La nostra progressione sarà lenta, irregolare nel suo ritmo, seguendo un tragitto del quale nessuna rappresentazione lineare potrebbe rendere conto1. Progressione, non è forse già dire troppo di un’andatura che può dare l’impressione, irritante per alcuni, di lasciarsi paralizzare dall’insistenza stessa: non si avanza, si gira a vuoto, si ritorna sui propri passi. Apparentemente senza guadagnare terreno, senza occupare una posizione, rinunciando ad ogni preoccupazione per la strategia discorsiva. E poi improvvisamente dei salti bruschi, dei balzi, degli zigzag, ogni volta decisi, di singolari rotture che non si sa mai se siano state minuziosamente calcolate o se abbiano sorpreso il discorso, gli siano arrivate come l’evento dell’altro, decise da altro.
Descriviamo in questo modo innanzitutto la maniera di Heidegger, altri avrebbero detto il suo stile, il suo stile di pensiero o di scrittura. Io preferisco dire la maniera per delle ragioni che sono adesso più chiare. La questione del ritmo qui si complica, Heidegger in effetti la pone, vi ritorneremo, e si è tentati, piuttosto legittimamente di rinviare alla sua scrittura ciò che egli interpreta come l’essenza del ritmo poetico, al di là della sua «rappresentazione estetico-metafisica»2.
Per «leggere» Heidegger, per seguirlo senza violenza barbarica, senza violenza ingiusta o infida, per comprenderlo senza murarsi nella sorda passività del commentario, non occorre allo stesso tempo regolare il nostro passo al suo e sregolarlo? Non bisogna perturbarne la cadenza, decelerare quando va troppo svelto, interrompere un salto, sospenderne il gesto o al contrario scattare di colpo verso questa deviazione, al volgere di una procedura di lunga data3?
Il primo saggio4 che avevo tentato con il titolo Geschlecht riguardava essenzialmente un testo del 1928 e menzionava questa data in prima linea. Annunciava un avvicinamento al testo del 1953. La menzione molto neutrale di queste due date, 1928 per il Corso di Marburgo5, 1953 per Die Sprache im Gedicht6, non suggerisce una qualche evoluzione scandita in quello che si chiamerebbe il-pensiero-di-Heidegger7. Non disponiamo, con queste semplici date, di riferimenti a partire dai quali misurare, mettere in prospettiva, assicurarci da uno strapiombo, limitare un tragitto. E pertanto, se indico queste due stazioni o questi due luoghi, è perché intendo proprio far luce su un qualche rapporto. Come ognuna delle parole delle quali dovremo assumerci il rischio, in francese quanto in tedesco (Bezug, Zug, ziehen, entziehen, ecc.), la parola «rapporto» appare molto carica. Per anticipare bruscamente, vediamo annunciarsi che – nella questione del Geschlecht e di «Geschlecht», della cosa, della parola o della marca (e prima della questione, che non è più dunque il titolo massimamente generale, c’è la marca), di una cosa, di una parola, di una marca che non riposano mai più nella loro essenza di cosa o di parola – non c’è soltanto provocazione nel pensare il rapporto come riferimento, rapporto della parola alla cosa, né soltanto il rapporto sessuale (Geschlechtsverkehr) ma anche un rapporto dell’uno al due nel quale la piega del riferimento come differenza precede una certa dualità o si situa tra due forme del due, con la seconda che viene a rimarcare la prima per affettarla di conflittualità. Come potremmo noi allora ricevere tranquillamente questa parola rapporto? Mettere in rapporto due testi, due luoghi, due date, cosa può significare? In che modo questo può importare?
Senza dubbio cercherò di rapportare l’una all’altra, modestamente, molteplici letture del Geschlecht, di «Geschlecht», lasciando tratteggiati altrettanti itinerari possibili. Ma la parola «lettura» si lascia anche affettare da questo ri-posizionamento del Geschlecht. Non possiamo dunque contare al riguardo su nessuna tranquilla assicurazione. Senza dubbio tenterò a mia volta di «leggere» la «lettura» di tali poesie di Trakl da parte di Heidegger. Senza dubbio ho già, in modo del tutto implicito e facendo leva su delle convenzioni e delle complicità, sovraccaricato questa parola, «lettura», con quello che numerosi lavori, specialmente francesi, sono riusciti a determinare o trasformare nel corso degli ultimi venti anni. Senza dubbio tenterò, dopo questa «lettura», di trasporre, generalizzare, problematizzare quella che potrebbe essere un «tipo» di lettura heideggeriana. Un tipo, vale a dire anche un «colpo» di lettura: non un modello, una procedura, un metodo ma un percorso battuto [typé]. Il typtein del typos non fa dapprima riferimento a qualche timpano8 che ho potuto descrivere tempo fa o alle mirabili Tipografie9 di Lacoue-Labarthe, ma proprio qui a ciò che lega il typos allo Schlag, e dunque al Geschlecht nel testo di Heidegger. Oltre al valore di impressione, di colpo, di battuta, di iscrizione, la nostra attenzione si trova qui chiamata verso quello di regolarità, di iterabilità, dunque di re-impressione nella ri-marca. Un tipo non è soltanto il momento o il luogo della battuta, istalla già la generalità del genere, rimane o produce, riproduce il medesimo per una serie di singolarità che dunque appartengono allo stesso tipo – che non può essere tipico se non a condizione dello stesso.
Una tipologia è implicata nel dispositivo delle domande classiche: quale legge assegna la sua regolarità ai gesti tipici di Heidegger? Poiché una firma è di un tipo. Come legge Heidegger? Come scrive? Quali sono i movimenti dai quali si riconosce il suo marchio? In particolare nel trattamento o il maneggiamento (Handlung), la maniera non di trattare (direbbe) ma di ascoltare un testo «poetico» e di rimarcare questo piuttosto che quello? Interpretazione? Ermeneutica? Poetica? Filologia? Critica o teoria letteraria? Apparentemente no, il gesto tipico di Heidegger non si presenta sotto nessuno di questi titoli, e occorre almeno cominciare con il tener conto di questa auto-presentazione, qualsiasi conclusione in fin dei conti ne derivi. Si tratta dunque di una lettura filosofica? Aspetto ulteriore, e non soltanto perché non è una «lettura» ma perché la filosofia vi è situata piuttosto che situante. Il pensiero qui non si riduce alla filosofia, se ne distingue al contrario in maniera essenziale senza peraltro divenire semplicemente poetica. Ritorneremo in seguito sul «parallelismo»10 e il distanziamento tra Denken e Dichten.
Quali possono essere allora i limiti di questo tipo di pensiero che si presenta innanzitutto come pensiero del tipo? Un limite non è sempre negativo, Heidegger lo ricorda frequentemente11. Rende possibile e dà luogo. Un luogo non ha luogo che entro dei limiti. La questione dunque è quella del luogo di Heidegger, si dirà. Può darsi ma dicendo questo si mima, si riproduce, si rivolge verso Heidegger il gesto della situazione (Erörterung) che egli abbozza in direzione di Trakl. Occorre dunque esaminare, per prepararvisi, ancora un’altra cosa rispetto alla situazione di Heidegger. Questa sarebbe la condizione per accedere ai presupposti che possono sostenere ...