di Verona, il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, pronunciò una frase della Lettera di sant’Ignazio di Antiochia agli Efesini: «È meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarsi senza esserlo».
«Quelle parole – scriveva Paolo Rappellino su Famiglia Cristiana del 5 agosto 2017 – apparvero come un fulmine a ciel sereno o perlomeno una sorpresa, tanto che tutti i giornali all’indomani titolarono a partire da quella frase»2. Il cristianesimo non è una “cultura” ma una scelta di vita, proclamava il cardinale. «Parlare non solo “di” speranza, ma anche e innanzitutto “con” speranza» era l’auspicio dichiarato da Tettamanzi in apertura del discorso, con un esplicito riferimento allo “stile” del Concilio Vaticano II. Era un vero e proprio affondo nei confronti di una modalità di presenza cristiana intesa come difesa identitaria: il cardinale milanese tornava a raccomandare la necessità di essere lievito e sale.
Si trattava di un tema caldo, che suscitava dibattiti e divisioni; non a caso, due anni dopo, Tettamanzi finì nel mirino della Lega dopo un discorso alla città, alla vigilia della festa patronale di S. Ambrogio, nel dicembre 2009. Il quotidiano della Lega La Padania l’8 dicembre 2009 titolava a tutta pagina Onorevole Tettamanzi e nell’articolo si esprimeva con toni durissimi: «Cardinale o imam? Se lo chiedono in molti. Tettamanzi la città la vive poco». Nel suo discorso l’arcivescovo di Milano aveva bacchettato la giunta di centrodestra di Letizia Moratti sui temi della moralità e dell’accoglienza, esortando gli amministratori a far rifiorire il tradizionale “solidarismo ambrosiano”. L’allora eurodeputato leghista Matteo Salvini attaccava l’arcivescovo senza giri di parole: «Il cardinale è lontano dal sentire collettivo, quando si ostina a rappresentare i rom come le vittime del sistema invece che la causa di molti problemi. A Radio Padania hanno chiamato molti ascoltatori cattolici che dicono: “Le guance da porgere sono finite”».
Tornando al Convegno di Verona, nelle sue conclusioni il cardinal Ruini, ancora presidente della Conferenza Episcopale Italiana, lanciava quella che veniva definita come la seconda fase del Progetto Culturale, che intendeva concentrarsi sugli ambiti della vita ecclesiale e sociale e rilanciare una sfida antropologica prima ancora che politica: «Il senso del nostro impegno di cattolici italiani va dunque, prima che a fermare quei cambiamenti che appaiono negativi per il Paese, a mantenere viva e possibilmente a potenziare quella riserva di energie morali di cui l’Italia ha bisogno, se vuole crescere socialmente, culturalmente ed anche economicamente, e se intende superare il rischio di quella “scomposizione dell’umano” da cui ci ha messo in guardia il Prof. Lorenzo Ornaghi»3.
Nonostante il tentativo della CEI di stemperare il clima di continua polemica politica con cui venivano raccontate le vicende ecclesiali, qualche mese dopo il Convegno di Verona esplodeva il caso della Nota del Consiglio permanente della CEI del 28 marzo 2017 per indirizzare, in modo di fatto vincolante, il voto dei parlamentari cattolici su una proposta di legge dell’allora governo Prodi, i cosiddetti DICO4.
Nella Nota i vescovi si esprimevano in modo netto e rivolgevano una parola che definivano “impegnativa” per i cattolici che operano in campo politico, definendo «incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto»5. La Nota era destinata a creare particolare clamore e dibattito nel mondo ecclesiale e tra i cattolici impegnati in politica.
