Introduzione
«La santità è il volto più bello della Chiesa» (GE 9). Con queste parole luminose papa Francesco ha parlato dei santi nella sua recente esortazione apostolica Gaudete et exsultate (2018). La vita vissuta alla sequela di Cristo secondo il vangelo è davvero la cosa più bella che esiste nel popolo santo di Dio. È molto significativo questo accostamento tra santità e bellezza. Infatti, c’è una bellezza inautentica che seduce e poi lascia più tristi di prima; c’è, invece, una bellezza che attrae, ferisce e apre il nostro cuore alla nostalgia della Bellezza, scritta con la maiuscola. San Francesco si rivolge a Dio nelle lodi di Dio altissimo dicendo: “Tu sei Bellezza”; San Bonaventura in ascolto di Francesco affermerà che il Figlio di Dio è l’Arte del Padre (Ars Patris): egli «rende belle le cose deformi, quelle belle ancora più belle, e queste, infine, bellissime».
Davvero il cristianesimo si comunica per attrattiva e non per proselitismo, come ci ricorda papa Francesco (EG 14) e Benedetto XVI. Ciò che attrae il cuore dell’uomo è la bellezza della santità. Ma quando si parla di santità non si deve intendere innanzitutto qualche cosa di distaccato e di estraneo alla vita. Il Concilio Vaticano II ci ha richiamato radicalmente al fatto che c’è una vocazione universale alla santità di tutti i fedeli, ossia alla pienezza dell’amore (Lumen Gentium, cap. V); anzi, in un certo senso la vocazione dell’uomo è una sola, quella divina (Gaudium et Spes 22). Ogni persona umana è stata voluta da sempre dal Padre in Cristo per essere figlio nell’unico figlio di Dio. Per questo la santità è la verità della nostra vita.
Se, dunque, la santità è la vocazione di tutti, come comprendere il senso di coloro che per la loro vita vengono indicati come beati e santi? I santi canonizzati sono come degli indicatori per tutto il popolo santo di Dio. Infatti la santità è una delle “note” della Chiesa. Guardando un santo dovremmo riconoscere in lui un radicale richiamo al nostro battesimo e alla nostra vocazione alla santità.
Per questo il santo si presenta a noi come un uomo, come una persona che non fugge dalla realtà, ma che vuole portare la realtà al suo Signore; il santo è un uomo che ha riconosciuto in Gesù il senso della vita, colui per il quale vale la pena vivere e dare la vita. Il santo si presenta a noi come parte di un popolo, del popolo che appartiene al Signore; è tratto dal popolo ed è mostrato al popolo perché sia per tutti segno dell’ideale a cui tutti siamo chiamati. I santi e sante di Dio sanno, poi, che Dio è tutto e che tutto è grazia. I santi non sono persone che contano sulle proprie forze o sulla propria sapienza umana.
È il richiamo potente che papa Francesco ha fatto in Gaudete et exsultate quando ha richiamato i due pericoli presenti oggi nella Chiesa: il pelagianesimo e lo gnosticismo. Il pelagianesimo (GE 47-48) è quel fare conto su di sé che rende inutile la grazia, è la riduzione del cristianesimo ad un moralismo. Lo gnosticismo (GE 36-46) è l’eresia che pone la sicurezza della vita nella propria idea pura, nella teoria perfetta; lo gnosticismo dimentica che il Verbo si è fatto carne e per questo pensa ad un rapporto con Dio che non faccia i conti con la carne, con la carne propria e del fratello, con le sue ferite. Papa Francesco chiama lo gnosticismo e il pelagianesimo i “sottili nemici della santità”. Il santo è invece colui che vive l’esistenza come tensione, nella continua relazione tra la grazia di Dio e la propria libertà. Per questo il santo è un uomo vero che vive ogni giorno la tensione di portare a tutti la gioia del Vangelo.
Questa prospettiva ci chiede un modo diverso di guardare alla vita e agli scritti dei santi stessi. In loro non dobbiamo innanzitutto cercare gli aspetti particolari, ma piuttosto comprendere la missione che hanno vissuto per la Chiesa e per il mondo. Quella dei santi è – per dirla con von Balthasar – una “esistenza teologica” ossia una vita in cui la parola di Dio ci viene interpretata e spiegata attraverso il loro vissuto.
Questo libro – in verità nato quasi per caso, dalla proposta generosa del direttore delle Edizioni Terra Santa – raccoglie una serie di contributi, in parte già apparsi e in parte inediti, dove si cerca di guardare ai santi, alla loro vita e ai loro scritti non per soffermarci su particolari eclatanti della loro esistenza o per sondarne gli stati interiori (cose peraltro utili) ma per cogliere quale “parola” Dio ci abbia voluto comunicare con il dono della loro vita. Una parola che certo non si aggiunge alla rivelazione cristiana ma che ne dispiega le profondità indicandoci modalità di sequela di Cristo significative nei diversi contesti culturali e sociali, lungo la storia.
Ecco perché il popolo di Dio cerca “ogni giorno il volto dei santi” secondo la nota espressione della Didaché: in loro trova conforto, forza e coraggio per vivere ogni giorno l’avventura della fede.
+ Paolo Martinelli, ofmcap
Vescovo Ausiliare di Milano
Milano, 11 luglio 2018
Festa di San Benedetto da Norcia,
Patrono d’Europa
San Francesco d’Assisi
San Francesco e la fede
Attualità di un’esperienza cristiana
Introduzione
1. Il mio intervento si pone idealmente nell’ambito del rendimento di grazie al Signore che i figli di san Francesco stanno vivendo per la “grazia delle origini”, in particolare per il dono della regola, che ottocento anni fa il papa Innocenzo III si apprestava ad approvare. Il tema che affronto in questa mia comunicazione – san Francesco e la fede – vuole indicare semplicemente l’orizzonte sotto il quale ha potuto sorgere l’esperienza cristiana di Francesco d’Assisi fino a condensarsi nella regola, nelle sue diverse riscritture, per diventare così nostra eredità. Più che mai nell’occasione di questo ottavo centenario sentiamo che l’Assisiate non è solo un fatto del passato: egli è la profondità del nostro presente, senza il quale non potremmo capire noi stessi e davanti al quale siamo sempre posti in una continua tensione di rinnovamento.
La prospettiva nella quale affronto questo tema è propriamente quella teologico-spirituale. Data una certa “logomachia” che caratterizza il dibattito intorno a questa disciplina, è necessario in via preliminare dichiarare l’accezione da noi utilizzata. Con approccio teologico-spirituale intendo lo studio dell’esperienza cristiana come la modalità con cui il soggetto credente, nella sua concreta circostanza storico-culturale, accoglie e gusta il sapore della verità di Dio nella forma della fede.
Se è vero che dopo il triplice ingres...