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Il movimento abolizionista
Una volta Andrea Dworkin fece la seguente riflessione: “Di sicuro la libertà delle donne deve essere per noi più importante della libertà dei papponi”. Per molti, la vita delle donne prostituite non ha alcun valore.
In questo capitolo traccerò lo svilupparsi di un movimento abolizionista entusiasmante e pieno di vita. È un movimento che deve fronteggiare molti ostacoli, e qui illustrerò a grandi linee le ostilità che le persone che ne fanno parte sono costrette a subire dagli apologeti del mercato del sesso. Mostrerò il vero volto della campagna internazionale per liberalizzare un’industria violenta e pericolosa. Indagheremo perché la sinistra liberale sostiene con così tanta convinzione il mercato del sesso, quando è un mercato fondato sulla diseguaglianza e lo sfruttamento delle donne e delle bambine più povere e vulnerabili. Attraverso la voce delle sopravvissute e di femministe abolizioniste provenienti da vari paesi sentirete parlare di ordinarie, quotidiane pratiche comuni e di esperienze di prostituzione, e delle ragioni per le quali questa e l’intero mercato del sesso globale devono essere aboliti perché le donne possano vivere come cittadine con uguali diritti nel mondo.
Gli inizi
Il movimento abolizionista inizia nel 1860, quando Josephine Butler, una femminista e riformatrice sociale, assistette alle traversie di donne e ragazze senzatetto vendute agli uomini per il sesso. Butler rimase inorridita. Da bambina aveva appreso dell’esistenza dell’ingiustizia sociale dal padre, John Grey, un sostenitore dell’abolizione della schiavitù. Il più grande risultato raggiunto da Butler fu la campagna per abrogare le disposizioni sulle malattie contagiose, il Contagious Diseases Acts, una legge brutale che autorizzava la polizia a fare ronde nelle città militari alla ricerca di donne che si pensava fossero coinvolte nella prostituzione per sottoporle ai test per le malattie veneree.
Alcune donne rimanevano rinchiuse negli ospedali per tre mesi finché non erano guarite. Secondo Butler queste azioni “eliminavano ogni forma di tutela della sicurezza personale che la legge aveva stabilito”, e contestava che a essere sottoposte a controlli sanitari fossero le donne, quando di fatto erano le vittime delle malattie veneree ed erano gli uomini “la causa del vizio e delle sue terribili conseguenze”.
Butler era all’avanguardia per l’epoca nel denunciare con fermezza come la vergogna per l’abuso che le donne subivano nella prostituzione e per l’esistenza del mercato del sesso dovesse ricadere sulle spalle degli uomini, cosa che oggi molte femministe sono riluttanti a fare. Butler aveva ben chiaro come la prostituzione fosse la schiavitù delle donne portata avanti dagli uomini e attaccava papponi e sfruttatori così come lo stato, il quale permetteva che il mercato del sesso crescesse oltre a incolpare le donne per la diffusione di malattie a trasmissione sessuale.
Butler è stata accusata di essere contro il sesso, di essere una moralista cristiana, e perciò ridotta a “salvatrice” paternalistica delle donne. In realtà Butler è una figura importante che si è battuta per conto delle donne prostituite che la maggior parte della società considerava inutili, feccia. Non solo Butler prese con sé le donne più bisognose, ma mise in discussione il diritto degli uomini ad avere accesso al corpo delle donne e delle minori prostituite. Per Butler era chiaro che la prostituzione violava i diritti umani delle donne e che erano gli uomini gli unici colpevoli dell’esistenza della prostituzione.
Nel corso della sua vita Butler riuscì a far approvare importanti riforme sociali e leggi in un periodo storico in cui le donne non avevano neanche il diritto di voto. Viaggiò negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa ispirando persone, spronando le associazioni locali ad agire e incontrando piccoli gruppi di donne fino a riunioni pubbliche a cui partecipavano centinaia di uomini della classe proletaria.
Le abolizioniste di oggi stanno sulle spalle di Josephine Butler e sono a loro volta accusate dalla lobby per i “diritti delle sex worker” di essere moraliste, anti-sesso, di odiare gli uomini. Il movimento femminista abolizionista è composto da numerose sopravvissute alla prostituzione e ad altre forme di violenza maschile nonché da donne, e qualche uomo, che riconoscono il danno che il mercato del sesso provoca all’intera società.