«La Nota può essere letta in due modi – scriveva Fulvio De Giorgi ne Il brutto anatroccolo – : o come riaffermazione dei canoni tradizionali, secondo i quali per tutti i cristiani (compresi i laici impegnati in politica) il magistero è uno solo e non c’è alcun magistero alternativo e parallelo, e secondo i quali il pluralismo non può essere illimitato; oppure come assunzione da parte dell’Episcopato di una leadership – diretta o indiretta – anche in temporalibus»6. Lo stesso De Giorgi continuava la sua riflessione affermando che, se la tesi corretta fosse stata la prima, «c’è da aspettarsi che il cattolicesimo democratico italiano e i laici esponenti della “cultura della mediazione” trovino nella Segreteria di Stato (…) un qualche atto tendente a riequilibrare un quadro ecclesiale nazionale oggi evidentemente troppo squilibrato a favore degli “esponenti della presenza”»7. In caso contrario, secondo De Giorgi, si sarebbe stati di fronte alla fine del cattolicesimo politico affidato al laicato a favore di un intervento diretto della gerarchia.
Erano le settimane che avrebbero condotto al già citato Family Day del maggio 2007 e, da allora, il presunto interventismo dei vescovi italiani si è sempre più affievolito, anche perché con il marzo dello stesso anno si era conclusa la ventennale presenza del cardinale Camillo Ruini alla guida della Conferenza Episcopale.
Con il cardinal Bagnasco, che pure era destinato a gestire il Family Day, evidentemente ereditato dalla precedente presidenza, la CEI «ha cercato di liberarsi faticosamente del legame preferenziale con Berlusconi. La strada seguita è stata quella di un’estrema prudenza, mantenuta fin quasi alle soglie della caduta del governo del Cavaliere. In quest’ottica anche l’associazionismo cattolico, sotto la guida di Bagnasco, riunitosi per due volte a Todi (nel 2011 e nel 2012), ha dato segni di dissenso rispetto a un eventuale patto politico fra la Chiesa e la destra italiana, ormai insostenibile. La soluzione immaginata è stata, però, quella della rinascita di un partito cattolico conservatore, magari sotto la guida di un leader stile Angelino Alfano, oppure di un Maurizio Lupi o di un Roberto Formigoni»8. Secondo la secca e, per molti versi, ingenerosa analisi di Francesco Peloso su Linkiesta.it, il vecchio modello ecclesiale del cardinal Bagnasco è andato in frantumi e con esso il tentativo di una presenza diretta e incombente dei vescovi nella contesa politica.
Non è questa la sede per una ricostruzione completa delle vicende di questi ultimi anni, ma basta citare un passaggio di una delle ultime prolusioni di Bagnasco al Consiglio Episcopal...

Indice dei contenuti

  1. La politica al tempo del Covid-19
  2. Tra cattolici e politica non è mai stata luna di miele
  3. I “liberi” e “forti” di Sturzo
  4. Dalla Democrazia Cristiana all’insignificanza cattolica
  5. La stagione “ruiniana” tra Family Day e Vaffa Day
  6. Quanto contano i cattolici in politica? E quanto conta la politica per i cattolici?
  7. I “credenti cittadini” e la “Chiesa inquieta” di papa Francesco
  8. L’ostentazione dei simboli cristiani per catturare consenso
  9. La fine dell’unità politica dei cattolici
  10. Atei devoti paladini di “valori non negoziabili”
  11. Oltre le solite facce
  12. Il difficile rapporto fra comunità cristiana e società civile
  13. I cristiani e le altre visioni del mondo
  14. Il rischio di una minoranza che insiste sui soliti temi
  15. Una nuova funzione del cristianesimo nell’attuale società italiana
  16. I politici cattolici: prudenti conservatori
  17. Il trionfo di Salvini e la fine del cattolicesimo democratico
  18. Cattolici in politica oggi: inattuali e non più comprensibili?
  19. Il dissenso di un gesuita novantenne
  20. La volatilità del voto e l’astensionismo
  21. Dalla politica razionale alla politica emozionale
  22. Cirino Pomicino e la nostalgia dell’unità perduta
  23. I cattolici in politica sono davvero finiti?
  24. Le nuove strade per un rinnovato impegno dei cattolici in politica
  25. Una questione di stile: la cura del legame sociale
  26. La proposta cristiana viene prima della politica
  27. Alle sorgenti del cristianesimo per un futuro da costruire insieme