La materia sapiente del relativo plurale
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La materia sapiente del relativo plurale

Ovvero il luogo terzo delle parzialità

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La materia sapiente del relativo plurale

Ovvero il luogo terzo delle parzialità

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Liberarci dal grande BLUFF del patriarcato.La cosa più difficile è superare la contaminazione del contesto, anche nella critica e nello smascheramento, perché il sistema che l'ha prodotto ha un solfeggio che propaga un simbolico a favore di chi ha scelto e diretto le sue messe in note/atti di potere: insieme formano un suono che le orecchie sentono solo dentro quello spartito, anche se provano a udirle in suoni e corpi e strumenti altri dove le stesse note potrebbero "suonare" diverse nelle messe in atto. Ma come i suoni delle parole non prescindono dalle lingue che parlano, così i pensieri non prescindono da chi li pensa. Non è un caso, dunque, che siano le donne a provare a "intendere" e a poter parlare d'"altro".

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788868993337

Parzialità relative dei percorsi temporali: antecedenti, racconti e resoconti

Dopo la pubblicazione del libro Una donna di troppo1 ho voluto continuare a “condividere” con chi mi legge il percorso reale della materia dei miei pensieri, per tener conto e rendere conto della realtà corporea insieme alla realtà storica dei fatti e dei misfatti che li hanno generati. C’è un’insita dipendenza del dire e dell’udire, dell’ascoltare e dell’intendere senza nascondimenti e travestimenti, che rende il sapere della specie possibilmente condivisibile nella relazione.
Il mio percorso mi porta a esprimermi così nel 1997:

Il “doppio” binario della guerra e il luogo terzo2

Il mio è certamente un sapere “collocato”, scaturito da un lungo percorso di pratica nel movimento delle donne. Un percorso che, per me ancora oggi, si separa dall’omologazione alla cultura fin qui costruita e praticata. E da ciò prendo e mi do sguardi e parole.
È incredibile accorgersi, se si riesce ad accorgersene, con quale e quanta pervicacia il mondo in cui siamo immerse riproduca ed esalti concezioni, significati, intendimenti e comportamenti come se fossero connaturati e perfino “logici” all’essere della specie umana. Perfino quando, in ben pochi casi eclatanti, se ne sa leggere e deprecare la nefandezza. In questi casi pare di godere nel poterne decretare e agire la “punizione”, quando “la punizione” è già di per sé un caso eclatante, un segno significante della nefandezza tutta, messa lì a nascondere l’identificazione e la complicità che ha prodotto, proprio grazie a quel dato per “scontato”, tutto il suo aberrante. E ciò cancella ogni possibilità di modificazione, di scelta culturale diversa.
Il simbolo estremo di questo ridicolo modus vivendi (si fa per dire) è la guerra. Essa è considerata “santa” da e per tutti i contendenti in campo, agita e valutata in base a quanti più morti e catastrofi può produrre (al suono di eccitanti trombette d’assalto e violini di postuma commozione) per definirne l’eroico vincitore. Chiunque egli sia, brinda con occhi pieni di lacrime di coccodrillo al suo giusto e sacrosanto averne ammazzati di più. E riceve in premio e riconoscimento il bacio soave della mamma e della sposa (che hanno rischiato nel frattempo di essere stuprate dal “nemico”!).
Perché un altro esempio lapalissiano (e scontato) del modus vivendi et amandi (si fa per dire) di questa “naturale” scelta culturale è lo stupro (ex Jugoslavia e Somalia comprese).3 Esso ha culturalmente radici non poco evidenti in una significazione, esaltazione e gestione della sessualità definita “maschile” (e drasticamente bi-differenziata e genitale) in termini di “unica modalità del desiderio” per tutti, di “naturale” aggressività, di “logica” di potenza e soprattutto di potere, anche di stupro. Perché stupirsene?!
Accettato tutto ciò che sta a monte di un gesto estremo (?), ci si lamenta e si inorridisce, quando non si insinua addirittura che anche alla vittima sia piaciuto, dato che è “naturale” che si riconosca in quella modalità. Di questi tempi la vittima può perfino operare una seconda (meglio dire “as/seconda”) torsione – dopo la prima di freudiana memoria4 – e da preda farsi cacciatrice! Quale metodo migliore per poter continuare a dire che questa è la sessualità della specie, e che perciò questo “maschio è bello”, se perfino le donne…
Ma l’aggressività, la forza, il potere esaltati attraverso il “genere sessuato” (e la genitalità) che li significa divengono metodologia di gestione del mondo, di stupro del mondo (con annessa e connessa commozione e postumo vituperio). È così “naturale”! È così reale e realistico che proprio su ciò si incentra, e con dovizia di particolari, tutta la vasta gamma di possibili segni, rappresentazioni, sollecitazioni di cui si nutrono le vite dell’umanità; su ciò si imposta e si impone il modello bifronte a cui tendere, in una visione eroica, da “imitare” e da amare. E poi ci si stupisce che gli uomini siano uomini proprio così e si vuole che le donne siano donne solo “insieme”, ora, anche “a” loro (Irigaray 1993).5
Il movimento delle donne sembrava aver intuito tutto questo, dico sembrava perché ora il desiderio di esistenza forte, di autorivalutazione dentro questo mondo le ha rispinte su una strada dal doppio bi-nario, ma che a mio avviso, come ogni bi-nario che si rispetti, ha una direzione sola da seguire.
Nella fattispecie: affiancarci in parallelo, e sicuramente con autorevolezza, a un binario portante già esistente, ma inamovibile perché immodificabile, porta forse a possibili deragliamenti “differenziali”, ma non apre di per sé a reali nuovi itinerari per nessuno.
Ho anzi il sospetto che attivi una rieditata complicità, basata sull’accettazione della “differenza” inalienabile e immodificabile dell’Alterità (quella data e data per scontata), con tutte le perniciose conseguenze simboliche e pratiche che ciò implica. Quelle che sono lì da vedere.
Per questo ormai da molti anni mi interrogo su come aprire nuovi itinerari.
A partire dalla “differenza” e dal suo bi-essenzialismo genitale a scopi riproduttivi che pare essere la base portante e ineludibile di simbolizzazione per la cultura della specie fin qui ma anche – ora – della cultura delle donne.
Avevo iniziato a farlo propositivamente e creativamente, in uno spazio che mi concedevo libero da forzate decostruzioni, nell’articolo “Abitare il mondo” (Fluttuaria, 13/14, 1989):
Non ci manca certo, a tutt’oggi, la pratica di riferimento al nostro genere, anche se non basta definirla, dichiararla preferenziale su ogni altra in termini astratti. Anche e dove si fa concreta e reale, manca la chiarezza e la determinazione progettuale complessiva. Il rischio è infatti quello di permanere nel dato ontologico e progettuale esistente, a cui affiancare semplicemente la propria voce, continuando a chiamarla differenza. Il termine è ormai accettato da tutti: dentro ci viaggiano tutti i tipi di differenza, anche i più ritriti. Accogliere un siffatto tipo di differenza rischia di cancellare di nuovo il soggetto: le donne saranno fagocitate un’altra volta da chi ha sempre voluto trarre profitti di potere.
Penso che alla chiarezza della nostra differenza di oggi e di sempre manchi la coscienza che la nostra materia è la materia del mondo, quella che prevede le due e tutte le differenze, ma non ne fa simboli né singolarmente preferenziali, né ontologicamente ricomponibili in una stravagante perfezione di somma, doppio, complementarità, unione degli opposti. E finisce per dare senso e valore meramente sessuale alla complessità dell’esistenza, basata un’altra volta sull’infantile sensazione della mancanza da colmare e non sulla matura accettazione della “parzialità” oggettiva, compiuta in sé, e più che sufficiente per vivere creativamente e nel mondo vario e plurale che ci circonda e delle sue infinite relazioni.
La nostra identità di genere si basa sulla presa di coscienza che proprio l’attribuzione di valori differenti alle differenze sessuali ha attuato la nostra cancellazione (e il “disvalore e la sudditanza” di ogni elemento o soggetto descrivibile come “femminile”). Non possiamo ora riaffermare tale attribuzione dicotomica semplicemente per entrare nel gioco. Noi possiamo sopravanzarci, mettere le basi per una vera rivoluzione ontologica. Detto ciò non deve sembrare strano se io mi autorizzo ad affermare che bisogna ridimensionare le differenze di genere a tutte le diversità e parzialità del mondo. Altrimenti perpetueremo anche noi la smania delle categorie binarie, della contrapposizione, dei dualismi, anche se dialettici, del far quadrare il cerchio del due in uno (anche se finalmente proprio due).
Dell’universalizzare ciò che l’universo stesso smentisce di essere, non Uno (né due), ma tutto, tutte, tutti.
Poi in “Essere e non esserci, ovvero due non è abbastanza” (Fluttuaria, 15, 1991):
… ora dobbiamo farci arbitre sia della contraddizione fra i sessi, sia del conflitto che ne deriva, per poterci sottrarre definitivamente alla sua pratica di alterità e dualità estremizzate in tutte le sue forme culturali.
Affermare la nostra differenza è stato necessario e fondamentale quanto lo è ora non persistere nel privilegiare il rapporto con la differenza dell’Altro. Privilegiare la differenza di genere significa autorizzargli/ci nuovamente il conflitto nell’ambito duale. Affermare il doppio soggetto storico è evidenziare ciò che è avvenuto di fatto.
Per sfrondare il campo da ogni nuovo rischio è necessario uscire dalla relazione/scissione del “due” ed entrare in una terza posizione. Il due va riconosciuto e smascherato come ordine maschile (del suo potere) di un sesso contrapposto o anche, si spera ora, affiancato all’altro; di un sesso – e un senso – che trae la sua ragione, se non più da manifesta opposizione, pur sempre da due sole differenze. Le uniche riconosciute.
La terza posizione non sta a significare un terzo dopo l’Uno e il Due. Né il “terzo”, quello riconosciuto in questa cultura dalla psicanalisi, dalla giustizia o dalla politica,6 né un nuovo Uno che si fa carico del Due.
Anzi sta significare un “relativo plurale” di “ogni” differenza e perciò di ogni parzialità di soggetti e di soggettività.
Questo è il nostro punto di avvistamento, quello della possibilità di soggettività e di rapporti plurimi differenziati, mediati, concatenati, in una serialità e variabilità dove i termini dei conflitti si stemperano per scelte reali di vita, parzialità di desideri, emozioni, valori,...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Presentazione
  3. Daniela Pellegrini
  4. Frontespizio
  5. Pagina del Copyright
  6. Sommario
  7. Dediche
  8. Premetto
  9. Parzialità relative dei percorsi temporali: antecedenti, racconti e resoconti
  10. A partire dall’oggi, dai suoi intoppi e dalle sue storpiature
  11. Leggere la materia e le sue messe in atto
  12. I nemici sistemici e i loro presupposti fallici
  13. Il patriarcato come scelta “economica”
  14. Psicanalisi retrò: ad hoc al rebus sic stantibus
  15. Cambiamo il percorso!
  16. I frattali della donnità e il luogo terzo delle parzialità: la materia cosmica della specie
  17. Ricercarne e praticarne la via con le parzialitàdei possibili passi
  18. Avviso alle naviganti
  19. Bibliografia