Quel che è chiaro è che il movimento abolizionista è globale e sta crescendo. Malgrado la mancanza di fondi e di sostegno a cui deve far fronte il movimento rispetto alla lobby per “i diritti delle/dei sex worker” (che, come vedremo nel capitolo 7, riceve fiumi di denaro per la prevenzione dell’AIDS/HIV), il movimento abolizionista sta conquistando terreno e finalmente è stato preso sul serio da numerosi legislatori nel mondo. Mentre le prove del disastro causato dalla regolamentazione e decriminalizzazione del mercato del sesso continuano ad accumularsi, come anche quelle a favore del Modello nordico – una legge introdotta per la prima volta in Svezia nel 1999 che criminalizza chi paga per il sesso e decriminalizza chi lo vende. Nonostante le università siano dominate da studiosi e dottorandi pro-prostituzione, un gruppo di eroici e preparati accademici di paesi e discipline diverse hanno avuto il coraggio di portare avanti e pubblicare ricerche sulle conseguenze negative della prostituzione e dei sistemi in cui essa è regolamentata.
Collegamenti con il movimento contro la violenza maschile sulle donne
Il fronte opposto dichiara che la prostituzione non è tutta violenza, che può dare potere alle donne ed essere sicuramente un lavoro migliore rispetto al McDonalds. Quindi gli ho detto: “Quando lavori al McDonalds almeno non sei la carne”.
(Evelina Giobbe, 2015)
Secondo le abolizioniste l’unica maniera per contrastare efficacemente qualsiasi mercato costruito sulla vulnerabilità, lo sfruttamento, la disperazione è sostenere tutte quelle persone talmente disperate da vendere l’accesso al proprio sesso e far sì che chi crea la domanda ne paghi il prezzo. Che gli sfruttatori vengano riclassificati uomini d’affari rispettabili – come accade nel modello della Nuova Zelanda, dove il mercato del sesso è stato decriminalizzato – è a malapena diverso dalla circostanza che i poliziotti considerino un mero extra fare sesso nel corso di un’attività investigativa in un bordello.
“Ho cominciato a parlare delle analogie tra la sinistra e la destra”, mi dice Evelina Giobbe, sopravvissuta al mercato del sesso e fondatrice di Women Hurt in Systems of Prostitution Engaged in Revolt (WHISPER) [Donne che hanno subito violenza nel sistema prostituente in rivolta]. “Entrambi gli schieramenti vogliono controllare l’accesso ai corpi delle donne. La destra lo fa attraverso l’istituto del matrimonio, la sinistra con la prostituzione e la pornografia. Puoi sposare o comprare questa cosa, e noi siamo questa cosa.”
C’è un prezzo da pagare per quelle sopravvissute che denunciano la prostituzione come violenza maschile contro le donne. La prostituzione non è una professione insolita ma generalmente innocua, tipo collezionare insetti rari o fare free climbing, come vorrebbe farci credere una certa sinistra. Piuttosto è sia la causa sia la conseguenza dell’oppressione delle donne, una condizione che è radicata nel patriarcato. Le donne sono state a lungo punite per aver nominato la violenza maschile e per aver insistito che fosse analizzata, che si facessero campagne d’informazione contro di essa in quanto istituzionalizzata e normalizzata, invece di vederla come il risultato di azioni di singoli uomini atipici.
Quando le donne per la prima volta hanno denunciato come la violenza domestica fosse una tattica per sostenere e mantenere la supremazia maschile sulle donne e i figli sono state punite a dovere. Quelle che hanno fatto la stessa cosa con gli abusi sessuali sui bambini, lo stupro, le molestie sessuali e i matrimoni forzati sono state accusate di essere bugiarde, manipolatrici, di odiare gli uomini.
Nel 2005 partecipai a un popolare programma televisivo, che andava in onda nella fascia diurna, nel quale si discuteva sulla percentuale spaventosamente bassa di condanne per stupro nel Regno Unito. Subito dopo mi recai in banca per depositare un assegno e un uomo mi chiese se ero la donna che aveva appena visto in tv. Quando risposi di sì fece una smorfia e mi disse che ero “troppo brutta per essere stuprata”. Una giovane impiegata che aveva sentito tutto pensò di rassicurarmi affermando che l’uomo aveva detto un’idiozia in quanto ero “veramente carina”, un’affermazione che rivela quanto abbiamo interiorizzato il bisogno di approvazione maschile. Lo stigma imposto sulle donne accusate di negare il piacere sessuale agli uomini è debilitante e umiliante. Ciò nonostante le donne che meglio di chiunque altro/a possono testimoniare la verità sulla prostituzione continuano a far sentire la propria voce.
In nessun altro contesto esiste una tale confusione tra desiderio sessuale e abuso sessuale come nei dibattiti sulla prostituzione. Le abolizioniste sono accusate tutti i giorni dalla lobby pro-prostituzione di odiare gli uomini, il sesso, gli orgasmi e il corpo femminile. La critica mossa dalle abolizioniste al mercato del sesso viene spiegata dalla lobby pro-prostituzione come una reazione all’impossibilità di farsi una “bella scopata”. Ho visto sopravvissute al mercato del sesso intervenire sulla prostituzione davanti a un vasto pubblico e successivamente essere oggetto di interrogatori invadenti riguardo al propr...